mercoledì 27 giugno 2012

Un bimbo tra i giganti



“Ognuno regola la propria condotta secondo l'immagine che si è fatta di sé. Se si desidera cambiare la propria condotta si dovrà dunque cambiare questa immagine”. (M. Feldenkrais)

Che gioia vedere Lupo, mio figlio, in “formazione marziale” la sera ,con gli adulti.
Frugoletto di otto anni alle prese con le spinte, le prese, le pressioni, i pugni che ,ancorché misurati, arrivano comunque da adulti, da stazze di sessanta, ottanta, cento chili lui che ne pesa nemmeno trenta. Eppure, da un paio di settimane, finiti gli impegni scolastici, una sera la settimana viene in pedana a praticare Kenpo nel corso adulti.
Identica gioia, ed emozione, per quel paio d’ore in cui  ha praticato con noi allo Stage Estivo ed al Seminario, schiacciato e soffocato sotto il peso di una fit ball compressa da altri energumeni, rotolandosi al suolo avvinghiato e strattonato, prendendo e dando calci e pugni.
Certo io lo incoraggio, gli ricordo che, in quei momenti, non è solo lui a praticare, ma, con lui, è come se ci fosse l’intero corso bambini, che ne ha la responsabilità come quella di mostrare, impegnandosi al meglio, le capacità di trasmissione del suo insegnante Celso.
Il suo esempio contagia pure Luca, anche lui otto anni, così, una sera, formazione marziale Kenpo insieme e, tutti insieme, noi adulti ed i due bimbi, a tirar tardi in pizzeria.
Nei loro movimenti, nel loro agire, appare evidente  quella immediata relazione con la vitalità che anima il corpo. Ogni gesto è completo: se guardano in alto il viso del compagno di lotta, l’intero corpo si inarca; se si accingono a balzare sul compagno a terra, l’intero corpo si flette in avanti.
Una completezza, un’armonia, che, col passare degli anni, facendosi adulti, perdiamo. Guardiamo in alto con gli occhi ed un rattrappito movimento del rachide cervicale; afferriamo il boccale di birra allungando solo il braccio.
Movimenti, gesti, rattrappiti, isolati, frantumati, avulsi dal contesto corporeo complessivo. Vitalità flebile e gesti inutilmente aggiuntivi,  parassiti, completano un quadro poco entusiasmante !
Qui sta la risorsa del nostra agire marziale.
Ogni adulto si muove proporzionalmente a quanto e come ha imparato a muoversi e questo apprendimento è influenzato  dalla nostra infanzia, ovvero dall’educazione a noi impartita e dal contesto in cui siamo cresciuti; dall'adattamento a traumi subiti, fisici ma anche emotivi; dalla professione  in cui siamo impegnati.
 A ciò aggiungiamo che noi non comprendiamo realmente, esperienzialmente,  la meccanica del nostro corpo. Ne abbiamo una conoscenza spesso superficiale e, comunque, sempre teorica, libresca; sovente, infatti, ci muoviamo in modi che non si confanno a come siamo fatti ed alle potenzialità del nostro agire.
Se poi ci aggiungiamo tutta l’area emotiva, che è impossibile disgiungere dall’aspetto fisico e che, anzi, lo influenza, abbiamo una visione chiara della complessità in cui l’individuo agisce.
Per questo sono critico verso la ginnastica, gli sport, le stesse Arti Marziali la cui pratica, come esercizio,  non è sufficiente quando addirittura è controproducente. 
Molta pratica ginnica, la “preparazione fisica”, sostiene  che noi non siamo forti abbastanza, che i nostri muscoli devono essere incrementati. Perciò un programma di esercizi è costruito  per incrementare la capacità di lavoro dei muscoli. Tutto questo tralasciando il sistema nervoso, che è invece il responsabile di ogni apprendimento, ed una visione d’insieme, di intelligenza fisicoemotiva,  di noi corpo. Pensiamo solo al fatto che i muscoli non hanno una volontà propria, è il cervello a dire loro cosa fare !


“E' necessario tener ben presente una proprietà molto generale dell'azione muscolare: se proviamo a muovere leggermente l'indice, poi tutta la mano, poi l'avambraccio, infine tutto il braccio e cerchiamo di valutare lo sforzo insito in ciascuno di questi movimenti, potremo constatare che si compiono tutti con la stessa facilità. Ebbene, dal punto di vista lavoro in campo gravitazionale, i movimenti dell'indice richiedono un lavoro di qualche gm x cm, quelli della mano di qualche migliaio di gm x cm, quelli dell'avambraccio qualche decina di migliaia di gm x cm, quelli di tutto il braccio molto di più ancora. Si vede dunque che la sensazione muscolare dello sforzo non misura affatto il lavoro compiuto, ma qualcos'altro e, precisamente, la qualità dell'organizzazione del movimento”. (M. Feldenkrais)
 
Qui sta la risorsa del nostro agire marziale, appunto. Per come noi pratichiamo: qualità differente, metodo differente.
Qui sta anche il contributo che Lupo ci dà ogni volta che pratica con noi: facile fermarlo, stenderlo con la nostra forza fisica.
Facile assumere un atteggiamento di supponenza, di paternalistica gentilezza.
Molto più interessante è assimilarne la globalità dei movimenti e, in essa, notare le comparse delle prime storture. Molto più interessante è incantarsi davanti al suo entusiasmo, alla sua spontanea vitalità. E provarci anche noi “grandoni” dentro e fuori dal Dojo. Ogni giorno.
Grazie Lupo !!



“Ok, il corpo non è come pensavamo e allora? C’è un piccolo ma fondamentale corollario a questo fatto: se è possibile percepire in maniera precisa la diversa organizzazione interna che il corpo assume in relazione alle diverse situazioni, quello con cui ci ritroviamo non è solo un corpo diverso, ma anche un potente mezzo di indagine e di penetrazione della realtà e della cultura.
Corpo-Mente-Spazio-Cultura sono infatti in continua relazione e la possibilità di sentire e capire un polo (il corpo) ci permette di capire tutti gli altri”. (J. Tolja)




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