Possibile ? I bambini non si azzuffano più ?
Almeno a Milano ( nelle grandi città ?) sono anni che non vedo bambini e ragazzini abbandonare la cartella per terra e prendersi a spintoni, fino a rotolare al suolo avvinghiati nel tentavo di sottomettersi l’un l’altro.
- Sarà che si è elevato lo standard di vita, dunque anche gli aspetti socioculturali, e la cultura “bene” disdegna lo scontro fisico, il prendersi a botte;
- sarà che i bambini ed i ragazzi sono straimpegnati tra un corso di basket ed uno di chitarra, il catechismo ed il nuoto, troppe cose per avere tempo e voglia di una sana scazzottata;
- sarà che sempre meno bambini e ragazzini si relazionano tra pari, che c’è sempre un grande, un adulto ( il Maestro al corso di Judo, l’animatrice alla festa di compleanno ) a dettare le regole e a farle rispettare;
- sarà che bambini e ragazzi non giocano più per strada: troppi pericoli tra così tante auto in movimento e delinquenza adulta diffusa, aria irrespirabile e spazi ridotti all’osso, ed è invece in strada, in una qualsiasi “via Pal” (1) che nascono e si sviluppano le relazioni libere, anche conflittuali;
- sarà che un tempo i bambini tornavano da soli a casa da scuola: poche centinaia di metri ed eri già a casa, mentre oggi, complici le distanze vertiginosamente aumentate, la paura dei genitori,( a fronte di una società civile che civile non è più da un pezzo, tra auto malamente parcheggiate sui marciapiedi, scooter che sfrecciano contromano o sui marciapiedi stessi, clochard rissosi e petulanti) di quel che potrebbe succedere al loro bimbo e così, genitori o nonni o baby sitter, si accalcano davanti all’ingresso delle scuole prendendo immediatamente in custodia il bimbo;
- sarà che gli adulti, i padri e le madri d’oggi, così occupati dal lavoro e dalle loro di esigenze di vita, danno per scontato che il loro compito sia insegnare ai bambini a comportarsi in modo tale da non disturbare, mettendo in primo piano obbedienza, buone maniere, docilità e, soprattutto, “che non rompano …”;
Sarà per tutto questo e forse per altro ancora che io non so, ma che fine hanno fatto i litigi, gli spintoni, le zuffe fuori da scuola ?
E, a ben vedere, già quando in Dojo parlo ai miei allievi over trenta delle mie baruffe da ragazzino, dei pugni in faccia al “grandone” prepotente, delle manganellate carnevalesche tra bande del boia nero e boia bianco ( zuffe ruvide sì ma del tutto – o quasi – innocenti, niente a che vedere con quel che farò negli anni successivi, marcati dall’odio di classe e dalle violenze del ’68 quanto dal grande ideale di poter cambiare in meglio la società) questi restano allibiti, poveri di esperienze fisiche tra maschi, di prevaricazioni fanciullesche tra un labbro che sanguinava e le ginocchia sbucciate per una spinta al suolo.
Manca, ai bambini ed ai ragazzini, manca già da un po’, quel litigare anche fisico che è un importante evento denso di contenuti educativi e formativi specifici e non un malaugurato incidente da evitare o “chiudere” al più presto.
I bambini, i ragazzi, non hanno più occasioni spontanee e di gruppo per mettersi alla prova e per testare, anche scontrandosi con altri, i confini permessi nel e dal gruppo; generalmente non sono loro a scegliere i coetanei con cui crescere ( altri li scelgono per loro, trovandoseli in classe a scuola, nel corso sportivo o nel centro estivo ); a loro viene costantemente rimproverato / impedito dalla figura adulta qualsivoglia atteggiamento conflittuale anche fisico, con ciò uccidendo l’espressione ed il riconoscimento dell’intera gamma delle proprie emozioni, rabbia e paura comprese: bambini robot impossibilitati a comunicare esprimendo anche contrasto, opposizione e, da ciò, facendo germogliare i semi nascosti della violenza, ovvero la voglia di eliminare, distruggere chi è, per loro, il portatore del problema; bambini tirannici e capricciosi, incapaci come sono di trovare e scontrarsi con un “altro” che li contenga.
Due spintoni, un cazzotto scambiato tra pari, è un agire che odora di rituale: cartelle a terra, i contendenti uno di fronte all’altro e gli altri in cerchio; il rito, il rituale, altro non è che un contenitore sano di emozioni in gioco. Esso rinvigorisce il legame di gruppo che si riconosce in determinate procedure simboliche comunemente definite nello spazio e nel tempo: finita la scazzottata, ci sarà il momento per i commenti e le recriminazioni ( “te le ho date”, “hai avuto paura”, “faccio venire mio fratello”, “è perché avevo mal di pancia che sono caduto subito ) prima della partita a calcio in cui i due si troveranno fianco a fianco nella stessa squadra a …. “litigare” con altri due !!
Sarà, per contro, proprio il bambino, il ragazzino, che è cresciuto in gruppi spontanei, di pari, ad avere maggiori possibilità di costruire un senso critico verso il gruppo e “sarà quindi psicologicamente più organizzato a fronteggiare quel bisogno di appartenenza così forte, tipico di quell’età (adolescenza), che può condurre soggetti meno preparati a vivere in totale dipendenza del gruppo in rituali di condivisione ad alto rischio per sé e per gli altri” (D. Novara: “Litigare per crescere”).
Sarà il bambino che si è pestato, da bambino con un altro bambino, a tenersi alla larga da quelle violenze di strada, fatte di gang, di coltelli, microcriminalità e distruzione incontrollata, che tentano così tanti adolescenti. Perché egli ha già conosciuto il senso del limite; perché gli è più facile riconoscere e gestire le proprie emozioni; perché ha già sperimentato l’ansia, la rabbia e la paura: solo quando queste emozioni montano ingestibili trova spazio la violenza quale immediato canale di sfogo, illusoria scorciatoia, con le conseguenze, a volte terribili, che il praticarla comporta.
Quanta responsabilità in noi adulti, in quanto genitori, ma anche nella veste “professionale” di ognuno di noi che contribuisce, in misura maggiore o minore, a costruire / abitare questi spazi fisici ed i messaggi valoriali di questa società, o, semplicemente, quanta responsabilità nella forza dirompente che, agli occhi subalterni ed influenzabili di un fanciullo, diamo con il nostro esempio, tuti i giorni !
1) “I ragazzi della via Pal” , romanzo per ragazzi di Ferenc Molnár. In realtà con un pubblico di lettori anche adulti, non fosse altro perché assai critico ( già allora !) verso un mondo adulto che, negli spazi fisici delle città, negava sempre più e sempre più ottusamente gli spazi aperti per la crescita dei ragazzi stessi.