“Il
termine organizzazione rimanda al concetto di ‘unità integrale’, ad un tenere
insieme, creando fra loro coerenza, parti molto diverse che grazie a tale
coerenza riescono a comporre un organismo in grado di vivere”.
(L. W. Sander)
Si avvicina Settembre 2014: trent’anni in via Simone d’Orsenigo, all’interno di
oltre trent’anni di vita dello Z.N.K.R., la nostra Scuola. Prima alcuni anni
alla palestra Umanitaria, poi un anno presso il circolo A.R.C.I. Bellezza, poi,
dal Settembre ’84, nei locali di via D’Orsenigo.
Una
Scuola, un organismo, vivo, come tale
soggetto a scelte di direzioni, scelte di pratica, scelte di cultura
forti e insieme instabili, prolifiche e insieme devastatrici, tanto aperte allo
sviluppo quanto sempre a rischio di alterazione e patologia.
Solo
così, aperti all’ambiente esterno quanto a quello interno ma senza mai
lasciarsi sopraffare da tendenze
devianti la rotta in mare aperto, abbiamo potuto vivere e praticare per
decenni. Perché la continuità di ogni organismo sano è dettata dall’incessante
processo di scambio tra organismo stesso
ed ambiente, dall’incessante
riallineamento tra le forze che coabitano all’interno di questo stesso
organismo.
Così
è stato per le diverse Arti, i diversi
stili delle stesse, che nella Scuola abbiamo praticato. Prima, seguendo le orme
del mio stesso incedere, alla caccia dell’Arte più efficace, poi mixandole tra
loro per tentare la “pozione magica”. Prima, insegnando io quanto ricevevo dai
miei Maestri in termini di tecniche, poi mixandole tra di loro.
Fino al ribaltamento,
alla rivoluzione,
o forse, appellandomi al sapere Tradizionale, all’eversione che ci ha portato ad una visione totale, globale del
praticare. Visione che ha spezzato ogni legame superficiale col passato per addentarne
il cuore più profondo, più interno, portandolo, in un costrutto dialettico
fatto di sbalzi, in una visione spiraliforme che, come tale, è insieme
procedere avanti e tornare sullo stesso punto, a battere in un corpo che è
quello del terzo millennio e non del medioevo nipponico o cinese. Che è, per
altro verso, comunque sapere Tradizionale e non improvvisato supermarket
paramilitare venduto ad impiegati o casalinghe in cerca di certezze ed emozioni
forti.
Fino
alla scoperta dell’individuo, unità fisicoemotiva, come attore protagonista non
più servo, ripetitore pedissequo e robotico, di un copione scritto da altri ;
del sapere marziale come strumento di conoscenza e non più come conoscenza in
sé fatta di tecniche e gesti codificati; dell’imparare come processo maieutico
in cui domandare è più importante che conoscere la risposta già confezionata; del praticare per conoscere di sé e dello
stare al mondo, facendo della conflittualità non più un orrendo moloch ma
un ulteriore campo, un’ulteriore opportunità, di conoscenza e confronto.
Le cose, insomma, di cui vado scrivendo su
questo mio blog.
Anche
per questo, mi vien da sorridere quando sento o leggo ex allievi citare cosa e come pratichiamo in Dojo:
allievi fermi agli anni passati, che nulla possono sapere di cosa e come oggi, che non è ieri e non sarà domani,
pratichiamo e viviamo l’Arte, l’essere artisti, del combattere, del
confliggere.
Perché
noi siamo un organismo vivo. Un
organismo che ingaggia anaffettività e delusione del desiderio per abbracciare
vitalità e pulsioni profonde. Che fa della cura ( che è responsabilità verso l’altro dettata dall’osservazione,
ovvero interessamento solerte e premuroso ) e dell‘individuazione (che è processo di differenziazione che ha per scopo
lo sviluppo della personalità individuale ) il cuore della pratica.
Per
questo sarebbe oggi assai arduo, non solo per chi ha praticato con noi Karate o
Yoseikan Budo o Kenpo negli anni ’80 – ’90, ma anche per chi lo ha fatto ai
primi anni del ‘2000; per chi ha praticato Tai Chi Chuan o Wing Chun o spada
giapponese venti o cinque anni fa, ritrovarsi “sic et simpliciter”,
riconoscersi, in come oggi pratichiamo, come oggi agiamo corpo.
Lo facciamo sperimentando intensamente il
rapporto con i mille noi stessi che ci compongono, con l’ambiente e le
relazioni che ci attorniano: condensato
di energia profonda ed oscura, pedagogia dell’entusiasmo, fino ad essere,
in stati di coscienza espansa,
comunicazione dell’estasi.
Come
potrebbero riconoscere in me, over sessanta, dalla barba ormai chiazzata di
bianco ed il dolore recente della perdita di ambedue i genitori, l’entusiasta
trentenne o il cinquantenne ferito da un amore pugnalato alle spalle, degli
anni addietro ?
Come
potrei dichiarare essere lo stesso degli anni di apprendimento con il M°
Tokitsu, il M° Montaigue o il M° Yamazaki, il Ritsu Zen che ora vado proponendo
al seguito del Maestro ed amico Aleks Trickovic ? Quand’anche il “cosa” ed il
“come” fossero gli stessi, sono io ad essere un altro.
Che c’azzeccano i pugni a catena e la logica
di movimento del Wing Chun come io li appresi dai vari Cuciuffo, Boztepe, poi
Anderson, poi Regalzi e Bernardo, con i pugni a catena di oggi ?
Non
solo.
La “tecnica”, in realtà, è mutamento nel modo
di muoversi; è divenuta consapevole mutamento di corpo, di fisicoemotivo; è agire affermando la supremazia del corpo
di muoversi dal di dentro come autentico ed originale centro autonomo di potere
e decisione.
Dunque,
lo Z.N.K.R., corpo vivo, è mutato
nei decenni, rinnovandosi ogni volta e trovando una sua originale e, in Italia,
probabilmente unica strada nel panorama
marziale.
Una strada lastricata
da domande fisicomeotive sul chi sei e come e dove stai andando.
Come a dire, usando termini della tradizione
guerriera nipponica, un continuo, incessante travaso tra Jutsu ( la pratica del
combattere) e Do (La Via, la qualità del vivere quotidiano, sorta di “elevazione spirituale ed esistenziale”
nella traduzione che del kanji giapponese ne fa il Maestro di Aikido Claudio
Pipitone). Come a dire, con le parole di Roberto Assagioli, psichiatra e fondatore
della “Psicosintesi”: “Mettiamoci alla prova, vediamo di scoprire,
per mezzo dell’azione, ciò che siamo”.
Sorta
di terapia marziale, di percorso
condito di reverie ed immaginazione
attiva come esperienza di incontro tra conscio ed inconscio, di composizione di
movimento volta a mostrare cosa si muova
interiormente e a creare nuovi ed autonomi significati.
Per
maschi e femmine eretici, per guerrieri (colui che sa stare nel conflitto)
servitori di se stessi.
Più
di trent’anni di Z.N.K.R., di cui trenta in via Simone d’Orsenigo. Il cammino,
e la trasformazione, continua.
“La piena accettazione della responsabilità
individuale diviene una necessità fisica e psicologica per la sopravvivenza”
(J. Whitmore)
“Praticando
l’esercizio fondamentale ogni giorno, con dedizione e sforzo, è possibile
conoscersi (…) gli esercizi di combattimento a due eseguiti con costanza e
dedizione, permettono di conoscere gli altri”
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