lunedì 24 novembre 2025

L'Arte della Guerra cap. 5




L’Arte della Guerra, di Sun Tsu (circa VI secolo a.c.) 

Brevi riletture nel terzo millennio che pongono domande, che sollecitano dubbi, che avanzano proposte 

Cap. 5

Ordine celato, forza che danza

"Il successo in guerra deriva dall'abilità nell'uso delle forze ordinarie e straordinarie", così scrive il generale Sun Tsu al capitolo 5 del suo ‘L’Arte della Guerra’.

Ma cosa significa nel concreto di chi pratica Arti Marziali?

Da decenni, la pratica che prima fu ZNKR ed ora Spirito Ribelle mostra come il marzialista non si affida solo alla tecnica imparata, quanto alla capacità di trasformarla dentro uno straordinario processo alchemico. La forza ordinaria è il corpo Korper che esegue, la straordinaria è l’animo che ascolta e realizza, il corpo Leib come esperienza totale, come essere totalmente ed integralmente incarnato.

Non a caso l’insegnamento Tradizionale ammonisce di osservare i tre passi: Primo eseguire, secondo sistemare l’esecuzione, terzo entrare dentro, vivere l’esecuzione perché diventi parte integrante di te trasformandosi lei e trasformandoti tu.

Come ti muovi quando la forma non basta? Quando la situazione muta e ciò che hai imparato non basta più, non si applica più?

"Tutto appare caotico nell'andare della lotta, ma esiste un ordine che la dirige." Questo ordine non è scritto nei manuali, non si impara nell’imitazione di gesti codificati. È il ritmo che si svela solo agli occhi di chi sa vedere con kokoro, il cuore. È il sapere che non si irrigidisce, ma si rinnova. È il passo che si adatta, il gesto che si flette senza spezzarsi né perdere la sua autenticità. E’ sapere incarnato.

Il bravo mazialista non è colui che domina la forma, ma colui che la lascia andare ogni volta che serve. Che sa essere acqua divenendo all’occorrenza vapore, vento leggero divenendo tempesta, roccia divenendo acciaio. Che sa quando essere visibile e quando scomparire. Che interpreta correttamente il motto “ferro avvolto nel cotone”.

"Il disordine del nemico è un prodotto del tuo ordine nascosto." Nella vita di tutti i giorni, il nemico non è sempre (quasi mai?) un altro. A volte è la paura, l’orgoglio, la rabbia, l’abitudine. A volte è il pensiero che ci imprigiona, il pregiudizio che ci blocca. Ma se dentro di te coltivi il vuoto fertile, la consapevolezza, la disponibilità… allora anche il disordine più eclatante si piega e la confusione si dissolve.



Hai mai sentito il momento in cui tutto si muove attorno a te, ma tu sei fermo e stabile? Non come una statua, ma come un centro che respira, un equilibrio labile? Hai mai vissuto un giorno in cui la tua forza non stava nell'agire meccanico di conseguenza ad uno stimolo, ma nel non reagire e fluttuare tra le forze caotiche attorno a te?

Hai compreso, di corpo tutto e non solo di testa, la differenza tra un animale dominato dall’istinto che lo obbliga a reazioni fisse e immediate, sostanzialmente prevedibili, in determinate situazioni ed un guerriero (‘colui che sa stare nei conflitti’) capace di attingere all’intuito ed al Sapere Profondo per dare risposte non convenzionali, non prevedibili?

"La sua codardia nasce dal tuo coraggio; la sua debolezza dalla tua forza." Il mondo risponde alla tua capacità vibratoria. La pratica marziale non è solo difesa o attacco essa è relazione, è ascolto. È il modo in cui entri in una stanza, con rispetto ma senza timore; in cui guardi negli occhi fermo e deciso ma senza sfrontatezza; in cui scegli di non alzare la voce, semmai di abbassarla.

E tu, come fai della tua Arte Marziale pratica di ogni giorno? Nel modo in cui cammini, nel modo in cui parli, nel modo in cui ti lasci stupire senza scomporti. Nel modo in cui impari, ma non ti aggrappi al ‘cosa’ hai imparato. Nel modo in cui proponi, ma non imponi.



La vittoria autentica non è sopraffare qualcuno, essa sta dentro. È il momento in cui ti accorgi che oggi puoi essere diverso e un poco meglio di ieri. Che puoi danzare con la forma senza esserne prigioniero. Che puoi essere forte, ma non duro. Che puoi essere presente, ma non invadente. Perché La forza interiore è la protezione più potente che hai. Non aver paura di assumerti la responsabilità della tua felicità” (Dalai Lama)

Allora, tu che mi stai leggendo, che tipo di forza stai coltivando oggi? È ordinaria o straordinaria? È visibile o nascosta? È tua… o è quella che il senso comune ti ha chiesto di indossare? Sei tu, a tuo modo, forte, o ti proteggi dietro le tecniche e le certezze che hai appreso imitando al meglio lo stile, l’Arte che vai studiando?

Applicheremo concretamente quanto qui sopra, relativo al cap. 5 de “L’Arte della Guerra”, in un prossimo nostro incontro del Martedì.

Ogni presenza, vecchia o nuova, sarà la benvenuta.






mercoledì 19 novembre 2025

L'Arte della Guerra capitolo 4

 












L’Arte della Guerra, di Sun Tsu (circa VI secolo a.c.)
 

Brevi riletture nel terzo millennio che pongono domande, che sollecitano dubbi, che avanzano proposte 

Cap. 4

L’arte invisibile della vittoria

Magari non sarà questa la sera giusta per cavalcare le possenti onde della pratica Spirito Ribelle, eppure, da qualche parte dentro di me, sento che ho disegni di corpo da realizzare, ho dubbi, uno dopo l’altro, da resuscitare.

Ed è così che il me corpo pensante si muove sospeso come una foglia nel vento, ricorda alcune brevi letture del libro “L’Arte della Guerra”, al capitolo IV. Non si lascia distrarre dal rumore dell’aria che vado spostando, ma si immerge nel respiro che ascolta, nel cuore che sente, nel corpo che sa.

"Essere invincibili dipende da noi; che il nemico sia vulnerabile, dipende da lui." Così scrive Sun Tsu. E in queste parole si nasconde una verità minuscola ma possente: La vittoria non è dominio sull’altro, ma padronanza di sé. Il guerriero esperto non cerca la debolezza altrui, ma coltiva la propria forza come un giardino segreto. Egli si rende invincibile non perché annienta, ma perché non può essere annientato.

Ma cosa significa essere invincibili? Forse la sincerità verso se stessi, la capacità di guardarsi nudi e senza maschere, di riconoscere la propria Ombra senza fuggire, senza giudicare? Non è forse il sentire profondo, quel percepire spontaneo che afferra il senso di ciò che accade prima che la mente razionale lo traduca in pensiero?

"Il Generale può conoscere il modo per vincere, ma questo non significa che possa attuarlo." La conoscenza non basta. Occorre vigile presenza, sincera apertura a quel che accade in quel momento.

"Gli esperti della guerra coltivano il Tao e rispettano le leggi; per questo sono capaci di pianificare politiche vittoriose." Il Tao, più che una complessa strategia, è una disposizione dell’animo. È il fluire con ciò che è, senza dannarsi a forzare, senza dannarsi a trattenere. È il rispetto delle leggi a noi invisibili che governano il ritmo delle cose, il battito del mondo.

Allora, forse, la vera vittoria è questa: Non quella che si celebra con pennacchi e rullar di tamburi, ma quella che si realizza nel silenzio fertile di un gesto semplice e corretto, nel tempismo di una parola che non ferisce ma apre al dialogo, nella scelta di non reagire, ma di agire.

Ti sei mai chiesto, tu che mi stai leggendo, quante volte hai cercato di vincere fuori, fuori da te, quando la battaglia invece era dentro, dentro di te? Quante volte hai ignorato il tuo sentire, per seguire una strategia che non ti apparteneva, un modus operandi copiato da altri?

E se il tuo personale essere ‘invincibile’ fosse già lì, nel tuo modo unico di percepire il mondo, sei pronto ad ascoltarlo e realizzarlo? Sì, ne sei capace, io lo so.













giovedì 13 novembre 2025

L'Arte della Guerra cap. 3

 L’Arte della Guerra, di Sun Tsu (circa VI secolo a.c.) 

Brevi riletture nel terzo millennio che pongono domande, che sollecitano dubbi, che avanzano proposte 

Cap. 3



La voce del Tao nella pratica marziale

Nel silenzio che precede il gesto, Heio si manifesta come vento possente: Non è furia, ma strategia che danza, aggressiva sì ma che non cerca la distruzione, quanto offre la possibilità sottile, okuden, nascosta, di ottenere la vittoria.

Ma che cos’è vincere, se non dissipare l’ostacolo tra me e lo scopo? La vittoria non è trionfo, è dissoluzione della tensione, è il punto in cui il conflitto si svuota e resta solo l’apprendimento.

Nel Tao dello scontro, non c’è violenza, ma Do, la Via. Wu wei , che è agire senza forzare, è il passo che cancella l’ostacolo senza opporsi, come l’acqua che distrugge la roccia senza mai combatterla.

Perché ottenere cento vittorie in cento battaglie non è l’apice della maestria. L’esperto nell’arte della guerra sottomette il nemico senza lottare” (Sun Tsu)




Così il guerriero si trasforma: dal Bujutsu, dove la lotta è sopravvivenza, al Budo, dove il combattimento è crescita. Ogni percossa è una domanda, ogni intercetto una risposta, ogni caduta un insegnamento.



Nel cerchio dei praticanti Spirito Ribelle, non si forgia il corpo meccanico, korper, ma il corpo leib, che è cuore che sa ascoltare, mente che sa cedere, animo che sa stare nella violenza del confronto.

Perché l’Arte Marziale, quando è arte del saper vivere, non cerca vincitori, ma esseri umani più profondi, più presenti, esseri umani autentici, coraggiosi, erotici e vitali.









martedì 11 novembre 2025

Yuri e Neri: Immagini che respirano nel corpo del Kenpo Taikiken

 Il piccolo cortile sotto la mia abitazione accoglie flebili lame di sole, le ultime che un esile Novembre oppone all’avanzare del cupo autunno. Mi muovo lento, calpestando sassi e rade distese d’erba, attorno le mura di una casa, la parete di legno che avvolge il circolo ricreativo, alcune biciclette lì addossate, il malandato cancello che mi separa dalla strada. Minuscolo e nascosto spazio verde dentro una metropoli ormai affogata nel cemento.

Pratico lento e poi sprazzi improvvisi di rapidità vorace, quando il corpo si fa ascolto e ogni pensiero si dissolve nel gesto, emergono due correnti invisibili: Yuri e Neri. Non sono waza, tecniche, non sono forme. Sono onde interiori, movimenti primordiali che sorgono dal centro e si espandono come visioni incarnate.

Yuri / Neri sono immagini che respirano. Un’inspirazione che succhia, raccoglie, un’espirazione che si espanda, libera. Un gesto che non colpisce, ma rivela.

Nel primo di questi, Il corpo si flette come la marea che si ritira. Le braccia succhiano a sé l’energia dell’ambiente, a nutrirsene. L’aria entra, profonda, e con essa l’intuizione: Non per trattenere, ma per travolgere, onda possente, inarrestabile.

Poi l’espirazione: Un’esplosione che è tanto violenza quanto espansione. Il gesto si apre come un’onda gigantesca, che travolge senza urto, che abbraccia e spinge, che dissolve ogni distanza tra me e l’altro.

Nel terzo, il respiro è più sottile. L’ispirazione è un filo che si tende, una lama che si affila nel silenzio. Le mani si raccolgono come un ago che cerca il punto preciso, il cuore del bersaglio invisibile.

L’espirazione è una traiettoria, una penetrazione che nello squarciare svela. Come un pugnale che nell’aprire la carne fende la nebbia dell’illusione, dita assassine.

Ogni Yuri / Neri ha la sua propria immagine intimamente legata alla respirazione e a quel preciso gesto corporeo. Ogni Yuri / Neri è un’arma diversa: Trattiene, difende, evita, blocca e colpisce, disperde, scardina, travolge, in modo diverso.

Immagini che guidano il gesto

Ogni gesto si accompagna ad un’immagine che nasce dal respiro e si modella esprimendo l’immagine stessa. Ogni Yuri / Neri narra una storia guerriera diversa e senza questo immaginare, senza questa reverie, resterebbe solo gesto tecnico, vuoto waza, arida imitazione.


Perché non si tratta di imitare, ma di essere quell’immagine, di viverla in toto. Essere l’onda, essere il pugnale, essere il vento che raccoglie e il fuoco che espande.

Nel Kenpo Taikiken, il corpo non esegue, esso risponde. Risponde all’immagine che lo anima e gli dona la vita, al respiro che lo guida, alla necessità che lo attraversa.

Il ciclo eterno: Inspirare per conoscere, espirare per manifestare

Così, nel fluire di Yuri /Neri, tra raccogliere e circondare, tra onda e pugnale, il praticante diventa poeta del gesto, pittore dell’invisibile, testimone di un’arte che respira. Individuo vitale ed erotico.



Uno dei prossimi Martedì, esploreremo quanto, facendo

 dell’immaginare, di reverie, la scrittura del nostro praticare

Yuri / Neri.







mercoledì 5 novembre 2025

L'Arte della Guerra cap. 2

 L’Arte della Guerra, di Sun Tsu (circa VI secolo a.c.) 

Brevi riletture nel terzo millennio che pongono domande, che sollecitano dubbi, che avanzano proposte 

cap. 2

Il Soffio Breve della Vittoria

Generoso silenzio tra i praticanti, il tatami custodisce orme di passi consapevoli, ecco risuonare l’eco delle parole di Sun Tzu simili ad antico sutra: Una vittoria rapida è il principale obiettivo della guerra. Cosa significa vincere, per chi pratica l’arte del corpo e dello spirito? Per chi pratica Bujutsu, dove l’obiettivo è sopraffare per non essere sopraffatti, come passaggio ineliminabile e necessario dentro Budo, l’arte del saper vivere serenamente, del contribuire ad un mondo migliore?

Nel gesto della percossa che non colpisce, nel passo che evita invece di affrontare, si cela il principio del tempo breve. Il praticante non cerca il conflitto, ma lo dissolve. Non si perde nel labirinto della contesa, ma lo attraversa come vento tra le canne. Nessuno ha mai tratto profitto da una guerra prolungata. Così, anche nel combattimento, il tempo è misura di saggezza. Prolungare lo scontro è alimentare il fuoco dell’ego: Chi studia la Via, spegne le fiamme con un solo soffio.

Le Arti Marziali, come le intendo io, come le intendiamo qui allo Spirito Ribelle, non sono esaltazione della forza, ma danza del pericolo. Tutti quelli che non sono coscienti del pericolo che comporta l’uso delle armi, non potranno mai comprendere i vantaggi che derivano dal loro utilizzo. Il coltello, la spada, il corpo stesso sono strumenti che possono ferire, ma anche proteggere. Chi li impugna senza paura, ignora la loro ombra. Chi li impugna con rispetto, ne conosce la purezza.

La guida sensata e capace insegna agli allievi non a prevaricare, ma a vedere. Ad intuire lo scontro prima ancora che sorga, a vedere l’opponente come specchio di sé, a considerare la vittoria come dissoluzione di ogni sentimento ostile.

La pratica diventa allora poesia incarnata: La percossa che non parte, la guardia che accoglie, il corpo che si fa ku, vuoto, per non essere colpito.

In questo spazio sospeso tra gesto e intuizione, tra strategia e compassione, l’Arte della Guerra si trasforma in Arte della Presenza. E il praticante, come il generale saggio, non cerca la guerra, ma la sua fine.







venerdì 31 ottobre 2025

L'Arte della Guerra cap. 1

 


L’Arte della Guerra, di Sun Tsu (circa VI secolo a.c.) 

Brevi riletture nel terzo millennio che pongono domande, che sollecitano dubbi, che avanzano proposte 

cap. 1

Il cuore dell’imprevedibile: Arte Marziale come ascolto del continuo mutare

La guerra un avvenimento di vitale importanza per lo Stato, il terreno della vita o della morte, il passaggio che porta alla sopravvivenza o all’annichilimento: E’ dunque necessario uno studio serio ed approfondito” (Sun Tsu)

Affrontare ogni avvenimento richiede conoscerlo a fondo,ma che significa “conoscere”, quando ciò che accade è aria che cambia direzione, nuvola che muta forma, volto che si trasfigura nel tempo? Nel cammino marziale, come nella vita, non vi è mappa che possa contenere e spiegare l’intero territorio. Ogni scontro, ogni incontro, è un microcosmo dell’imprevedibile, un frammento dell’infinito che ci chiama a rispondere non con stolida certezza ma con accorta presenza.

L’imprevedibilità non è ostacolo alla pratica. Essa è il suo respiro nascosto. Come il vento che non si lascia afferrare, ma che può essere ascoltato nella piega di una foglia, così l’evento inatteso non si può sempre (mai?) dominare, ma si può attraversare. E per attraversarlo, occorre che il sé - corpo sia pronto, non pronto nel senso di una forma perfetta, di una conoscenza totale acquisita, ma pronto nel senso di una disponibilità radicale. Ecco la necessità, nella pratica marziale, di una gestualità formata non a ripetere, non ad imitare, ma a rispondere adeguatamente. Una strategia non per vincere, ma per comprendere. Una tattica non per controllare, ma per dialogare con l’incertezza.

La pratica costante è il nostro giardino. Ogni giorno,anche nel quotidiano del camminare, sedersi ed alzarsi, mangiare, leggere un libro, lavare i piatti ecc. occorre seminare movimenti, irrigare l’attenzione, potare le rigidità. Non per costruire una barriera, ma per coltivare una sensibilità che sappia sbocciare anche nel caos, nel disordine, nell’imprevedibile. Non per rifugiarsi nelle certezze di quell’Arte, di quello stile, ma per mettere alla prova kokoro, il cuore dell’Arte, ed hon, i fondamenti dell’Arte, su terreni sconosciuti.

Conoscere l’avvenimento è conoscere noi stessi. Ma noi stessi siamo parte ineliminabile dell’avvenimento. Siamo il fluire, il ritrarsi, il rispondere. Siamo il gesto che nasce nel vuoto, il pensiero che si curva, il respiro che si adatta. E allora, la pratica marziale diventa rito di ascolto, laboratorio di trasformazione, poesia incarnata nel conflitto.

Non si puo' sempre prevedere. Si può invece formarsi ad essere. Essere nel mezzo dell’onda, nel cuore del colpo, nel trambusto che precede l’azione. Essere come il cerchio che non ha inizio né fine, ma che accoglie ogni punto come centro.



mercoledì 29 ottobre 2025

Il mio pensiero di Novembre 2025

 

Ku, il vuoto fertile che folgora: Arti Marziali e autorealizzazione



Nel silenzio che precede il gesto, quando il piede sfiora il tatami e il respiro si accorda al battito del mondo, nasce la pratica guerriera. Le Arti Marziali non sono solo tecniche di difesa o coreografie di potere: Sono percorsi di individuazione, per usare il pensiero di Carl Gustav Jung, di incarnazione, ovvero rituali che modellano l’essere nella sua forma più autentica. Ogni movimento è un pittogramma disegnato nello spazio, una poesia che il corpo scrive per ricordarsi chi è e come potrebbe essere, sorta di psicoterapia incarnata.

Autorealizzarsi, in questo contesto, non è una meta da raggiungere, ma un processo da abitare. È lo sbocciare di tutte le potenzialità dell'individuo, contattato nella sua incarnazione, non come idea astratta, ma come presenza vitale, carne che vibra, shen, spirito, che danza. È la pienezza di vita che si esprime nella libertà di un gesto non condizionato, nell’autonomia di uno spunto che non cerca approvazione ma personale verità.

Il Dojo come tempio dell’Essere

Nel Dojo, ed ogni luogo può essere Dojo, ‘luogo dove si segue la Via’, ogni gesto è una dichiarazione di esistenza. Il saluto iniziale non è vacua formalità, ma invocazione: “Eccomi, sono qui, pronto a incontrare me stesso attraverso l’altro.” Il compagno di pratica diventa specchio, ostacolo, alleato. E nel confronto, l’energia Ki / Chi si espande, si libera. Non per dominare, ma per rivelare.

La disciplina nella pratica, soprattutto, per me, per noi Spirito Ribelle, quando non è autoritaria, militaresca, ma libertaria, non è costrizione bensì cornice. Dentro di essa, il sé - corpo trova insieme voce e silenzio, la sua autonoma e personale direzione. L’autorealizzazione, l’individuazione, si manifesta quando il praticante non imita, ma dall’esempio, dallo stimolo esterno, crea. Quando ogni sequenza diventa danza personale, quando il combattimento si trasforma in dialogo, serrato e passionale sì ma sempre dia logos (che è dove ragione e significato non stanno da una parte sola, ma emergono dal confronto), quando l'aspetto tecnico si dissolve nella presenza.

Espandersi come il Soffio, liberarsi come il Fuoco

Autorealizzarsi, camminare dentro l’individuazione, è un atto di coraggio: E’ dire sì alla propria incarnazione, accettandone anche la parte Ombra e, con essa, l’impossibilità di darle luce. Le Arti Marziali insegnano attraverso il corpo. Ogni caduta è una lezione di gravità e grazia. Ogni intercetto è un confine che riconosce, protegge ed accoglie. Ogni percossa è una domanda: “Chi sei? Chi sei realmente?

Allora, quando il praticante smette di cercare fuori e comincia a cercare e sentire dentro, l’energia, da materia fantasiosa, inconoscibile, si fa fiume. Scorre, rompe gli argini, nutre. La libertà non è più fuga, ma radicamento nel “qui ed ora”. L’autonomia non è isolamento, ma relazione consapevole con le mille parti che compongono il sé come con gli altri fuori dal sé. La vita non è più consumo e sopravvivenza, ma espressione.

Il Gesto che rivela

Le Arti Marziali, nella loro essenza più profonda che è Neijia / Naido (lavoro interno), sono pratiche di autorealizzazione incarnata. Non si tratta di diventare qualcun altro, di obbedire ai dettami, importati dalla cultura USA, che impongono perfezione e prestazioni strabilianti, ma di tornare a sé. Di esplorare le proprie potenzialità non come ambizioni, ma come verità, quand’anche scomode, da vivere. Di espandersi, esplodere, liberare energia non per prevalere ma per essere, essere individui vitali ed erotici.

Nel gesto che nasce da hara, il centro, nel respiro che si accorda al mondo, nel silenzio che precede evitamenti e percosse, si nasconde il segreto: L’autorealizzazione, l’individuazione, è già qui ed ora, nel corpo che pratica, nel cuore che ascolta, nell’animo che fluttua nello spazio del Dojo, qualunque ed ovunque esso sia.