lunedì 3 febbraio 2014

Tracce di senso

“I nostri figli sono nel tempo di una libertà di massa nella quale l’isolamento cresce esponenzialmente insieme al conformismo. La loro responsabilità cresce precocemente, ma sempre più raramente possono incontrare negli adulti incarnazioni credibili di cosa significa essere responsabili”
(M. Recalcati)

Schegge di tristezza, lembi di sradicamento.
Esco da casa di mia madre: tra pochi giorni la ricovereremo in una casa di riposo. Un’altra pagina  voltata. Un appartamento, quello che mi ha visto bambino, poi adolescente, poi … quello in cui sono tornato uscendo dalle avvilenti macerie del mio primo matrimonio; quello dei ricordi dolci dell’infanzia e dei ricordi bruschi e amari dell’adolescenza scapestrata e violenta, verrà cancellato. Capiterà che io passi davanti a quella casa, ma mi sarà vietato entrarci. Altri inquilini, altri mobili, altre vite e passioni. Niente per me e di me. Niente più. Mai più. E mia madre in una casa di riposo a veder scivolare tra le mani vecchie  gli ultimi anni di una vita; donna minuta, malata, la cui memoria sempre più spesso vaga tra le nebbie di un mondo altro, confuso, stonato.
Giorni intensi, questi.
Questi  in cui ho visto “The grey”, film di forte impatto emotivo. Tra lupi, oscure e feroci  presenze dentro  ognuno di noi e che mi rimandano al bellissimo “Il richiamo della foresta”, libro per ragazzi che dovrebbe invece stare sul comodino di ogni adulto maschio. Tra un cacciatore, un predatore uomo la cui preda finale è se stesso, in un culmine d’amore e tenerezza verso la donna che gli è accanto e di maschio altruismo verso i compagni di disavventura.
Sullo sfondo, l’ululato del lupo.
Questi in cui, in un casolare tra le colline bergamasche, ho guidato un gruppo di maschi a sentirsi branco, a riconoscere le reciproche differenze come risorsa per essere maschi insieme. Come risorsa per fare gruppo, per “cacciare” insieme. Li ho condotti, mano nella mano, tra le spire delle corporeità fisico emotiva, della motricità intelligente ed efficace che attinge al sapere “dentro”.
Danzare, incontrare e scontrarsi, annusare un’anatomia fatta di carne, respiri ed esperienza invece che di tavole sinottiche e saperi astratti. Li ho portati ad incontrare l’anima – le Gru: saper chiedere, saper mostrare la vulnerabilità come forza dolce. Distendere le ali nel volo accettando l’inevitabile ritorno a terra, condizione, quest’ultima, necessaria per poi poter riprendere il volo.
Dodici uomini adulti che si stanno cercando come maschi consapevoli ed auto diretti in un percorso di terapia intensa.
Con loro, Giovanni, che mi ha accompagnato nell’impresa. Insieme, ora che il buio della sera è diventato il padrone assoluto, lasciamo il casolare, le colline gonfie, il silenzio delle ombre immobili, per tornare nell’affollato deserto di cemento della nostra Milano.
Questo di giorno, in cui osservo, a troneggiare sul Katanakake, “Lupo di Settembre” e “Lama Danzante”. L’acciaio che dona la morte.
Sì, è Domenica, sono solo in casa. Perché Monica e Lupo sono a Bassano del Grappa, certo, ma sono solo di una solitudine dentro, che sa di stanchezza e disorientamento. Mentre mastico schegge di tristezza, lembi di sradicamento.
E mi assumo la responsabilità di questo mio vivere, per quanto lo sarà.

“A noi dispersi dal tempo
non è rimasto altro che
una traccia
lasciataci dalla natura.
A noi – navigatori solitari –
non è concessa
la stella dei ricordi,
solo un lieve palpito all’imbrunire.
Lasciate che il mio cuore
non gema
per le piaghe infette
da cui è ricoperto.
Ridete pure della mia solitudine
perché a noi, dispersi dal tempo,
non è concesso altro che
il turpiloquio”
(N. Fanizzi)



Le immagini, a parte quella raffigurante i miei katana, mostrano opere di Art Brut.




2 commenti:

  1. Sono giorni che voglio postarti una riflessione... tu scrivi qui ma quando siamo vicini non dici niente, questo mi ha fatto metter giù un paio di pensieri

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  2. Che strani siamo noi, pronti a ricevere, ma difficili a chiedere e nello stesso tempo accettare da chi e cosa ricevere. Anche dare ci risulta difficile, un po' per paura di esser rifiutati un po' perchė non sappiamo se riusciremo a dire no quando ci sarà chiesto di più. Esser disponibili a volte viene scambiato come voler avere una relazione amorosa o fare un contratto: mi hai dato, in futuro non potrai fare di meno. Perché? Cosa mi obbliga a dare di più e cosa mi obbliga a esser in debito, con chi mi ha donato? Mai stati abbandonati? Quanto abbiamo disprezzato la persona che l'ha fatto, ci ha fatto soffrire eppure... essa ci ha regalato il ricordo di splendidi momenti vissuti e quindi la nostra maturità, se siamo ancora qui anche la nostra forza. L'essersi allontanata da noi equivale ad un abbandono o un voler crescere da sola? Certo cosa diversa è l'allontanamento forzato... Un'altro pensiero, non si vive di soli ricordi ma essi ci aiutano ad apprezzare la nostra vita e se usati con abilità a migliorarla così come accade attraverso le relazioni (conflitto e accordo) con le persone che ci stanno accanto o che si sono dovute allontanare.

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