giovedì 20 febbraio 2014

Del "Dare la morte"

“Ancora un volta in lotta
nell’ultima battaglia che conti
di cui ho mai saputo
vivere e morire in questo giorno
vivere e morire in questo giorno”
( dal Film “The grey” )

by N. Zouein
A volte, in pedana, mi soffermo ad indicare che il fine ultimo, tragico ma cuore della pratica marziale, è il dare la morte.
Non pratichiamo sport da combattimento, con regole, arbitri, categorie di peso e, soprattutto, scelta dei modi e dei tempi in cui avere un avversario ( avversario, non nemico  o almeno così dovrebbe essere per “regolamento”, per convenzione !! ) ed averlo, appunto, in un contesto di relativa sicurezza all’interno di un “gioco”.
Scrivo “relativa” perché, soprattutto negli sport più duri, tipo boxe e gare di MMA, l’incidente grave, anche mortale, è davvero “dietro l’angolo”.
Però, nell’arte marziale, non di incidente si tratta, ma di morte, uccisione volontaria.
Dare la morte è un concetto di una potenza illimitata, esorbitante.
La visione dell’ottimo “The punisher” ( nella versione del 1989, con Dolph Lundgren, non il simpatico polpettone uscito un paio d’anni or sono ) pone subito in primo piano l’arroganza dell’uomo che vuole farsi Dio, scegliendo chi deve vivere e chi morire. Insomma, senza citare tomi profondi, filosofi e dottrine di pensiero, la visione di quel bellissimo film già ci pone la domanda clou: Chi sono io per decidere di togliere una vita ? E, se costretto, ovvero posto davanti all’alternativa secca, io o te, sono in grado, nel mio essere e fare fisicoemotivo, di scegliere quel gesto che, comunque lo si chiami, sempre omicidio è ?
Tema, questo, del dare la morte, che presenta diversi aspetti.
Qui ne voglio sottolineare due, che pongo all’attenzione di chi mi legge ed eventualmente vorrà trattarne.
Questi sono anni che:
grazie alla globalizzazione, ai videogiochi “sparatutto”, allo sdoganamento nei notiziari televisivi e nelle trasmissioni televisive in genere di ogni sorta di morte violenta;
grazie alle nuove scoperte mediche che, di pari passo con una visione che vuole la vita più lunga possibile, prolungano lo stato di vita degli umani con ogni metodo;
pongono la morte,  Ade, in una dimensione del tutto nuova. Una morte anestetizzata dalla sua banale quotidianità, come spuntata dal suo orrore totale, dal suo essere segno di fine. Fine come … stop, come non c’è più nient’altro dopo, per te.
Ade ha perso il posto che gli è toccato per secoli, così che la morte, nel suo significato più profondo, non ha più presenza nel mondo, scacciata dal dominio della tecnica per lasciar posto al nuovo ritmo produzione-consumo, che non guarda agli scarti, alla sofferenza, alla morte che si lascia dietro, nella violenza dello sperpero, del consumo senza godimento.
Parlare di “dare la morte”, agire, in pedana, per imparare ad uccidere …
 “Solo chi sa combattere può non combattere e chi non sa combattere può solo farsela addosso… Le masse irresponsabili sono invitate a “non uccidere” perché il potere abbia vita facile… Ma nella realtà bisogna saper uccidere per cercare di non uccidere più. Si, nel Judo io insegno a combattere e simbolicamente ad uccidere, ma intanto insegno anche un principio morale…”
(C. Barioli, Corpo Mente cuore – Manifesto per una nuova educazione)
Eros e Thanatos sono fratelli,  simili allo  yin e yang,  la compenetrazione degli opposti, che, nella rappresentazione più conosciuta,  non sono separati da una linea retta, ma invadono il territorio l’uno dell’altro, essi, vita e morte, vivono insieme.
Come ci ricordava il poeta “dal letame nascono i fiori …”
Ritengo, e pratico in questo senso, che solo sapendo amare si può saper uccidere e viceversa.
Solo sapendo apprezzare la grandezza unica ed irripetibile del vivere e con ciò del donarsi, saremo in grado di scegliere consapevolmente, ovvero fuori da nostre proiezioni, rancori covati e repressi, improvvise esplosioni di collera, paura vigliacca che si fa violenza estrema, se uccidere o no un altro essere vivente.
Solo gustando la potenza illimitata, l’inebriarsi folle che dà il potere di morte su un altro essere vivente, saremo capaci di vivere intensamente donando di noi al cuore di un altro e rispettando noi e l’altro.
Per questo, dopo averne viste e, assiduamente o meno, praticate tante di Arti Marziali e loro versione sportiva (diversi stili di Karate fino al Contact, Kenpo, Ju Jitsu, Tai Chi Chuan, Wing Chun, Kali, Judo, Yoseikan Budo, ecc) ed averle poi proposte principalmente come metodi per imparare a darle prendendone il meno possibile, da una dozzina d’anni ho voltato pagina.
Propongo la pratica marziale, qui allo Z.N.K.R., come metodo per conoscersi, crescere guerriero (“colui che sa stare nel conflitto”), che il conflitto sa affrontarlo come risorsa propria e delle relazioni. Non mi interessa menare le mani tanto per farlo o per dare al praticante un “vestito” con cui coprire la nudità, la vergogna, delle proprie paure, delle proprie frustrazioni.
Uso il combattere, il menare le mani, per la formazione dell’individuo, perché sia pronto e capace nel vivere di tutti i giorni, sorta di terapia, di “body counseling”, perché il praticante esprima appieno la propria personalità  e la sappia sviluppare con gli altri.
Che questi ci riesca fino in fondo o meno, comunque ci avrà provato. Nessuno mai gli griderà in volto “Il re è nudo !!”, come il bambino della favola di Andersen può invece fare, in ogni momento, con chi fa dell’Arte Marziale o degli sport da combattimento uno sfogatoio o un gioco manipolatorio, quando non cerebralmente autoerotico.
Migliaia di filosofi, di pensatori, di studiosi, hanno in vario modo interpretato il mondo. Altri, altrettanto famosi come Carl Marx, Jigoro Kano, Georges Ivanovič Gurdjieff, Danilo Dolci, Fritz Perls, si sono adoperati per trasformarlo.
Sulla scia dei secondi, io, piccolo, anonimo ed incerto nel mio procedere, come migliaia di altri anonimi, di sconosciuti nel mondo, ognuno con gli strumenti che ritiene più opportuni, opero perché ogni individuo che entri in Dojo, per il periodo che vorrà condividere con la Scuola, scopra la sua personale vitalità, fantasia ed amore di vivere. Convinto che dall’essere umano, da ogni essere umano, inizi la trasformazione dell’ambiente tutto, del mondo.
La mia visione delle Arti Marziali, che offro ai praticanti della Scuola, è questa. La “formazione marziale” per me è accompagnare uomini, donne, bambini e ragazzi a affrontare se stessi, l’ ”interno paese straniero” per citare Sigmund Freud,  e l’ambiente.
Quando le Arti Marziali servono a questo, hanno ancora valore oggi, in Italia nel terzo millennio. Queste, comunque, sono le Arti Marziali  così come a me interessano, è quello che io ho imparato, masticato e digerito, in quasi quarant’anni di pratica.
La pratica marziale come, credo, fosse alle origini, sia nella sua forma più brutale, Jutsu, pratica di sopravvivenza, unica in grado di far star bene il combattente (altrimenti … moriva !!), sia nella forma che prese evolvendosi, Do, ovvero Via morale, etica, di elevazione dell’individuo. Due facce della stesa medaglia, come Eros e Thanatos.

"...Ogni giorno è un viaggio
e il viaggio stesso, casa..."

 ( Matsuo Bancho)






3 commenti:

  1. senza dubbio viviamo in una società che allontana ogni paura, sofferenza ( o cosi crede almeno) con surrogati vari, si teme la malattia e la si pensa di allontanare affidandosi alla cieca a qualsivoglia medico,religioso o santone fasullo o meno, (vedi wanna marchi quanti tronchi di edera ha venduto a prezzi esorbitanti!!!come talismani) accomodandoci, accettando impauriti e smarriti ogni sorta di panacea ci venga propinata.Deresponsabilizzante no?Certo non tutti, ma cmq gran parte dell'umanita.
    Cosi la Morte, da cui fuggiamo ( ma poi dove? per trovarla a Samarcanda?),dall'invecchiamento con continui lifting, labbra e tette rifatte e culi all'insu, vere sfide alla forza di gravità..forse sì,è un cercare di cambiare la superficie degli eventi, o di noi stessi che sia quando sarebbe inopportuno ( e ben più arduo certo) cambiare noi stessi, ricrearci,riconoscerci e smettere di credere che al mondo siamo solo noi..e gli altri? un errata comprensione di
    "Non puoi cambiare il mondo se non cambi prima te stesso", saggezze induiste o verità universali? fatto stà che nel dojo ZNKR ognuno apprende e al contempo stesso insegna agli altri, con gli altri, nessuna suddivisione gerarchica inflessibile, dove in altri posti le cinture nere lavorano solo con le nere, le gialle con le gialle e via così..no, in pedana ogni volta è una mescolanza di colori, le cintura servono a...tenere allacciata la divisa ehehehe e a renderci consapevoli dei progressi fatti, dei passi compitui e ancora da compiere fino a che...fino a che lo vorremmo.
    Se il Sensei non sta bene (cosa che accade rarissimamente) non è che non si fa lezione, sarà un momento opportuno per autorganizzarsi e praticare comunque, così è stato ieri sera, con la pratica di tai chi lavorando su ciò di cui avevo necessità, e poi col kenpo, permettendo anche alla cintura superioriore, di scoprirsi nel guidare la sua prima lezione. Io stesso imparo con chi la cintura ancora non ce l'ha, ma si veste in abiti comodi..e perchè no?
    una moltitudine di relazioni in cui se devo uccido,ma posso anche scegliere quando sò di poter dare la morte, scegliere di aiutare a riconoscersi, scegliere di fuggire per salvare la mia vita (se di scelta si tratta sempre) ,scegliere di non seguire un pensiero binario di bene o male ma di imparare a mescolarli, unendoli poichè c'è un punto X dove anche due rette parallele prima o poi si incontrano...

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  2. un errore di battitura pardòn! ma rischia di stravolgere il senso della frase:

    "o di noi stessi che sia quando sarebbe inopportuno (VOLEVO SCRIVERE OPPORTUNO) ( e ben più arduo certo) cambiare noi stessi, ricrearci,riconoscerci e smettere di credere

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  3. leggo il tuo Post Tiziano … non ho molte parole …. ho solo da dirti:
    La figura della bestia e la creatura … l’ho ingrandita e l’ho guardata per interminabili minuti … e … mi fa paura …
    è quella che mi frena davanti ad una stuoia dove devo dare …..la morte.…
    è quella che mi schiaccia … proprio come la figura … quando il mio cuore cede nel combattimento
    perché rapita da quel funesto balletto …
    ci sono svariati colori e sfumature nel vedere la morte … ma ognuna di queste ti lascia il segno.
    Puoi davvero affrontare l’Ade? Non ho la risposta … ma quella sfumatura io l’ho vista …
    Sfido chiunque a non avere paura …

    Citi spesso parole che si trovano nella Bibbia.
    Beh! A me … mi è stata inculcata …
    E a volte mi piace pensare a queste parole:

    “poiché quando sono debole, allora sono potente.” 2 Cor. 12:10

    Già … mi piace … pensare …

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