Un altro fine settimana in
acque agitate, tra una riunione di equipe in cui a malincuore mi sfilo da un
progetto annusando pretese mammo-fagocitanti che fanno copia con un evidente
stato di forclusione; la visita, sempre emotivamente intensa, a mia madre in
casa di riposo; un turno di lavoro della serie “Che ci faccio qui ?”; la dolorosa rinuncia allo stage invernale
causa adesioni insufficienti, che, di conseguenza, getta preoccupanti ombre sul
futuro della Scuola; un raffreddore e dei brividi di freddo che mi debilitano
il fisico; la letta di alcune voci la cui isteria e ipocrisia mi rammarica
assai; la mia voglia di coccole e incoraggiamento che monta a dismisura e si
guarda intorno, disorientata, ma evita di mostrarsi apertamente, di offrirsi.
Una è lo spettacolo di
cabaret dedicato a Bertold Brecht che la “Dual Band” mette in scena proprio
dietro casa mia. Momento non solo per Lupo di vedere nuovamente in azione i
docenti da cui sta imparando a muoversi in scena, ma per me di ricordare
canzoni e testi che hanno in parte accompagnato la mia adolescenza. Anni in
cui, tra lotte sessantottine, feste e ragazze, scorribande in moto e partite a
boccette, musica psichedelica e poesia beat, trovarono posto gli studi severi
del pensiero marxista e l’incontro, appunto, con le opere di Brecht e Frank
Wedekind.
L’altra è la visione del film “La parte degli Angeli”.
Pellicola che mi ero fatto registrare tempo addietro ed
era in attesa di essere vista, è Claudio, in una telefonata, a dirmi che sta
guardando, in TV, un gran bel film: “La parte degli angeli”, appunto.
Sùbito, scelta condivisa da Monica, ci accoccoliamo sul
divano e … via alla visione !!
Film di impegno sociale, con alla regia lo spigoloso Ken
Loach, narra di degrado e violenza, di riscatto sociale che però, per avviarsi,
abbisogna di un espediente del tutto illegale.
Un mix di elementi che mi ha posto alcune domande.
Sì, perché nel film c’è la possibilità di un riscatto
sociale che è offerta come necessaria in questi tempi in cui il dio Mercato
fagocita quotidianamente uomini ed anime; il tramite occasionale è l’alcool, bevanda abitualmente assimilata
agli eccessi ed alle trasgressioni più che alla redenzione; la nascita di un
figlio, concepito da un giovane delinquente e dalla figlia di un boss
malavitoso, comunemente apre le porte ad una vita di degrado e non ad una vita
di speranza e di inno al futuro; il protagonista si avvale di un reato per
riscattarsi e prendere la “retta via”, reato che si attorciglia su un ipotetico
reato ancor più grave messo in cantiere dagli adulti, adulti ricchi, potenti e
rispettati, in una società in cui l’oppressione delle classi subalterne è la
norma.
Lo stesso titolo, in originale “The Angels’ Share”, nel
significare un momento del processo di invecchiamento del whisky, in realtà
strizza maliziosamente l’occhio al ruolo destabilizzante, di cambiamento
radicale, che può avere per ciascun individuo un incontro ( ogni incontro ?) se
solo sappiamo coglierne l’essenza dietro l’apparenza.
Mi ha colpito, poi, l’approccio disinvolto e insieme
responsabile di Robbie, il giovane protagonista, a quello che, di lì a poco,
sarà solo il suo passato di violenza ed emarginazione. Una cicatrice che gli
attraversa il volto tutto e che lo perseguita (segno e simbolo) da anni nelle
sue relazioni, classificandolo come un poco di buono, inevitabilmente ricorderà
a lui ed ai vecchi amici chi lui è stato.
Questo non gli impedirà di affrontare serenamente il
futuro, ma gli impedirà, quando vorrà tornare “indietro” per rivisitare
luoghi ed amici della giovinezza, di negare il suo passato come se per lui non
fosse mai esistito, come se lui fosse sempre stato quella brava persona che ora
è o vuole far sembrare che sia.
Io ho letto le ultime scene della pellicola come una
reale svolta di Robbie verso un’adultità seria e coraggiosa. Ma … non lo saprò
mai !!
Qui, ora, penso a come sia difficile, soprattutto se non
hai una cicatrice indelebile a ricordartelo, essere onesti con se stessi
assumendosi le responsabilità di un passato che, a volte, si vorrebbe essere
stato diverso quando non mai esistito.
Leggo, incontro, a più riprese, goffi tentativi
manipolatori di presentarsi “politically correct”, una brava persona, proprio davanti a chi, invece, ha
conosciuto, con le dovute differenze !!, il “Robbie” della situazione.
So che è difficile fare i conti col proprio passato, lo
so bene io che “il sacco”, dopo anni ed anni di fatiche, ancora non l’ho
svuotato del tutto. Ma un passo fondamentale per svuotarlo tutto è non fingere
di non averlo avuto ben pieno. Altrimenti, e ne sono convinto, quella faccia da
bravo ragazzo, da persona equilibrata, sarà solo una … facciata, un ruolo, una
maschera per chi le palle di affrontarsi non le ha.
Beh, Robbie, comunque andrà il suo riscatto, questo
problema non ce l’ha: con quella cicatrice, sembra volerci dire il regista,
dovunque andrà, saprà sempre da dove è venuto. E forse questo, cicatrice o
meno, vale per ognuno di noi, che il percorso lo si stia faticosamente ma
sinceramente affrontando o che spudoratamente si finga di essere già arrivati
senza aver avuto bisogno di partire.
“La parte degli angeli” non è un capolavoro, ma poco meno
di due ore dedicate alla sua visione sono un bell’affare !! Soprattutto per
chi, come me, volga il suo interesse al maschile, al disagio, al percorso di
individuazione, alla paternità ed all’educazione / formazione in genere.
Nessun commento:
Posta un commento