“Dimenticatevi
ogni metodo, è l’istinto ad essere il maestro” ( M° Wang Xuanjié)
Sovente, i praticanti mi sentono dire di “immaginare”,
mi sentono parlare di “reverie”. Così come mi preme ricordare loro che pensare
è un mondo diverso, (alieno ?), dall’immaginare.
Con
ciò, non faccio che attingere al bagaglio “tradizionale” delle Arti Marziali.
Pensiamo all’I Chuan, di cui il Taiki Ken è la versione giapponese, ma anche al
Tai Chi Chuan ed al Chi Kung.
“Il Dachengquan ( altro modo di
chiamare lo Yi Quan / I Chuan) non si
basa sulla bellezza della forma esterna, ma sull’uso della mente. In breve, se
si sta sulla forma, questa è una cosa ancora immatura; solo quando si arriva ad
agire la tecnica spontaneamente, appare il miracoloso” (M° Wang Xiangzhai).
by dreamwave22 |
Come
ho già scritto altre volte, attingendo a fonti cinesi ed olandesi, ho da tempo
scartato la parola “intenzione”, nel descrivere il fare del nostro Kenpo,
preferendole “intuito”.
Attingere
all’intuizione, all’istintualità, mi pare in perfetto accordo con le
caratteristiche predatorie di un’Arte Marziale, qualsiasi essa sia, proprio
perché il confliggere è atto fisicoemotivo antico, arcaico, dunque che si rifà
al “profondo” di ogni essere umano.
Restando
sul tema dell’immaginare, Gaston Bachelard, scavava ancora più a fondo evidenziando le
caratteristiche dell’immaginazione formale e di quella materiale.
La
prima per agire abbisogna della vista: prima le cose le vedi poi le immagini.
Attraverso di essa si mescolano parti del reale percepito e ricordi del reale
vissuto. Come a dire che essa copia, non rielabora, somma più o meno
esattamente quanto immagazzinato nella memoria. Essa, per così dire, riproduce.
La
seconda, l’immaginazione materiale, vuole l’individuo sentire la materia,
entrare in simpatia (a) con quanto
gli appare. Essa vive l’esperienza del reale mettendo in gioco sentimenti e
pulsioni. Empatia che diviene simpatia, partecipazione fisicoemotiva totale.
“Non è la forma
dell’albero che fa immagine, quanto piuttosto la forza di torsione e questa
forza implica una materia dura, una materia che si indurisce nella torsione” (G.
Bachelard).
Come
scriveva il M° Wang Xiangzai, immaginiamo oltre la forma, l’apparenza, per
cogliere il dinamismo delle forze in campo, la loro essenza e la loro direzione.
Questo
sì è immaginare.
“l’albero ritorto è
il fulcro di un incrocio di vettori tensivi, per ‘capirlo’ il corpo si fa
albero e l’albero si presenta come un corpo contorto. La materia ‘dura’ che
risulta da questa immagine non è altro che la contrazione muscolare che essa
determina in chi la interpreta ‘rivivendola’.” Così scrive
Francesco Spampinato nel suo “Immaginazione materiale e corporeità”.
Di
conseguenza , la vista che dà un nome alle forme, resta nei confini rigidi
della parola “albero”, nel riconoscimento cognitivo agito a distanza e scevro
di coinvolgimenti fisicoemotivi.
Una
gran differenza ! Tanto più se, come iniziai a scrivere più di dieci anni or
sono forte delle letture di Alberto Oliverio ( da tempo raggiungibili anche sul
suo sito: http://www.oliverio.it/ ) e, in anni
recenti, delle ricerche nel campo delle neuroscienze, il collegamento mente /
corpo (volendo ancora una volta disgiungere i due, che sono in realtà un
tutt’uono !) è ampiamente dimostrato anche dalle scienze moderne e
contemporanee.
Allora,
un conto è immaginare / pensare l’albero ( ritsu zen), separare le acque,
camminare nel fango, ecc un conto è immaginare / “simpatizzare” l’albero,
separare le acque, camminare nel fango, ecc. Processi mentali / fisici diversi
per risultati ben diversi.
Dentro
qui nascono e si sviluppano due
importanti filoni di pratica e pensiero.
Uno
relativo ad un’interpretazione psicofisiologica che collega l’immaginare
siffatto a processi protomentali.
L’altro
che, immaginando, per così dire, “di materia” più che “la materia”, scopre le
sostanze chiave della cosmogonia taoista, i cui archetipi psichici svelano chi è “dentro” il praticante e le sue
relazioni.
Quanto,
e di più, nella pratica del nostro Kenpo !!
Basta
solo essere aperti, ricettivi. Quello che, in lingua giapponese è uke,
contrazione di ukeru, ovvero accettare.
Alla
faccia dei kazzutissimi guerrieri inkazzosi che, volti truci e modi spicci,
spopolano nel mondo marziale, anche quando fotografati in casa o a passeggio,
anche quando dialogano del proprio praticare, insomma, sempre e comunque http://www.youtube.com/watch?v=wCK3RQyBUxs&feature=related
“Yi si può tradurre con volontà e spirito” (
M° Guo Gui Zhi )
(a) L’empatia è la
capacità di comprendere cosa un’altra persona sta provando, Vi è comprensione
ma non necessariamente partecipazione emotiva. Simpatia è lo stato in cui
condividiamo le emozioni dell’altro, a nostra volta emozionandoci
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