Di queste, il mondo adulto adduce la responsabilità alla
crisi, fino alla loro totale scomparsa, dei valori (quali?), del rispetto,
delle fondamenta educative nelle nuove generazioni. Crisi di cui invitano
genericamente a farsi carico gli adulti stessi.
Ma quali adulti? In che contesto sociale e culturale?
“Serve un paterno che sappia aiutare a riconoscere,
affrontare e gestire gli inevitabili conflitti relazionali”, chiosa un valente
educatore come Daniele Novara.
Eppure, da almeno un ventennio, il paterno e chi lo
sottende, il maschile, è stato denigrato, frantumato, messo alla gogna. Tutto viene
squalificato come patriarcato, il terribile moloch devastatore!!
Manca un paterno capace di aiutare a riconoscere, fronteggiare
e gestire le ineludibili tensioni relazionali senza che, vissute come pericolo,
si fugga spauriti chiudendosi in se stessi o ci si rivolti violentemente contro
l’altro che ci sta di fronte. Un paterno che in ogni ostacolo, ogni caduta, non
veda la fine, la vergogna, ma la possibilità di conoscersi, crescere e
rimettersi in gioco. Un paterno che riconosca i limiti discernendo quando siano
confini sfidanti da provare a superare, quando invece siano un necessario freno
al delirio di onnipotenza.
Dove li troviamo i maschi, adulti ed autodiretti, capaci di
assumersi tale responsabilità?
Nei sessualmente incerti? (non mi riferisco qui a chi sia
colpito da DSD, ovvero patologie nelle quali vi è un anomalo sviluppo
del sesso cromosomico, gonadico o fenotipico, quanto a chi (1),
cavalcando le tendenze modaiole, si pretende un giorno femmina e un giorno
maschio). Nei narcisisti esagitati divisi tra unghie pittate, vestiti firmati,
“mossette” o muscoli ipertrofici e ridicoli tatuaggi dall’improponibile
aggressività?
Nelle frotte che si riversano e dialogano sui social trasferendo
la loro presunta intelligenza su un mezzo “il cui fine è la semplificazione,
l’istupidimento e il consenso facile” (Guia Soncini)?
Negli ignoranti da TV che, dal ruolo di giudici,
“influenzano” i giovani attraverso “X Factor” o “Master Chef”? Negli adulti
che, dalla Tv, propinano trasmissioni come Temptation Island, Il Grande
Fratello, Matrimonio a prima vista?
Non sono certo io a rimpiangere
l’autoritarismo genitoriale che fu la regola prima del ’68. Non sono certo io a
non comprendere ed accettare i passi falsi e le debolezze che necessariamente
caratterizzano l’essere un “umano”.
E’ evidente, però, che lo sgretolarsi di un certo modo di
essere adulti maschi, adulti padri, non ha sortito alcuna nascita di valore
maschile, valore paterno, che sia stato in grado di rimpiazzarlo adeguatamente.
Una nascita impedita da una società ginecocratica (2),
in cui l’incessante iniettare nuovi bisogni chiede la presenza di una “mamma”
iperprotettiva che li soddisfi; una legislazione che nelle sempre più frequenti
rotture dei rapporti familiari prevede l'espulsione dei padri da casa e la
conseguente enorme difficoltà a mantenere un rapporto con i figli; relazioni
sociali vieppiù immateriali e impersonali che alienano il mondo più intimo, profondo
e personale dei sentimenti e del senso della vita; la scomparsa di una sana
fatica fisica, del contatto fisico, sostituiti da pratiche corporee finalizzate
alla vetrinizzazione del corpo, al corpo da esporre o su cui investire in
pratiche sportive dettate dalla moda o perché si anela ad una generica
“salute”. (3)
Non ho le competenze, né è proprio di queste pagine, per introdurre
il “come” recuperare un nuovo modo di essere adulti responsabili ed autodiretti;
adulti che, compiuto il loro iter necessariamente egoistico, siano in grado di
donarsi ad altri, alla prole.
Però, dentro ad un personale percorso di corpo e movimento
quasi cinquantennale e, soprattutto, condotto sempre con lo spirito della
ricerca e della formazione, mi consento di riferirmi ad un’espressione
attribuita a Socrate: “Chi vuol muover il mondo, prima muova se stesso”,
di rifermi a tutto quel panorama di pratiche ed idee il cui motto potrebbe
essere: “Il Movimento che educa, che nutre, che guida e orienta la nostra
evoluzione, a patto che venga visto e riconosciuto per quello che è: un
processo pedagogico permanente” (S. Spaccapanico Proietti). E in questo, La
Via, il Budo, marziale, è sovrano assoluto.
Sei ryoku zen’yo, che
sta per “il miglior impiego dell’energia” e Ji ta kyo ei, “tutti
insieme per progredire”, sono i fondamenti di un’autentica pratica Budo.
Che è favorire negli individui uno sviluppo fisicoemotivo sano, una
autorealizzazione che si ottiene “perseguendo l’autorealizzazione degli
altri” (in ‘Quaderni del Bu Sen’). Che è fare del contatto fisico, prima di
tutto con se stessi, poi con l’altro e anche in forme antagoniste,
conflittuali, una strada per il recupero della propria integrità esplorando e
riconoscendo quell’inconscio, quell’indistinto coacervo emozionale, che è radice
da reintegrare consapevolmente nella propria vita. Laddove il corpo è il
luogo dove tutto questo può accadere.
Formarsi al corpo, alla corporeità Leib, cioè
corpo abitato, corpo esperito, in cui la pratica marziale invita a modificare,
contrarre, espandere lo schema corporeo, a modificarlo a seconda delle
situazioni, anche quelle critiche, contrastanti, a prendersi spazio o a ridurlo
quando necessario, è una caratteristica di plasticità della persona che allontana
ogni nevrosi ed avvicina all’essere vitali ed erotici. Ad essere adulti
maturi: “La salute può essere definita un Adulto emancipato che esercita
costantemente il proprio controllo su ogni transazione. Questo significa che in
ogni transazione l'Adulto trae dati dal Genitore, dal Bambino e dalla realtà e
prende una decisione sul da farsi” (T.A. Harris ‘Io sono OK tu sei OK’)
D'altronde, sprofondare verso il centro del proprio essere,
necessariamente anche a livello fisico, quello che nelle Arti Marziali è Hara,
è Tantien, conduce a ritrovare dentro di sé un forte senso di
appartenenza al mondo esterno, al riconoscerne le relazioni profonde con il sé
individuale, sradicando ogni tentazione narcisistica, ogni delirio di onnipotenza.
Così intesa, come qui allo Spirito Ribelle, la
pratica marziale, pratica Kenpo Taiki Ken, si rivolge a chi
ricerchi una migliore espansione del proprio potenziale latente, non un
semplice stare meglio, ma un "essere di più", una migliore qualità del
vivere “qui ed ora”.
Tutto quel che si potrà ottenere in questo percorso Budo
sarà un piccolo, minuscolo, mattone per ri -costruire un uomo nuovo, un maschile
sensibile e forte. Quel che certo manca ora al maschile diffuso.
1. “(omissis) quel che fanno tanti ragazzini che van dietro
alle mode: decidere che sei nato maschio e invece sei femmina, o viceversa”
(G. Soncini in Linkiesta 20.11.2024)
2. Per saperne di più: ‘Il selvatico, il padre, il dono’ di C.
Risé.
3. “L’idea che il corpo sia qualcosa che si ha, piuttosto
che parte di ciò che si è” G. Minnini in ‘La chiave di Sophia’ Giugno –
Settembre 2020