lunedì 29 settembre 2025

Nel segno del serpente, tra contorsioni e volo

 

Nel segno del serpente, tra contorsioni e volo

Nel ventre del tempo, il corpo si snoda, memoria ambiziosa che mai si sgretola. La spina dorsale, in un cupo silenzio, rammenta il serpente che strisciava il mondo. Praticanti Spirito Ribelle, moderni ricercatori, moderni guerrieri apotropaici.


Onde chock, compiute o accettate, destano l’eco sepolta, vibrazioni che scuotono il gesto raccolto. Non è semplice lotta, ma sogno incarnato, il passo del rettile, nel cielo tracciato.

Spirali che danzano, come ali nel vento, trasformano il peso in sottile movimento. L’uomo, nel sogno, si fa volatile, soggioga il basso, volteggia nel bello.

Ma nell’immaginare contorto, la carne si addensa, la vertebra antica si torce, si lega. Ed è l’immaginare, la reverie bachelardiana a farsi realtà, a farsi serpente che chiama, nella gestualità marziale, la terra reclama.Non fuga, non scontro, ma alchimia sottile, dove il corpo si fa spirale gentile. Il serpente immagina, l’uccello ricorda, la marzialità è soglia, non corda.

È sogno ad occhi aperti e corpo in azione che vibra, è gesto che disegna, è onda che freme, è forma che si fa trans – forma ed affascina. Nel volo onirico, il marzialista si fa relazione tra il rampare del basso e il cielo di fronte.

Nel vociare indistinto del dojo a cielo aperto, qui ai giardini Marcello Candia di Milano o alla Rotonda della Besana, il corpo si fa eco di memorie antiche. Ogni gesto, ogni onda che attraversa la colonna vertebrale, è un bisbiglio del tempo in cui eravamo rettili. Gaston Bachelard , filosofo di immaginazioni che si fanno realtà, ci ricorda che “gli uccelli derivano dai rettili; diversi voli d’uccello sono la continuazione dei passi rampanti dei rettili”. E così, anche l’arte marziale, nel suo fluire spiraloide, non è altro che una danza tra l’origine e il sogno ad occhi aperti.

La memoria serpentina del corpo

Nel movimento a spirale, il praticante non combatte: Rammenta. La spina dorsale si snoda come un serpente antico, risvegliando la memoria biologica del rampare. Le onde chock, ovvero quelle vibrazioni che attraversano il corpo come scosse, non sono semplice violenza, ma risveglio guerriero. Sono il linguaggio primordiale del corpo che si ricorda di essere stato Terra, ventre, rettile.



Ogni spirale è una preghiera alla gravità, un omaggio alla natura rampante. Ma è anche una sfida: L’uomo, scrive Bachelard, “con il suo volo onirico, trionfa sulla natura rampante”. Ecco allora che la pratica marziale diventa sogno incarnato, volo senza ali, meditazione attraverso la disciplina.


Il sogno che si fa gesto

In ogni gesto marziale, l’uomo non si contrappone alla Natura: la trasfigura. Le spirali non sono solo arida biomeccanica, ma metafisica. Sono il ponte tra il serpente e l’uccello, tra il rampare e il volare. Il corpo, attraversato da onde, si fa sogno incarnato. E nei sogni, avverte Bachelard, “la spina dorsale si ricorda talvolta di essere stata serpente”. È dentro quel ricordo che nasce la potenza immane del gesto: Non come forza, ma come risonanza.



Le Arti Marziali come alchimia

La pratica marziale delle onde e delle spirali è un’alchimia del corpo. Trasforma il peso in leggerezza, la tensione in vibrazione, la difesa indanza per poi capovolgere il tutto È il luogo dove il serpente immagina di volare, e l’uccello si ricorda di strisciare. Dove l’uomo, nel suo volo onirico, non fugge dalla madre Terra, ma la sublima. Esse sono la Via.








N.B.) Le citazioni qui riportate sono contenute in ‘Psicanalisi dell’aria di G. Bachelard.














by ricometzen 123
























domenica 28 settembre 2025

Il mio pensiero di OTTOBRE 2025

E iniziata la stagione Spirito Ribelle 2025 – 2026. Le sensazioni, in questo Dojo all’aperto che sono i giardini Marcello Candia, tra Porta Romana e piazzale Lodi, in Milano. Le voci dell’’Arte Marziale, il corpo che comunica.

Ecco, già ancor prima di muoverti, tu sei già dentro il mondo. Il tuo corpo è qui ed ora, visibile, leggibile. Non puoi non comunicare.

Anche se resti fermo, anche se non parli, il modo in cui sei presente dice qualcosa. Dice chi sei, come stai, cosa porti di te agli altri.

Calpesti l’erba verde come se ogni passo fosse un verso. Lasci che il tuo respiro parli prima ancora del suono delle parole. Lasci che il tuo sguardo sia un ponte, non un muro.

Quando incontri l’altro, quando lo tocchi mente lui tocca te, non puoi nasconderti. Non puoi. Il tuo  te - corpo è già in relazione: Ogni gesto è una domanda, ogni postura una risposta.

Allora sii consapevole, perché la tua aspettazione comunica, la tua tensione comunica, la tua apertura comunica, la tua ritrosia comunica.

Prima di iniziare, ascolta, ascolta attentamente. Ascolta il tuo modo di esserci, di so - stare. Ascolta il modo in cui l’altro ti percepisce. Ascolta il dialogo silenzioso che già accade.

Perché la marzialità non è affatto waza, tecnica. È arte dell’incontro. È poesia incarnata. È la disponibilità ad essere letti, prima ancora di agire.

Perché se il mondo come esperienza appartiene alla parola – base Io – Esso, è la parola – base Io – Tu a creare il mondo della relazione, e quale relazione più sincera di un incontro che ha il sapore dello scontro?

 


venerdì 26 settembre 2025

Nel vociare dei giardini, il corpo si risveglia ed esplora

 

In un angolo di verde cittadino, dove le voci dei bimbi che giocano si incontrano e si sovrappongono tra di loro, dove il rumore delle auto che transitano accanto geme sullo sfondo, alcune figure scivolano tra balzi e strappi.

Non sono giovani aitanti, ma custodi di una saggezza che il tempo scolpisce nei gesti. Indossano maglie grigie e pantaloni color porpora, sorta di moderni monaci a caccia dell’equilibrio.

Stringono in mano una fune viola, non arma, ma ponte, dialogo tra forza e controllo, tra strappo e dolcezza.

Ogni movimento è un dialogo, la fune verbo, la tensione del corpo è frase.

Uno guida e detta i tempi, l’altro accompagna, quando riesce. Entrambi imparano.

Non vi è competizione, solo ascolto. Linguaggio antico, forse vetusto, quello delle Arti Marziali che dice di rispetto, di ‘qui ed ora’, di radicamento nella Terra e allineamento verso il Cielo, di apertura a ciò che accade all’improvviso, senza preavviso alcuno.

Ogni resistenza, ogni inciampo, ogni movimento goffo, non è un ostacolo, ma è lui stesso il Maestro. In quel gesto vive la metafora della formazione: Non opporti tentando di vincere la forza, ma cerca di comprenderla, di danzare con essa.

Queste immagini non testimoniano di un semplice riscaldamento. Sono un invito. Sono un’apertura dentro uno spazio sacro, un Dojo moderno ancorché privo di pareti e soffitto, dove il corpo si risveglia e va a caccia. La lezione, ogni Martedì qui ai giardini Marcello Candia in Milano, sarà ben poco tecnica, ma un viaggio. Un incontro con se stessi attraverso passione botte e sorrisi, e la bellezza di gesti finalmente consapevoli.

“Inizia così la nostra pratica marziale, con il respiro della Terra sotto i piedi e il silenzio del Cielo sopra la testa. Che ogni movimento, ogni gesto, sia poesia, ogni sforzo,ogni tentativo bene o male riuscito, laica preghiera”

(anonimo)

 

 

 

 

domenica 21 settembre 2025

Mani Nude



Mani nude, pellicola del regista Mauro Mancini tratta da un libro di Paola Barbato, si alza come un urlo silenzioso, una danza brutale tra carne nuda e immutabile destino.

Davide, ragazzo ‘bene’, trascinato suo malgrado nel fango dei combattimenti clandestini, non veste keikogi né onora Dojo, ma ogni colpo è un drammatico haiku di sopravvivenza.

Le Arti Marziali qui non ci sono, eppure ci sono. Non c’è kata, non c’è rispetto, ma il corpo comunica, come in ogni disciplina che nasce dal vuoto per domare il caos.

Minuto, l’allenatore, non insegna la Via del guerriero, ma una semplice e raccapricciante via del dolore, dove il tatami è cemento e il saluto è mostrare le mani nude.

Ciononostante, nel dramma della violenza, batte kokoro, il cuore marziale: Il combattimento come specchio dell’anima, il combattimento come rito di passaggio, la sofferenza come maestro silenzioso.

La pellicola non celebra l’Arte, la profana, la distorce, la obbliga a urlare. Ma proprio lì, nel suo tradimento, ci ricorda quanto sia sacra, quanto rantoli nel profondo di ogni umano. Quanto sia importante riconoscerla.

Mani Nude è il lato oscuro del Bushido, dove l’onore è violentato dalle scommesse e il guerriero non anela alla pace interiore e nemmeno alla vittoria, ma ad una impossibile redenzione

Una pellicola che non sprona ad imparare a combattere, ma a sopravvivere con tutte le proprie pur esili forze. Non indica la Via, ma il prezzo pesante di averla smarrita.

Poca, pochissima musica a sostegno delle riprese, chiaro / scuro a regnare sovrano, recitazione essenziale ed asciutta. Bellissimo. Per stomaci forti e curiosi, per ricercatori di sé e dello stare al mondo.

In TV su Paramount plus

 


 

 

mercoledì 17 settembre 2025

Il Corpo in Cerchio: Il Tai Chi Chuan e la traccia del Movimento


Esperienze di verticalità nel cerchio
Il Tai Chi Chuan danza cerchi, cerchi dentro cerchi, come onde che si rincorrono senza mai toccare il bordo.

Dov’è la linea retta? Dov’è l’allineamento? Si nascondono nell’arte sottile di non smarrire il centro, mentre il mondo gira intorno.

Il corpo è un archivio muto: Una mappa di gesti passati e una predizione di movimenti futuri. Ogni postura è un’eco che rimbalza, ogni inclinazione, un presentimento.

Noi Spirito Ribelle pratichiamo Tai Chi Chuan, Pa Kwa / Hakkeshou, Taiki Ken, nei cerchi come in un labirinto di vento, attenti a non perdere l’orientamento, affidandoci all’intuizione.

Ogni gesto non è mai solo presente, è memoria viva, è aspettazione che vibra, è spirale che coniuga ciò che è stato a ciò che sarà.

E così il corpo marziale danza, non per imitare, non per arrivare, ma per rammentare e anticipare il cerchio che verrà.

Perché nel cuore di ogni Arte Marziale autenticamente interpretata, dunque che si muove come una danza dolce e consapevole, si nasconde un paradosso affascinante: “Il Tai Chi è fatto di cerchi, cerchi dentro altri cerchi. Quindi dov'è l'allineamento, la linea retta? Bene, è questa l'arte! Come muoversi attraverso i cerchi senza perdere il senso dell'orientamento e l'obiettivo finale” (così scrive Laurie Anderson nella prefazione a ‘Il mio Tai Chi. L’arte dell’allineamento’ di Lou Reed, che mi permetto di consigliare). Il praticante si immerge in una geometria fluida, dove ogni gesto è una spirale che si apre e si richiude, un moto che non ha inizio né fine, ma che procede verso una direzione apparentemente invisibile, un asse interiore.

Questa danza circolare non è mai casuale. Ogni posizione del corpo, ogni inclinazione del busto o flessione del ginocchio, è l’effetto di ciò che è appena accaduto o di ciò che è lì per accadere. Rudolf Laban, coreografo e teorico del movimento, lo esprime così: “La posizione del corpo è sempre il risultato di movimenti precedenti o l'anticipazione di movimenti futuri, che lasciano la loro impronta nel portamento corporeo o la fanno presagire.” (R. Laban ‘L’arte del movimento’).

Alternanza di spinta e trazione nella densità di corpo in movimento


Il corpo, dunque, è un immane libro vivente, una memoria in movimento in grado di scrivere sempre nuove pagine.

Questa memoria si manifesta nei cerchi. Ogni gesto è un’eco del precedente e un’anticipazione del susseguente. Il praticante non si muove mai da un punto ad un altro in linea retta, ma propone gesti e percorre traiettorie che aggomitolano lo spazio, come se il tempo stesso fosse materia fluida da attraversare. Eppure, in questa apparente assenza di linearità, si nasconde una profonda coerenza: L’allineamento non è geometrico, ma intuitivo. È la capacità di mantenere la rotta interiore mentre il corpo disegna arabeschi nello spazio.

Se Laban, e la sua pratica lo testimonia, ci invita a interpretare il corpo come una scrittura: Ogni gesto lascia una traccia, ogni postura è una parola che narra il passato e anticipa il futuro, Laurie Anderson e Lou Reed ci mostrano come, nelle Arti Marziali Neijia / Naido, questa scrittura si fa cerchio e il cerchio esprime l’intuizione. Il corpo non è mai fermo e statico, ma, anche nelle posture apparentemente ‘immobili’, sempre in transizione, in equilibrio tra ciò che è stato e ciò che sarà.

In questa prospettiva, le Arti Neijia / Naido non sono semplicemente un’arte di combattimento né una pratica salutistica, quanto una filosofia del movimento, filosofia incarnata. È l’arte di vivere l’inevitabile scorrere del tempo attraverso lo spazio, di muoversi nei cerchi senza perdere il centro. È la relazione incessante tra memoria e anticipazione, tra forma e flusso, tra la linea invisibile che guida e il cerchio che avvolge.

 

Tigre: "Silenzio tetro. Nell'aria, il balzo fende l'ombra della preda"


venerdì 12 settembre 2025

Più lento, più profondo, più dolce: la Via marziale verso la conoscenza di sé

 


Tanren 1 Serpente Curioso, la diversità tra onda Chen e Yang
In un mondo che sempre più corre, che accelera, che consuma esperienze come fossero trofei da bacheca, la pratica delle Arti Marziali ci invita a rallentare. Non per sottrarci alla vita, ma per penetrarla, viverla con maggiore intensità. Viversi intensamente e intensamente abitare l’ambiente in cui stiamo necessita della pazienza di attraversarli lentamente: Le Arti Marziali, nella loro forma più autentica, di Bujutsu che si fa Budo, sono un percorso da compiere a piccoli passi, con respiro profondo e profondo guardare.

“In quanto società dell’azione, la società della prestazione si evolve lentamente

in una società del doping”

(Byun Chul Han. ‘La società della stanchezza’)

Il tempo del corpo integrato

Ogni gesto marziale, dal semplice saluto alla più complessa combinazione di spostamenti, calci e pugni, è un invito a sincronizzarsi con il tempo interiore. Non si tratta di eseguire, ma di abitare il movimento. Quando il corpo rallenta, la parte mente si apre a nuove ed inaspettate scoperte. Quando il ritmo si fa più dilatato, l’ascolto si fa più profondo. In questa lentezza consapevole, il marzialista scopre che la forza non è nella rapidità, ma nella presenza, nell’essere con tutto se stesso nel “qui ed ora”.

“È alla pacatezza che ambisco, quello della vela sopra un mare che la asseconda”

(Litfiba. ‘Vivere il mio tempo’ https://youtu.be/bQTmk_o7rk4?list=RDbQTmk_o7rk4)

Lentezza come Via alla profondità

Nelle pratiche di Arti Neijia Kung Ku / Naido, è la lentezza il principio fondante. Ogni gesto si dilata, si esplora, si materializza nel vuoto. Ogni gesto è un fluire. La padronanza della rapidità nasce proprio dalla comprensione originata nella lentezza laddove l’insegnamento principale è il sentire quando e come. Percepire sé e con sé l’altro; abitare consapevolmente lo spazio condiviso; cogliere yomi e yoshi (1) e farlo nel momento giusto, quello del silenzio che permette l’ascolto.


Movimenti liberi a sperimentare onda Chen e onda Yang

“Tutto ciò che è squisito matura lentamente”

(Schopenhauer ‘ Parerga e paralipomena’)

La dolceza che è forza

Più lento, più profondo, più dolce” non è una rinuncia alla forza, ma una sua trasfigurazione. Nelle Arti Marziali, la dolcezza è la capacità di fluire, di adattarsi, di trasformare la rigidità in apertura. È la forza che non rompe, ma piega. Che non domina, ma guida. È il principio dell’acqua che scava la roccia con pazienza. E’ l’acqua che, con la formazione costante e la passione mai sopita, un giorno, forse, diverrà vapore: Intoccabile, invisibile.


Con la dolcezza sei invincibile, tieni al guinzaglio anche il vento”

(attribuita ad A. Aschiarolo)



Movimenti liberi a sperimentare onda Chen e Yang



Attraversare sé stessi

Praticare un’Arte Marziale significa attraversare sé stessi. Significa incontrare la propria Ombra (2): Paure, pulsioni … istinti. E farlo lentamente, con rispetto, senza la pretesa di cancellarli o dominarli. Perché solo nella lentezza si può davvero sentire e solo sentendo si può davvero comprendere, accettare, trasformare. La conoscenza di sé non è un dato, ma un percorso. E l’ambiente, che è il Dojo, quattro mura e un tetto come pure uno spazio aperto, che è il compagno di pratica, diventa specchio e terreno di questa esplorazione.


"L'obiettivo non è solo quello di distruggere l'avversario, ma prima di ogni cosa

di vincere la propria ansia, la collera, la follia che è insita in ognuno di noi".

(Bruce Lee)

Le Arti Marziali non sono solo tecniche di difesa ed offesa per non soccombere (Bujutsu). Sono una Via (Budo) e come ogni autentica Via, richiedono pazienza, tempo, ascolto, passione e profondità. Richiedono la saggezza di chi non ha fretta di arrivare, ma desidera davvero essere.

 

PS) Ecco perché il Maestro Sugino Yoshio, alle soglie degli ottant’anni, non aveva problemi a dominare, bokken in pugno, colpi e fendenti di allievi, alcuni Maestri a loro volta, ben più giovani di lui; il Maestro Tokitsu Kenji, pur appesantito dagli infortuni e ormai vicino agli ottanta, piega la resistenza che gli oppongono aitanti giovanotti grossi come armadi; il Maestro Xia Chaozen lo trovo ben più solido e micidiale ora che si approssima ai sessant’anni di dieci anni or sono.

 

1. Succintamente, chiamiamo Yomi percepire la volontà dell'avversario, Yoshi cadenza e ritmo.

2. Gli aspetti della natura pulsionale dell’individuo che, per incompatibilità con la forma di vita scelta coscientemente e le regole sociali, non vengono vissute e si uniscono a formare nell’inconscio una personalità parziale relativamente autonoma.

 

 

Han, onda a sradicare

martedì 9 settembre 2025

Il mio pensiero di Settembre 2025

 

Milano, se ben ricordo correva l’anno 1980. Dopo alcuni di mesi di pratica nella palestra dell’Umanitaria, ci ritroviamo alla ‘Antica pizzeria fiorentina’: Lì poniamo le basi per la nascita di un’associazione vera e propria, che chiameremo ZNKR.

 

E' così che inizia a prendere forma l’avventura. Un minuscolo nucleo di giovani e meno giovani uniti dall’amore per la pratica marziale (allora era il Karate), l'antico sapere samurai e la sua diffusione. Ventenni e trentenni che collaborano tra di loro per studiare e divulgare il bagaglio culturale nipponico, per promuoverne la conoscenza. Negli anni, il piccolo gruppo vedrà i componenti originari andarsene ed essere sostituiti da nuovi adepti, vedrà ampliarsi la pratica marziale e con essa il sapere teorico, irradiandosi verso l’enorme Cina con le Arti Marziali autoctone ed il pensiero taoista, l’arcipelago delle filippine con i diversi stili di Kali, toccando anche l’americanizzazione e sportivizzazione marziale che sarebbe diventata Kick Boxing, senza mai mancare l’opera divulgativa filosofica. Inevitabilmente, da buoni italiani del XX secolo, piano piano questo corposo sapere pratico e teorico, verrà integrato da moderne discipline e teorie del movimento che lambiscono il mondo marziale quando non ne sono totalmente lontane.

 

In quegli anni nascono il periodico SHIRO, le VHS divulgative del nostro modo di praticare, le dispense tecniche, gli spettacoli di Teatro Marziale, le conferenze pubbliche sui vari temi del marziale e del movimento, le lezioni aperte, la partecipazione a feste popolari ed i corsi dentro e fuori dal Dojo rivolti sia a normodotati che a diversamente abili o minoranze etniche, spesso sotto l’egida di istituzioni pubbliche o private. 

 

Sarà sempre un esercizio dell’opinione e del pensiero che dalla pratica marziale e corporea in generale investirà non solo il terreno filosofico, ma anche ambiti psicologici, androgici /pedagogici, motivazionali e di crescita individuale, fino a riflettere sui problemi dell’attualità, sulla collettività e sulla formazione / educazione, avanzare proposte di soluzioni, ma anche solo fare delle domande ed alimentare l’arte del dubbio nelle menti di lettori e spettatori. Sarà l’attuazione e la pratica del pensiero critico e della messa in discussione di ogni atteggiamento fideistico, al fine di stimolare un pensiero autonomo e mai banale anche negli altri, accrescere una passione per la pratica marziale che mai sia disgiunta da una attenta riflessione su di essa. Diffondere un metodo androgico /pedagogico per un individuo che, per me, per noi ora Spirito Ribelle, non smetta mai di formarsi, di crescere e di migliorare se stesso e, con sé, la collettività in cui vive.

 

Per tutto quanto sopra, anche nella stagione 2025 – 2026, destino permettendo, sarà mia premura, con il praticare di corpo, continuare a studiare e scrivere di corpo, movimento, conflitto, integrando tra di loro anche tutte quelle manifestazioni artistiche, umane, comunque riconducibili alla conoscenza ed allo sviluppo individuale e collettivo.

 

A chi mi vorrà leggere auguro il piacere di una lettura che sia stimolante e, magari, dopo anni di silenzio cimiteriale, foriera di personali riflessioni da esporre e condividere sul mio blog.

 

Intanto, aspetto consigli e suggerimenti per argomenti da affrontare.

 

 

 

sabato 6 settembre 2025

Nel ritmo del gesto, il senso dell’essere: La danza silenziosa tra corpo, tempo e spazio

“Tutto quello che affermiamo del mondo è imprescindibilmente legato, determinato, dal nostro essere spazialmente, percettivamente, corpo”

(A.G.A. Naccari ‘Persona e movimento. Per una pedagogia dell’incarnazione’)


Eco soffocato di un rumore lieve, la frattura sorda dei rami e l’erba schiacciata dai piedi. Il cuore batte nel petto, respiro lieve, i pantaloni sfiorano cespugli vigili a sorvegliare il giardino.

Mani danzano nell’aria, ghirigori e spirali, cerchi di braccia e di piedi. Antico sapere taoista si esprime Tai Chi Chuan e Pa Kwa.

Ho il mio respiro tra le mani e in qualche modo sento di avere tutto me stesso raccolto lì dentro.

Da tempo ho scoperto che ci sono momenti in cui ci si sente del tutto estranei al nostro corpo e da ciò che ci parla attorno; non solo estranei a noi stessi, ma pure a chi e cosa, con la sua presenza, si fa unico testimone del nostro esserci. Esserci davvero.

Ma se prestiamo attenzione al nostro respirare e a come esso si coniughi ai gesti, lenti o rapidi, nello spazio, l’estraneità scema. Denti a contatto lieve tra di loro, un minuscolo sorriso a increspare il volto, schiena bene dritta percorsa da fremiti ed onde: L’aria viene risucchiata ed esce come riscaldata, vitalizzata da noi e dal nostro esserci e muoverci in quel momento, dal nostro corpo calato nel rimo dei gesti. L’aria, che è energia, si fa linguaggio tra noi e l’ambiente.

Sono le mani che incantano e uccidono di Neri e Yuri, sono gli evitamenti repentini di un corpo che scarta e rientra tra angoli di 45° e cerchi sempre più piccoli, sempre più infidi.

 

“Avere ginocchia flessibili è molto importante, ciò indica, infatti, simbolicamente, l’opportunità di non irrigidirsi di fronte alle avversità”

(E.E. De Miranda. ‘Il corpo territorio del sacro.)



Sono quello che sono, sono fatto così: nelle ginocchia che scricchiolano e sibilano ad ogni movimento in cui il bacino tenta una timida seduzione del terreno accostandosi più del dovuto, più dell’ordinario.

Ma inneggio alla fortuna ad ogni movimento, piccolo o grande che sia, perché non sono costretto a stare fermo, perché, giorno dopo giorno, Chi Kung / Kiko e pratiche motorie generaliste mi aprono di corpo, mi permettono ampiezze e traiettorie impensabili prima, impensabili nonostante l’avanzare inesorabile del tempo, l’accumularsi degli anni.

Le parole del Maestro sono sempre presenti nelle mie orecchie là dove l’obiettivo è sì l’acqua e la sua duttilità, la sua adattabilità tanto quanto il suo enorme potere travolgente. Ma poi l’acqua andrà a sparire, divenendo vapore: L’obiettivo ultimo, supremo.

 

“La chiave del Tai Chi è proteggere il chi nel corpo”

(L. Reed. ‘ Il mio Tai Chi. L’arte dell’allineamento’)

 

Il corpo in avanti provo a flettere, oppure indietro, a sinistra e a destra; poi alzo le braccia sopra il capo e con esse le mani, le metto ovunque, curiose predatrici di spazio ancora sconosciuto.

Peng Lu Ji Han, azione espansiva e di protezione, ritirata e squilibrio, pressione travolgente e infine scardinare la resistenza sottraendole la certezza dell’appoggio sul terreno.

Con il me - corpo mi posso spostare nello spazio attorno, creare movimenti a piacere e un intero mondo andare a scoprire.

Respiro e sento un rumore perché dentro c’è il cuore che batte, basculo il bacino e faccio la mia mossa e dentro sento le ossa, i femori che scartano.

Fascino suadente del praticare Arti Marziali, del praticare consapevole di corpo.

Come si può mai meravigliosamente tremare dentro di incertezza e passione se non si percorre il fascino di sé – corpo in movimento? Negli anni di pratica il fascino cresce, a volte appassisce ma poi sempre ritorna grande e nel viaggio tutto si sublima, si espande fuori e dentro. Ci si trova a guardarsi attoniti e sereni mentre si cammina, lenti o spediti, dentro un viaggio senza meta.

 

“Non è importante aggiungere anni alla vita ma vita agli anni”

(R. Levi Montalcini)

 

 


 

 

 

lunedì 1 settembre 2025

Disuguaglianze patenti e latenti: la Triennale Milano 2025 riflette sul presente

 La 24ª Esposizione Internazionale della Triennale di Milano, intitolata

Inequalities,



si propone come una delle più potenti narrazioni visive e performative di questi anni. Aperta fino al 9 novembre 2025, la mostra affronta il tema delle diseguaglianze in modo transdisciplinare, trasversale e con anche un occhio di riguardo alla dimensione corpo e movimento come linguaggio universale di espressione e trasformazione antagonista, persino alternativa.

Monica, che mi ha suggerito l’evento, ed io approfittiamo del mese di Agosto, proposto gratuitamente, per una visita. La mostra è davvero tanto enorme nelle sue diverse facce che non riusciamo a vederne che una piccola parte, così, anche spinto dal fascino e dai potenti stimoli che mi ha procurato, torno a completarne la visita con mio figlio Lupo.

Colpiscono subito e per tutto il tempo della visita le disuguaglianze patenti e latenti che abitano il mondo contemporaneo, cogliendo aspetti della realtà che ci sfuggono o che, a volte egoisticamente, preferiamo non approfondire. Il percorso è denso, densissimo, e l’abbondanza di materiali in mostra (tra testi, video, infografiche, diagrammi ecc.) richiede il giusto tempo di assimilazione e riflessione.


Sono profondamente scosso dallo scoprire quante menti, quante intelligenze, in tutto il mondo, stiano da anni studiando e lavorando per cercare e testare modi e soluzioni di vita capaci di invertire la rotta che vede aumentare drasticamente la disuguaglianza tra benessere e malessere, tra i pochi privilegiati e la massa di poveri che va ingrossandosi sempre più. I mezzi di comunicazione di massa non ne parlano né scrivono mai, li silenziano nascondendoli. Sono voci e pratiche minoritarie, isolate, eppure così temute da costringerle sempre e ovunque sullo sfondo? Da sminuirle etichettandole come utopie irrealizzabili?

Fanno così paura?

Ogni padiglione, tolti probabilmente gli ultimi due, offre motivi di autentica sorpresa nella capacità di mostrare e spiegare il cuore del conflitto e della disuguaglianza lì presentata quanto le soluzioni già in atto o possibili. Sono autenticamente sorpreso e contento che, da qualche parte in ogni angolo del mondo, Cina o Italia, Giappone o Polonia ecc. ci sia qualche anima ribelle che si impegna, spende tempo ed energia e denaro per contrastare lo sfacelo disumanizzante cui stiamo correndo incontro.

Non riesco a scegliere chi qui evidenziare perché significa scartare intelligenze e prestazioni comunque straordinarie, ci provo già lamentandomi per chi escludo.

  • Al piano superiore la mostra We the Bacteria illustra su tavoli e installazioni ben congegnate la tesi dell’«architettura biotica»: Non è più pensabile un’architettura a «supporto ortopedico» dell’uomo fragile continuamente protetto da malattie, paure e disturbi, mentre va inteso come un ecosistema mobile in cui i tanto temuti microbi e batteri divengano nostri alleati già nella costruzione delle case. E già lo sono in diversi, per me incredibili, casi nell’agricoltura, nella difesa del territorio, nella medicina stessa. Un modo straordinario di proporre l’architettura!!
  • La Norman Foster Foundation (NFF) mostra progetti per la trasformazione di un insediamento informale in India, la rigenerazione di una città distrutta dalla guerra in Ucraina, un’alternativa alle tende nell’accoglienza dei rifugiati, soluzioni abitative sostenibili economiche e di alta qualità, idee per produrre energia pulita, moduli edilizi industrializzati.
  • Un’installazione di Federica Fragapane pone in evidenza la consapevolezza che dati e numeri, così come le visualizzazioni stesse, non sono entità neutre, oggettive, ma il frutto di ricerche e azioni umane. I temi trattati non sono visti come immagini bidimensionali, ma come una moltitudine di angoli, più o meno latenti. Il progetto ne mostra alcuni, rendendoli visibili. Le forme tracciate raccontano le asimmetrie, le distanze e le differenze di scala rivelate dai dati.
  • La Repubblica della longevità ci porta dentro Cinque Ministeri – dello Scopo, dell’Uguaglianza del Sonno, della Democrazia Alimentare, della Libertà Fisica e dello Stare Insieme – che mostrano come comportamenti quotidiani, oggetto di disuguaglianze, possano diventare strumenti per democratizzare la salute e colmare le disparità sanitarie. E’ una dimostrazione scientifica ed artistica insieme che è possibile cambiare per vivere tutti meglio.



Certo, da vecchio uomo di sinistra, non posso non nutrire qualche dubbio sui fondamenti epistemologici di alcune di queste soluzioni, su quanto esse non siano semplicemente la faccia bonaria e paciosa di uno sfruttamento solo più edulcorato, meno aggressivo; se davvero nascerà un movimento collettivo, antagonista o sarà tema dei soliti pochi privilegiati, poiché salute e disuguaglianze sono questioni tanto interconnesse quanto strutturalmente legate a quella di ‘classe’, parola (e lotta) ormai dimenticata dalle forze cosiddette di sinistra.

Non potevano mancare, qui e là, riferimenti al corpo e al movimento intesi come vulnerabilità e potenza, protagonisti in alcune delle installazioni fisse e, a venire, in alcuni interventi.

La mostra non si limita a rappresentare il corpo, lo interroga come spazio biopolitico. Le diseguaglianze si mostrano nei corpi che abitano le città, nei gesti quotidiani, nelle possibilità di movimento e accesso. Come scrive Stefano Boeri, presidente della Triennale, “parleremo di città e spazi, ma anche di corpi e vite… di come le diseguaglianze agiscano sulle aspettative di salute e speranza di vita”.




Inequalities riesce a trasformare il corpo da semplice oggetto estetico a soggetto critico. Il movimento, in tutte le sue forme — danza, performance, cammino, gesto — diventa strumento per denunciare, ricordare, immaginare. In un mondo dove le diseguaglianze si fanno sempre più strutturali, la Triennale ci invita a osservare i corpi non solo come veicoli di bellezza, ma come archivi viventi di esperienze, traumi e speranze.

Mostra straordinaria, mi permetto di leggerla come occasione imprescindibile per chiunque voglia vivere e non sopravvivere, voglia essere consapevole di chi è e cosa sta facendo in questo mondo, necessiti di sapere che non è solo nella sua lotta per una vita collettiva migliore.