mercoledì 20 novembre 2024

Arti Marziali, Kenpo Taiki Ken, un primo fondamentale passo per l’uomo nuovo

La cronaca ci racconta che continua imperterrita tra giovani e giovanissimi la sequela di violenze, anche fino allo morte, inflitte od autoinflitte.  

Di queste, il mondo adulto adduce la responsabilità alla crisi, fino alla loro totale scomparsa, dei valori (quali?), del rispetto, delle fondamenta educative nelle nuove generazioni. Crisi di cui invitano genericamente a farsi carico gli adulti stessi.

Ma quali adulti? In che contesto sociale e culturale?

Serve un paterno che sappia aiutare a riconoscere, affrontare e gestire gli inevitabili conflitti relazionali”, chiosa un valente educatore come Daniele Novara.

Eppure, da almeno un ventennio, il paterno e chi lo sottende, il maschile, è stato denigrato, frantumato, messo alla gogna. Tutto viene squalificato come patriarcato, il terribile moloch devastatore!!

Manca un paterno capace di aiutare a riconoscere, fronteggiare e gestire le ineludibili tensioni relazionali senza che, vissute come pericolo, si fugga spauriti chiudendosi in se stessi o ci si rivolti violentemente contro l’altro che ci sta di fronte. Un paterno che in ogni ostacolo, ogni caduta, non veda la fine, la vergogna, ma la possibilità di conoscersi, crescere e rimettersi in gioco. Un paterno che riconosca i limiti discernendo quando siano confini sfidanti da provare a superare, quando invece siano un necessario freno al delirio di onnipotenza.

Dove li troviamo i maschi, adulti ed autodiretti, capaci di assumersi tale responsabilità?

Nei sessualmente incerti? (non mi riferisco qui a chi sia colpito da DSD, ovvero patologie nelle quali vi è un anomalo sviluppo del sesso cromosomico, gonadico o fenotipico, quanto a chi (1), cavalcando le tendenze modaiole, si pretende un giorno femmina e un giorno maschio). Nei narcisisti esagitati divisi tra unghie pittate, vestiti firmati, “mossette” o muscoli ipertrofici e ridicoli tatuaggi dall’improponibile aggressività?

Nelle frotte che si riversano e dialogano sui social trasferendo la loro presunta intelligenza su un mezzo “il cui fine è la semplificazione, l’istupidimento e il consenso facile” (Guia Soncini)?

Negli ignoranti da TV che, dal ruolo di giudici, “influenzano” i giovani attraverso “X Factor” o “Master Chef”? Negli adulti che, dalla Tv, propinano trasmissioni come Temptation Island, Il Grande Fratello, Matrimonio a prima vista?


Nei politici gradassi le cui miserie personali si intrecciano con quelle politiche, senza escludere in questo alcuna appartenenza partitica?

Non sono certo io a rimpiangere l’autoritarismo genitoriale che fu la regola prima del ’68. Non sono certo io a non comprendere ed accettare i passi falsi e le debolezze che necessariamente caratterizzano l’essere un “umano”.

E’ evidente, però, che lo sgretolarsi di un certo modo di essere adulti maschi, adulti padri, non ha sortito alcuna nascita di valore maschile, valore paterno, che sia stato in grado di rimpiazzarlo adeguatamente.

Una nascita impedita da una società ginecocratica (2), in cui l’incessante iniettare nuovi bisogni chiede la presenza di una “mamma” iperprotettiva che li soddisfi; una legislazione che nelle sempre più frequenti rotture dei rapporti familiari prevede l'espulsione dei padri da casa e la conseguente enorme difficoltà a mantenere un rapporto con i figli; relazioni sociali vieppiù immateriali e impersonali che alienano il mondo più intimo, profondo e personale dei sentimenti e del senso della vita; la scomparsa di una sana fatica fisica, del contatto fisico, sostituiti da pratiche corporee finalizzate alla vetrinizzazione del corpo, al corpo da esporre o su cui investire in pratiche sportive dettate dalla moda o perché si anela ad una generica “salute”. (3)

Non ho le competenze, né è proprio di queste pagine, per introdurre il “come” recuperare un nuovo modo di essere adulti responsabili ed autodiretti; adulti che, compiuto il loro iter necessariamente egoistico, siano in grado di donarsi ad altri, alla prole.

Però, dentro ad un personale percorso di corpo e movimento quasi cinquantennale e, soprattutto, condotto sempre con lo spirito della ricerca e della formazione, mi consento di riferirmi ad un’espressione attribuita a Socrate: “Chi vuol muover il mondo, prima muova se stesso”, di rifermi a tutto quel panorama di pratiche ed idee il cui motto potrebbe essere: “Il Movimento che educa, che nutre, che guida e orienta la nostra evoluzione, a patto che venga visto e riconosciuto per quello che è: un processo pedagogico permanente” (S. Spaccapanico Proietti). E in questo, La Via, il Budo, marziale, è sovrano assoluto.

Sei ryoku zen’yo, che sta per “il miglior impiego dell’energia” e Ji ta kyo ei, “tutti insieme per progredire”, sono i fondamenti di un’autentica pratica Budo. Che è favorire negli individui uno sviluppo fisicoemotivo sano, una autorealizzazione che si ottiene “perseguendo l’autorealizzazione degli altri” (in ‘Quaderni del Bu Sen’). Che è fare del contatto fisico, prima di tutto con se stessi, poi con l’altro e anche in forme antagoniste, conflittuali, una strada per il recupero della propria integrità esplorando e riconoscendo quell’inconscio, quell’indistinto coacervo emozionale, che è radice da reintegrare consapevolmente nella propria vita. Laddove il corpo è il luogo dove tutto questo può accadere.

Formarsi al corpo, alla corporeità Leib, cioè corpo abitato, corpo esperito, in cui la pratica marziale invita a modificare, contrarre, espandere lo schema corporeo, a modificarlo a seconda delle situazioni, anche quelle critiche, contrastanti, a prendersi spazio o a ridurlo quando necessario, è una caratteristica di plasticità della persona che allontana ogni nevrosi ed avvicina all’essere vitali ed erotici. Ad essere adulti maturi: “La salute può essere definita un Adulto emancipato che esercita costantemente il proprio controllo su ogni transazione. Questo significa che in ogni transazione l'Adulto trae dati dal Genitore, dal Bambino e dalla realtà e prende una decisione sul da farsi” (T.A. Harris ‘Io sono OK tu sei OK’)

D'altronde, sprofondare verso il centro del proprio essere, necessariamente anche a livello fisico, quello che nelle Arti Marziali è Hara, è Tantien, conduce a ritrovare dentro di sé un forte senso di appartenenza al mondo esterno, al riconoscerne le relazioni profonde con il sé individuale, sradicando ogni tentazione narcisistica, ogni delirio di onnipotenza.

Così intesa, come qui allo Spirito Ribelle, la pratica marziale, pratica Kenpo Taiki Ken, si rivolge a chi ricerchi una migliore espansione del proprio potenziale latente, non un semplice stare meglio, ma un "essere di più", una migliore qualità del vivere “qui ed ora”.

Tutto quel che si potrà ottenere in questo percorso Budo sarà un piccolo, minuscolo, mattone per ri -costruire un uomo nuovo, un maschile sensibile e forte. Quel che certo manca ora al maschile diffuso.

 

1. “(omissis) quel che fanno tanti ragazzini che van dietro alle mode: decidere che sei nato maschio e invece sei femmina, o viceversa” (G. Soncini in Linkiesta 20.11.2024)

2. Per saperne di più: ‘Il selvatico, il padre, il dono’ di C. Risé.

3. “L’idea che il corpo sia qualcosa che si ha, piuttosto che parte di ciò che si è” G. Minnini in ‘La chiave di Sophia’ Giugno – Settembre 2020

 

 


 

 

 

 

 

venerdì 8 novembre 2024

Munch artista del tormento e del liquido

Un mondo fatto di tenebre, rari i momenti capaci di guardare il cielo. Opere attraversate da passioni, dolori e strazi che si intrecciano con uno struggente desiderio di esplorare il buio dell'animo umano.

Palazzo Reale, con l’amico Piero alla mostra dedicata a Edvard Munch,

artista norvegese, ai più noto per l’opera L’Urlo.

Mostra davvero ricca di opere bellissime e pannelli descrittivi ed esplicativi ben fatti. Molta gente nelle sale.

In Munch, il tormento, tra malattie fisiche e squilibri mentali, è terreno fertile per andare oltre un’arte puramente rappresentativa ed esprimere invece un’arte che origini dal sangue del cuore dell’individuo.

Pittore prolifico tanto quanto scrittore prolifico, egli considera l’arte come uno sprofondare nei segreti dell’animo umano: “Nella mia arte ho cercato di spiegare a me stesso la vita e il suo senso”, cercando allo stesso tempo di “aiutare gli altri a chiarirsi la propria”. E questo senza alcuna certezza, senza sicumera, ma tanta, tanta passione.

Nel guardare i suoi quadri, nelle stesse pennellate, mi pare di cogliere l’elemento Acqua come fondamentale: “Le sue immagini hanno la fluida liquidità dell’acqua, il cui tempo è dato dalle inclinazioni più o meno rapide e veloci di strade, coste, alberi, corpi, capelli, vestiti: fiumi di cielo sui fiumi” (S. Guerra Lisi e G. Stefani).

Acqua, liquame al tempo stesso diluente ed assorbente colori e materie, che nel tempo sgretola serbandone in sé l’essenza.

Inconscio come oscuro putridume in ogni pennellata che lascia emergere avviluppando le figure senza scampo; un'umanità schiacciata, moltitudine di individui, ognuno con il proprio carico di sofferenza.

Struggersi per l'angoscia dei desideri e nella disordinata confusione dei ricordi, affiorano volti e corpi. Inafferrabili, impossibile fissarli, inchiodarli dentro confini definiti… l’unico confine e la finitudine della tela.

Addirittura Munch lasciava i sui dipinti esposti alle intemperie perché si arricchissero di sporco, di pioggia, di lacerazioni inferte da contatti casuali. La Natura e le opere dell’uomo in continua commistione, scorrere del tempo che tutto modifica, anche corrode.  D’altronde l’Acqua tanto si adatta quanto modifica, a volte con impeto altre lentamente, tutto ciò che si illude di durare immobile nel tempo.

La mostra, una volta terminata la visita, mi lascia un intenso senso di vita, certamente non gioioso, ma forte e appassionato, anche nelle sue pesanti Ombre.

Nel nostro percorso corporeo Spirito Ribelle è abituale il contattare la “cantina” di ogni praticante, le sue parti nascoste che si lamentano e ruggiscono nell’animo scansando la luce e il pubblico giudizio. Così come ci sono abituali espressioni gestuali sinusoidali, fluide, dilatabili; onde, vortici e spirali … Acqua.

Pensieri sparsi, riflessioni da scambiare con Piero. Più di un’ora e mezza intensamente masticata e gustata davanti alle opere di un artista eccezionale.

Una mostra da non perdere.

Palazzo Reale. Milano

14.09.2024 – 26.01.2025

 

 

 



 

 

giovedì 7 novembre 2024

Il mio pensiero di Novembre 2024

 


L’autunno porta sempre con sé un sentore di raccoglimento, sottili lingue di introspezione, una lieve malinconia che odora di abbandono.

Miti itinerari affettivi, indulgenti abitudini solitarie vissute con garbate intenzioni. Un equilibrio precario tra l’abbagliante ricordo dell’estate e la consapevolezza che il “generale inverno” chiama al riposo, al letargo.

O, almeno, a grandi linee è così per l’artista guerriero che, anche quando stritolato nelle fauci dei convulsi “tempi moderni” di chapliniana memoria, evita con cura di esserne fagocitato e trova spazi affrancati per godere della sua libertà.

Nella nostra pratica marziale, pratica Spirito Ribelle, i mesi autunnali sono il riesumare percorsi passati, lontani o vicini, su cui innestare nuovi e diversi impulsi di crescita, di formazione a quel corpo marziale, sano di vitalità ed erotismo, che contraddistingue chiunque si prepari al periglio del combattimento.

Sono mesi che affondano a piene mani nelle più antiche pratiche taoiste ed energetiche provenienti dalla Cina e dal Giappone. Tra queste Iron Shirt, la “camicia di ferro” (“Con il Chi Kung della camicia di ferro, si acquisisce la capacità di aumentare il flusso degli ormoni prodotti dalle ghiandole endocrine, rafforzare il sistema immunitario e dare un senso di benessere generale” Maestro Mantak Chia); Shoshuten, il “piccolo circuito” come studiato dal Dr. Yayama, primario della divisione di oncologia dell'ospedale generale della prefettura di Saga, e diffuso dal Maestro Tokitsu Kenji, integrate da moderne pratiche occidentali sul respiro che, oltre bronchi, polmoni, bronchioli e alveoli, investigano la respirazione di ogni cellula (“nei mitocondri, il nutrimento in forma di O2 viene utilizzato per produrre l’energia di cui abbiamo bisogno” E. Parrello, docente di Body Mind Centering); sulla consapevolezza motoria e fisicoemotiva attraverso cui leggere” i tratti costitutivi ed il meccanismo che lega la forma del movimento alle sue proprie leggi naturali così come alle spinte interiori, alle pulsioni e ai significati interni” (https://associazioneref.org/event/lanalisi-osservazione-del-movimento-in-danzaterapia-secondo-il-metodo-laban-kestenberg/).

Consapevole che tutto è vano se e quando non si vogliono aprire gli usci, lasciar cadere le maschere, questi sono mesi di costruzione Hon, “fondamentale”, del corpo fisicoemotivo e delle sue prime esplorazioni anche di contatto e scontro.

Per questo Suishou, “premere e tirare”, Maki, “avvolgere”, Sujin te, “la mano che cerca.

L’autunno e poi l’inverno come mesi di pratica profondamente formatrice di esperienze motorie atte a comprendere cosa e come io sarò dopo, cosa e come tu sarai dopo e costruirne le fondamenta.

 

Netta la percezione che è presente, sta per emergere, segreta ancora perché ancora solo intuita, la figura adulta, autodiretta, del guerriero ribelle. E sarà l’accoppiata sincronia e armonia gestrice di atti motori tanto efficaci quanto belli da vedere.

Con la primavera, vecchi e nuovi giochi, strategie lineari del Wing Chun, strategie circolari del Pa Kwa e Hakkeshou, poi Hakkei e Kumite dal Taiki Ken: Nuovi colorati fiori verranno a sbocciare. Ma c’è ancora tanto lavoro da fare, tanta passione e gioia da spandere a piene mani. Come ogni anno, come sempre.

 

 


lunedì 4 novembre 2024

Vivi praticando ogni giorno Arti Marziali

No, non è che ogni giorno, a tutte le ore, stai lì tra Neri e Yuri, tra schivate di busto e percosse, tra leve articolari e Shadow Boxing su avversari immaginari.

Piuttosto, forte della tua formazione marziale nelle ore a cui specificatamente ti dedichi all’arte, nel quotidiano muoversi o fare qualsiasi gesto come allontanare, tirare, spingere, afferrare, camminare su lisci marciapiedi o sull’acciottolato, scansare il solito idiota appeso al cellulare o salire le scale di casa, lo fai attingendo ai modi, a posture e atture, alle catene cinetiche, scoperte ed apprese proprio in quelle ore “marziali”

Hai praticato imitando gesti e stili e modelli? Ti hanno addestrato come un animale da circo obbedendo pedissequamente ai comandi? Sei il praticante tipico dei tipici corsi di questa o quella Arte Marziale a cui hanno insegnato tecniche ed esercizi? Allora, se fosse così e ne fossi pure soddisfatto, puoi anche smettere di leggermi.

Nel caso, invece:

  • Da questa trista catena di obbedienze e modeste ripetizioni (sarà mica l’anticamera di un disturbo ossessivo compulsivo di ripetizione?) ti volessi finalmente affrancare

oppure

  • Come qui allo Spirito Ribelle, ti abbiano formato attraverso esperienze motorie alla capacità di sentire e comprendere come stai facendo quel che stai facendo (che è il dettame hon, “fondamentale”, di ogni buona pratica marziale)

allora sei pronto ad una connessione e presenza con te - corpo, il corpo Leib, in contatto con ogni area e fascia che sia articolare, muscolare, tendinea, oltreché con il tuo modo di respirare, in ogni gesto della tua giornata.

“Corpo Intelligente è la miglior definizione che ho trovato per descrivere l’individuo con una mente calma, un corpo libero di muoversi e un subconscio virtuoso” (A. De Maria)

“Il cultore del Jeet Kune Do  -ma possiamo intendere Arti Marziali-  affronta la realtà, non schemi fissi (cristallizzazione della forma), lo strumento è uno strumento che ha una forma senza forma” (B. Lee)

Per inciso, ecco perché nei testi classici, negli insegnamenti Tradizionali c’è che il lento è meglio del rapido, e l’immobile è meglio del lento!! Questo perché i movimenti lenti e la (apparente) immobilità consentono un ascolto attento e profondo di te e di come e cosa stai facendo. Il che non esclude una verifica nella rapidità; una “verifica”, non un costante stare nella gestualità rapida che, spesso, nasconde frettolosità ed imprecisione!!

Torniamo alla tua giornata quotidiana. Ogni azione che svolgiamo durante la giornata, proprio ogni azione: Dal lavarsi il viso ad allacciarsi le stringhe delle scarpe, dallo scendere le scale all’aspettare il bus, dall’aprire una porta a tirare a sé la scrivania, dal sollevare una valigia al riporla in alto, dall’affrontare un colloquio di lavoro allo stendersi in un prato, dallo spolverare i tuoi amati katana a rifare il letto, è una sfida a riconoscere le diverse forze in atto, le catene cinetiche impegnate, la ridda di emozioni in gioco, il tutto in ambienti e contesti sempre diversi tra di loro: Pensa un po', è quell’hon  (fondamentale) su cui ti formi un paio d’ore, un paio di volte la settimana, durante la tua pratica marziale.

Ecco, abbandona le modalità abitudinarie e inconsapevolmente apprese nel corso degli anni sull’uso delle catene cinetiche; quelle abitudini motorie che negli anni quando non originano disfunzioni o atrofizzazioni portano però ad una limitazione nella fluidità dei gesti, unitamente ad una non – presenza consapevole per cui agiamo pensando intanto ad altro. Appigliati, invece, alla consapevolezza fisicoemotiva appresa durante la formazione marziale, utilizzando ciò che serve di te - corpo per ottenere la massima efficacia con il minimo sforzo: Regola aurea di ogni buona pratica marziale, il “Wu Wei” taoista del “Non tirare troppo la corda”.

Ti troverai ad abbracciare un amico, scolare la pasta, scrivere al computer, pedalare, parlare in pubblico ecc. in modo totalmente nuovo e con risultati eclatanti.

Con naturalezza, porterai quel che impari di corpo e movimento nelle ore di formazione marziale dentro il tuo quotidiano, ricavandone salute e benefici immensi. E guarderai con distacco e sufficienza chi si vanta di allenarsi otto ore al giorno (ma sarà vero?), perché tu praticherai Arti Marziali, il loro senso profondo (neijia), ogni ora, ogni momento, della tua giornata e per sempre.

 


 

mercoledì 23 ottobre 2024

Dubuffet e l’Art Brut – l’arte degli outsider

 




Con Piero, amicizia pluri-cinquantennale, al Mudec.

Sensazioni profonde, dove il mondo mostra un’ombra che taglia e ferisce dentro la carne. Pare che quelli che sanno le cose non parlino, piuttosto gridino, lacerando la calma piatta di chi, ordinariamente, è sonnambulo ma crede di vivere sveglio.

“Il partito preso dell’Art Brut è quello che si oppone al partito preso del sapere, ciò che l’Occidente chiama (piuttosto rumorosamente) la propria ‘cultura’. E’ il partito preso della tabula rasa. Le sue truppe non indossano alcuna uniforme, non vestono toghe o ermellini e non si fregiano di titoli gloriosi (…) Vagabondi, veggenti dagli ostinati soliloqui, non brandiscono diplomi bensì stampelle e vincastri; sono gli eroi dell’arte, i santi dell’arte”

(Jean Dubuffet)

In ogni tempo, in ogni area artistica, ci furono e ci sono anche ora le minoranze ribelli.

Anche, è certo, nel campo del corpo e del movimento, nomi e metodi diventati famosi, almeno nella nicchia dei ricercatori, o rimasti sconosciuti. Per restare al secolo scorso e agli inizi di questo, ecco Moshe Feldenkrais, Milton Trager, Josef DellaGrotte, Rudolf Laban, Bonnie Bainbridge Cohen, Orlando Cani, Linda Kapetanea e Jozef Frucek, Ido Portal; pure nel vasto campo delle Arti Marziali pochi pionieri ed esploratori, ognuno a loro modo, e, alcuni decenni, ci siamo anche noi, ZNKR ora Spirito Ribelle.

E mi riconosco nell’intenso forgiare dionisiaco e demoniaco, di irrefrenabile tormento ed estasi, di queste opere…Art Brut.

Queste opere hanno voci basse, a volte appena sussurrate, solo, improvvisamente, urlano “Pietà di me”, per poi maledire il mondo attorno accogliendolo in un abbraccio. Artisti disastrati, feriti nell’anima, privi di quella insensibilità che protegge mediocri e prepotenti, chiamati a pagare le colpe di altri. Zittiti, spaventati, stritolati in maldestre posizioni ambigue.



“Con questo termine Art Brut intendiamo opere eseguite da persone immuni da qualsiasi cultura artistica, persone dunque per le quali, contrariamente a quanto vale per gli intellettuali, il mimetismo conta poco o nulla; questi autori, pertanto, traggono ogni cosa (soggetti, scelta dei materiali, strumenti, ritmi, stili di scrittura, ecc.) da dentro se stessi e non dai cliché dell’arte classica o dell’arte che va di moda”

(Jean Dubuffet)

Cosa significa muoversi, agire, accarezzare il corpo e affrontare il corpo in uno scontro, cosa significa in quanto esperienza, non certo in quanto tecnica da memorizzare, gestualità da mostrare. Senza questo fare esperienza si perde ogni comprensione. Si affoga dentro la mediocrità rigidamente apollinea della mente moderna, ossessionata dal controllo e spinta dal narcisismo egocentrico, che ogni spazio di cultura e creatività avvelena con gli strumenti della “lista della spesa” e del “menù di fatti”, avvolgendo in questo senso triviale e stecchito anche il mondo del corpo e della corporeità, il mondo delle Arti Marziali.

 

 


 


 

 


mercoledì 16 ottobre 2024

Come impostare una lezione di Arti Marziali

No, non siamo il solito Dojo con riscaldamento, fondamentali, tecniche a vuoto e in coppia o su un bersaglio, forme, combattimento semilibero e libero, rilassamento e/o stretching.

No, non lavoriamo con una successione tecnica, di esercizi, prestabilita.

No, quand’anche il nome sia lo stesso, il contenuto del “fare” non lo è, MAI.

I due tipi di riscaldamento

Ovunque ginnastica, più o meno intensa, per aumentare la temperatura corporea, fare “fiato”, investire nel potenziamento muscolare e, in alcuni casi, un po' di attenzione alla coordinazione motoria. Il tutto in un gergo che, quando non sia approssimativo (“sciogliere le articolazioni” – le articolazioni non sono nodi -, “flessioni sulle braccia” – piegamenti, perdinci, sono piegamenti; prova a fare una flessione, ovvero a flettere l’avambraccio sul braccio, e ti troverai col naso spiaccicato per terra, sono piegamenti, è il braccio che si piega!! - “tieni il bacino avanti” – incommentabile!! - ecc.) è aridamente tecnicistico intendendo il praticante come un robot, una macchina e non come un individuo integrale, di corpo biografico che contiene le relazioni, gli affetti, i simboli, la cultura, il modo di porsi con gli altri, il tumulto delle emozioni.

Da noi, Spirito Ribelle, il riscaldamento (ma il termine appropriato è “apertura”) è invece un passaggio importante in quanto opera:

           dallo stato di coscienza abituale a stati di coscienza espansa;

           dal linguaggio verbale al linguaggio non verbale;

           dal pensiero logico – analitico al pensiero analogico e associativo;

           dalla disposizione difensiva ordinaria a una disponibilità alla libera circolazione delle emozioni;

           dalla dimensione concreta – operativa alla dimensione immaginativa, espressiva e creativa;

Quindi il “cosa” e il “come”,

sono totalmente diversi.

Pagine illuminanti sul riscaldamento, sono stare scritte da Vincenzo Bellia nel suo “Dove danzavano gli sciamani”. Un breve mio scritto lo si trova qui: “Riscaldamento per un atleta, uno sportivo e riscaldamento per un artista marziale” in  https://tiziano-cinquepassineldestino.blogspot.com/2022/09/riscaldamento-per-un-atleta-uno.html.

Il contenuto di una

lezione di Arti Marziali

Da noi, Spirito Ribelle, la premessa fondamentale è che la pratica tiene conto del praticante come corpo olistico, integrato con il personale mondo interiore. Dunque che non va allenato, addestrato come un animale da circo, ma ri-abitato, incarnato, in quanto esso è il “centro di relazione e di esistenza personale” (G. Farinelli, docente universitaria, in ‘Pedagogia dello sport ed educazione della persona’)

“Sei una macchina? Allora allenati.

Se invece sei un essere umano,

pratica per saperti adattare ai mutamenti

e stare in salute”

(Fighting Monkey)


Volendo identificare dei filoni di pratica (1), diversamente presenti, in ogni incontro (preferisco il termine “incontro” a “lezione”, anche se, per comodità di intendimenti, mi adeguo al senso comune ed uso “lezione”), possiamo scrivere di:

Respirazione – il respiro è l’elemento fondamentale per potenziare ed utilizzare la propria vitalità. Respirare non è solamente immettere aria nei polmoni, è anche stimolare il sistema nervoso ‘autonomo’ ed entrare in contatto con il registro emozionale. Si fa esperienza di diversi tipi di respirazione e si confronta questa esperienza durante la pratica corporea a solo e nei vari giochi di contatto e scontro con uno o più compagni. La “Respirazione” è un filone di pratica che, anche quando non “in figura”, ovviamente resta sempre e comunque sullo “sfondo” durante l’intera lezione, mai assente in termini di attenzione e presenza consapevole.

Sensazione e percezione – con opportuni giochi di stress si ricrea l’ambiente atto ad attivare i sensi, le percezioni si amplificano fino al rischio di non saperle gestire. Il sistema dei fluidi rallenta per consentire uno stato vigile e di allerta. Ma il fermarsi eccessivamente sulle nostre percezioni rischia di “congelare” ogni nostra azione. Ecco, è questo invece il momento in cui agire, le percezioni lasciate sullo sfondo, ma ciò è possibile solo dopo averle attentamente misurate e conosciute con appositi giochi.

Coordinazione, esplorazione ed attività multipla e simultanea - che è regolare ed adattare ogni atto motorio in modo armonico e funzionale in condizioni di esplorazione anche e soprattutto del tutto nuove in termini di spazio, ritmo, postura ed attura.

Relazione e interazione – giochi di coppia e di gruppo, a contatto parziale o totale, in cui entrare affidandosi alla propria vulnerabilità, alla capacità di stabilire un dialogo fisicoemotivo sincero ed autentico, all’intelligenza del non reagire meccanicamente ad uno stimolo ma interpretarlo agendo adeguatamente.

Nello specifico,

quali giochi proponiamo?

La premessa è che ogni gioco proposto è come una cipolla, ovvero ogni strato ne nasconde uno sottostante, e poi un altro ancora. Ogni gioco investe più filoni, ogni esperienza tocca e migliora più temi corporei.

Due esempi:

  • Al suolo, aderire con l’una e l’altra gamba ad una palla medica, facendola scorrere senza mai perdere il contatto, investe il filone sensoriale e quello della coordinazione ed esplorazione; introduce alla lotta a terra, al Chi Gerk, lo scambio di contatto di gambe per intercettare e deviare i calci dell’opponente tipico del Wing Chun, agli Ashi Waza, le proiezioni di gamba del Judo.
  • I Suishou, come tutti i giochi di “mani a contatto”, investono principalmente relazione ed interazione, senza dimenticare coordinazione, esplorazione ed attività multipla e simultanea e l’equilibrio tra sensazione e percezione.

Nel primo, di un gioco che nulla pare abbia a che vedere con le Arti Marziali, col combattimento, disveliamo, invece, le potenzialità di formazione al combattimento.

Nel secondo, di un gioco presente in tutte o quasi le Arti Marziali, siano esse giapponesi, okinawensi, cinesi, filippine, vietnamite, lavoriamo, dietro l’evidenza dei colpi e delle difese, l’enorme ricchezza in termini di enterocezione (il senso che rivela le sensazioni dello stato interno del corpo, a differenza dei cinque sensi, vista, udito, tatto, gusto, olfatto, che sono preposti verso sensazioni esterne), e neurocezione (i modi in cui i circuiti neurali selezionano le situazioni tranquille da quelle minacciose) (2).

Questo sarà possibile in tutti i momenti e le occasioni di formazione solo ed esclusivamente

  • scartando una pratica che sia fatta di esercizi e sequenze meccaniche e preordinate quanto che privilegi e dia spazio tracotante allo scazzottarsi; che mostri e imponga certezze, gestualità rigidamente codificate, modelli da imitare e copiare;
  • puntando invece alla consapevolezza corporea attraverso esperienze motorie.

Più crei disordine dentro di te,

più ti evolvi (3)






Azzardato? Temerario? Troppo audace per te?

Eppure …. “Credo che uno dei grandi errori che fanno gli essere umani quando tentano di capire qualcosa sia volere certezze. La ricerca della conoscenza non si nutre di certezze: si nutre della radicale assenza di certezze. Grazie all’acuta consapevolezza della nostra ignoranza, siamo aperti al dubbio e possiamo imparare sempre meglio. Questa è sempre stata la forza del pensiero scientifico, pensiero della curiosità, della rivolta, del cambiamento” (C. Rovelli, fisico, in “Helgoland”. Citato da S. Spaccapanico Proietti in “Umanizzare il movimento”)

Eppure… questo è il meraviglioso ed appassionante modo di praticare allo

Spirito Ribelle

Uguali a nessuno.

 

Ah già, ora ci sarebbe da affrontare la parte di chiusura di una lezione. Lo farò in un prossimo post. Sicuramente del tempo va dedicato al ritorno ad uno stato di quiete insieme ad una rielaborazione, personale e / o di gruppo, di quanto fatto e come questo abbia inciso sul sé – corpo in tutte le sue componenti. Sicuramente NO qualche minuto del solito stretching e poi… tutti a casa!!

 

1. Impostazioni simili, ancorché sempre flessibili ed adattabili al variare delle situazioni, si trovano in numerose pratiche di corpo e movimento. Per es. DMT (DanzaMovimentoTerapia), Movimento Biologico, BMC (Body Mind Centering), Healing Tao.

2. Qualsiasi gesto, in ambito quotidiano, lavorativo, sportivo, di combattimento, non origina da quanto tu sia rapido di braccia o forte di gambe, ma nelle connessioni neuronali, nelle rapide sensazioni che attraversano i circuiti cerebrali e le strutture muscolo – tendinee implicate. I taoisti lo intuirono secoli or sono, ora lo confermano e spiegano “scientificamente” le Neuroscienze. Per questo l’allenamento che punta sulla muscolatura è una corbelleria!!

3. “Il termine “fissità funzionale” è stato introdotto dagli psicologi per descrivere dei "blocchi mentali" che possono ostacolare la creatività e la risoluzione dei problemi. Quando si è prigionieri della propria fissità funzionale, si tende a seguire schemi mentali rigidi che non permettono di pensare fuori dai confini che ci si è dati. Ad esempio, se vediamo un cacciavite, possiamo pensare solo al suo utilizzo per avvitare viti, senza immaginare che potrebbe essere usato anche per aprire una scatola. (omissis) Superare la fissità funzionale richiede coltivare una maggiore flessibilità mentale e stimolare la capacità di vedere persone, oggetti e situazioni in modi nuovi e diversi. Un approccio utile è lo sviluppo del pensiero laterale, che invita a cercare soluzioni creative ai problemi, esplorando vie alternative rispetto ai percorsi logici tradizionali” (P. Iacci, estratto dall’editoriale in: https://www.aidp.it/hronline/2024/10/18/lanatra-la-fissita-funzionale-e-lorientamento-di-carriera.php)

 




mercoledì 9 ottobre 2024

Maestro NO.

Non mi si adatta l’etichetta di “Maestro”, colui che ha raggiunto maestria, padronanza in una materia. Come a dire uno che è “arrivato”, che “sa e dispensa il sapere a chi non sa”.

Io non sono arrivato: Quasi cinquant’anni di pratica ininterrotta ed ancora “”So di non sapere”, per citare il grande Socrate. Ancora mi appassiono a cercare, studiare, tornare sui miei passi, modificare, rimestare, proporre nuovamente sapendo che ci sarà ancora altro da scoprire, altro che farà vacillare quanto imparato.

Per questo preferisco Sensei: “Colui che è nato prima”. Uno che è stato sorpreso dalla tempesta e invece di scappare a rifugiarsi al coperto è rimasto esposto alle intemperie; uno che il bosco lo ha attraversato, inciampando, cadendo, facendo incontri sgradevoli, ma ne è uscito più o meno indenne. Uno che non pretende di insegnarti né cosa incontrerai nel tuo di bosco, né quale sia il percorso migliore per attraversarlo, perché ogni bosco è personale e dunque diverso. Ma il Sensei è la testimonianza concreta e vivente che puoi stare dentro una tempesta senza affogarci, puoi attraversare un fitto bosco ed uscirne. E’ colui che può darti una mano a trovare in te stesso le energie e le risorse per farcela.

Per dirla con un termine “moderno” è un facilitatore: Chi ti accompagna sostenendoti nelle difficoltà.

Io, se proprio devo rifarmi ad una figura non proprio attinente alle Arti Marziali (o forse è attinente?) mi rivolgo all’immagine dello sciamano.

Nelle culture antiche, tradizionali, lo sciamano è chi, con pratiche corporee e riti, si fa mediatore tra l’individuo e il divino, tra uomo e cielo, tra il visibile e l’invisibile, tra il micro e il macro.

Come uno sciamano, il Sensei comunica attraverso riti, corpo e movimento per portare in superficie l’impulso interno (neijia) di movimento di ogni praticante, suscitando immagini esteriori ed interiori (quella che il filosofo della scienza Gaston Bachelard chiamava reverie) perché siano fonte di ispirazione corporea, gestuale, aprendo la strada verso stati di coscienza espansa che costruiscano un individuo equilibrato, autodiretto e capace di sostare nei conflitti, scoprendo Poteri Potenti e aprendosi tanto all’incontro con l‘altro da sé e con l’ambiente circostante quanto con il mistero grande della vita, con il Tao.

Questo è qui, allo Spirito Ribelle, il Sensei, colui che ti accompagnerà attraverso una pratica corporea a conoscere di te corpo per vivere bene, vivere meglio, per affrontare consapevolmente ogni scontro piccolo o grande della tua vita quotidiana,

O davvero credi che il potere delle Arti Marziali sia riducibile a gesti da imitare, ripetizioni da eseguire, cazzotti da sparare al sacco o sul volto del compagno, ossequiando un Maestro che sa mentre tu non sei nessuno perché non sai un kazzo?

Io, il Sensei, qui allo Spirito Ribelle, non insegno esercizi, io propongo esperienze motorie; non alleno, io accompagno il praticante a formarsi adulto guerriero attraverso il movimento.

 

“Se sapete che il vostro strumento siete voi stessi, conoscete anzitutto il vostro strumento, consapevoli che è lo stesso strumento che danza, che canta, che inventa parole e crea sentimenti”

(O. Costa, regista e pedagogista teatrale