“Sono rare per un
genitore le occasioni di indossare gli occhi del figlio sul mondo”
Semplice:
invitare i genitori dei bimbi del corso Kenpo a praticare, una paio d’ore,
insieme ai loro figli.
Perché
provino a stare, alla pari, con i “pari” del figlio, con i suoi amici nei suoi
momenti conviviali; per una volta entrando da “invitato” laddove solitamente,
nella vita di tutti i giorni, sono il
“padrone di casa” o un pari del “padrone di casa”.
Mattinata
bellissima, emozionante, densa di risate, sguardi felici, sudate copiose, fughe
per la pedana, rincorse, spintoni, rotolamenti, botte, ammiccamenti, cadute per
poi rialzarsi.
Laddove
ogni gioco proposto offriva diverse interpretazioni; permetteva, attraverso
l’accesso fisico emotivo, di scoprire aree psicologiche fondamentali per la
crescita di ogni “cucciolo” e mostrava, nei modi di praticarli, i tratti del
carattere di ognuno. E ogni adulto praticante avrà senz’altro notato nel figlio
il “come” affrontava ogni prova, come si relazionava all’altro e nel gruppo.
Quel “come”, al di là del risultato per noi del tutto secondario, che indica,
“in fieri”, quale adulto sta formandosi nel “cucciolo”, quale adulto quel
“cucciolo” diventerà. Perché le radici
della nostra vita emotiva risiedono nell’infanzia.
“ una personalità sana, a qualunque età, riflette per
prima cosa la capacità individuale di riconoscere le figure appropriate,
volenterose e capaci di fornire una base sicura e, in secondo luogo, quella di
collaborare con tali figure, una volta trovate, in un rapporto reciprocamente
gratificante. Al contrario, molte forme di personalità disturbata riflettono
una capacità “menomata”, che può essere di vario grado ed assumere molte forme
come: l’aggrapparsi ansioso, richieste eccessive o sproporzionate ad età e
situazioni, il distacco disimpegnato e l’indipendenza provocatoria.
Paradossalmente la personalità sana, se considerata in
quest’ottica, non si rivela assolutamente indipendente, come indicherebbero
invece gli stereotipi culturali, ma capace di far fiduciosamente conto sugli
altri quando l’occasione lo richieda. Una persona “sana”, dunque, è in grado di
cambiare ruolo se la situazione cambia, offrendo in un dato momento una base
sicura per l’azione di un suo compagno, mentre in un altro facendo serenamente
conto su qualcuno che le offra a sua volta un’analoga base."
(Relazione della dr.ssa Katia Stanzani su
“Costruzione e rottura dei legami
affettivi” di J. Bowlby. a.2003)
“La richiesta di
rispetto da parte dei genitori implica che il bambino non debba porre domande
agli adulti, che faccia ciò che gli viene detto, che creda acriticamente in ciò
che gli viene insegnato, in generale insomma, il bambino deve essere accettante
e non critico.
Lo psicologo conclude
metaforicamente che ‘molto viene buttato giù nella gola del bambino’ senza che
lui abbia il permesso di mordere, masticare e digerire”
(Laura
Perls “Come educare i bambini alla pace)
Credo
sia apparso chiaro il senso ed il valore del gruppo e delle relazioni nel
gruppo:
“La colossale
ignoranza italiana sull’educazione sta nel non considerare la relazione al
centro della crescita dei ragazzi e della società in generale. Bisogna lavorare
su di essa. Servono educatori che non insegnino solo il fare, ma anche lo stare
insieme, che non siano persone che tengano solo alla disciplina ma che facciano
in modo che i ragazzi si conoscano tra di loro e che costruiscano qualcosa di
bello insieme”
(Don
Gino Rigoldi in “Voci dal ponte” n° unico. Febbraio 2012)
Credo,
in questa mattinata, abbiamo tutti sperimentato la valenza delle Arti Marziali
come suprema arte del confliggere; il valore del saper confliggere come
strumento di sano confronto, da cui non fuggire, in cui non sostituire
l’antagonista al problema. I conflitti sono “pane” quotidiano. Possiamo,
dobbiamo, imparare a scontrarci, a litigare, a conoscere e mostrare le nostre emozioni accettando quelle altrui, a
scoprire i limiti come argine al proprio narcisismo e al senso di onnipotenza.
Confliggere è altamente formativo e, a volte, …divertente !!
Poi,
piccola mia annotazione a margine, rapidamente espressa nei momenti finali, con
la gioia di vedere tante mamme accanto ai loro giovani, giovanissimi
“guerrieri”, ecco il dubbio sull’assenza dei padri.
Eppure
stiamo praticando un’Arte dai tratti tipicamente maschili; eppure è proprio del
maschile cercare e costruire relazioni
di cui essere orgogliosi, non solo di cui essere sicuri; eppure spetta al
“più Yang che Yin” aprire ai figli la
strada in cui convivano l’irresistibile impulso ad andare oltre e la tenera
voglia di condividere, una strada percorsa da eretici, sperimentatori e
pionieri.
Allora
penso ai grandi cambiamenti intervenuti nella società, al nuovo ruolo che le
donne, il “femminile”, hanno voluto e saputo interpretare arricchendo, con il
tessuto sociale, anche le relazioni di coppia e famigliari (1). Penso, con ciò, anche alla crisi
del maschile, alla ricerca, per il “maschile” di contenuti e forme che ben si
amalgamino a queste trasformazioni, rifiutando sia un anacronistico ritorno al
passato quanto una fuga dalle proprie responsabilità di uomo, maschio e padre.
Come
a dire che, con il piacere di vedere
tante donne, mamme, “indossare i pantaloni”, confido che quelli siano i loro di
pantaloni, non che abbiano indossato quelli smessi dai maschi, dai padri.
Alla
prossima
(1) Al netto
-
delle
goffe derive femministe;
-
dell’impostazione
ginecocratica di una società il cui sfrenato consumismo si associa a iper
protezione e iper accudimento. Caratteristiche, queste, di una “madre”
bisognosa di instillare nel figlio sempre nuovi bisogni perché egli le sia
sempre dipendente;
- delle responsabilità
che il “femminile” ha nella formazione di maschi deboli - tali anche nelle loro
più perverse manifestazioni di violenza antifemminile - di padri assenti. “ mamme che hanno una parte di responsabilità
nell’educazione sentimentale dei figli maschi. Spesso si lasciano dire di tutto, si lasciano insultare, lasciano
correre alcune espressioni poco felici dei loro pargoli. (….) Risultato ? I
maschietti pensano di potersi permettere tutto con le femmine, da grandi
potranno disporre di loro come meglio credono, hanno ricevuto un imprinting
preciso: mamme consenzienti che si lasciano strapazzare dai compagni, dai figli
e modelli mediatici che confermano l’oggettivizzazione del corpo femminile”
(Paola Consolo Marangon “Il rispetto si impara da piccoli” in Conflitti 2012
n°2),
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