Lunedì
28 Luglio
Cambiano modi e tempi. Sempre e in tutto.Anche nella mia formazione marziale estiva
Ci furono gli anni in cui, una volta “in ferie”, lasciavo passare un paio di settimane nell’ozio marziale. E gli ultimi giorni d’ozio erano una tortura: troppa voglia di muovermi, di agire. Finalmente, arrivava il tempo della formazione scandita da pieni e vuoti regolari, un giorno di pratica e due di riposo. Momenti di pratica svolti in orari particolari, spesso la mattina all’alba, per non intralciare la quotidiana vita familiare d’Agosto.
Poi, vennero gli anni del totale, o quasi, distacco dalla pratica marziale. Piuttosto, il periodo di “ferie”, mi vedeva impegnato in pratiche corporee “dolci”, tra Feldenkrais e Danza Sensibile, come a coccolarmi, ad esplorare un’intelligenza motoria profonda che sostenesse la pratica del combattimento, dei pugni e delle bastonate, che avevo appena lasciato alle spalle e che, di lì a poco, mi avrebbe atteso per altri undici mesi.
Ora è il tempo della quotidianità: tre quarti d’ora, un’ora, di pratica marziale tutti i giorni.
Come oggi, nel giardino di casa, tra gioco dei femori e sguardo predatore che investe erba, alberi di frutta, cielo ed edifici tutt’intorno.
Mi piace praticare ogni giorno, tutti i giorni. Come una danza potente e lieve insieme. Come respirare.
Piacevole necessità, gusto intenso di vivere, di esistere, che scorre nelle vene e nei polmoni.
“Tutto
ciò che siamo è il risultato di ciò che abbiamo pensato”
(Buddha)
Martedì
29 Luglio
Due passi nel centro di Bassano.Padre e figlio, e questa volta con noi c’è Emma, la cuginetta coetanea di Lupo, nella preziosa libreria di Palazzo Roberti, palazzo austero, dalle travi di legno e le finestre che danno su cortili erbosi ed ombreggiati. Poi, la sosta per un gelato, il naso all’insù a scrutare la Torre Civica e l’orologio costruito da Bartolomeo Ferracina ( quante ne sa Lupo, dopo il campus estivo in cui, tra le più diverse attività, ci sono state anche le escursioni tra monumenti e palazzi ), i diversi pareri sui coltelli esposti nel negozio lì accanto.
Padre e figlio, un pugno di giorni insieme prima che Monica ci raggiunga.
Intimità al maschile, tra cene a tarda ora e chiacchiere ridanciane sul balcone, spese disordinate al supermercato e piatti da lavare insieme.
Io e mio figlio Lupo.
Mercoledì
30 Luglio
Un’ora abbondante di pratica, sole e nuvole a mescolarsi
nel cielo bluastro. Sudore che scorre a flotti, respiro profondo.Poi, disteso sul pavimento di casa nei “dolci” lavori di Anatomia Esperienziale, mi ritrovo a riflettere sui progressi e i … regressi nell’Arte, a ripensare alle ruvide parole dell’amico e Maestro Aleks, tese a spronarmi, a non lasciarmi mai “dormire sugli allori”.
Sotto gli occhi allibiti dei passanti, due settimane or sono, in un parco del varesotto, mi ha preso sotto la sua spessa attenzione per correggere e raddrizzare una pratica ancora malamente incerta, e che bello poter finalmente tirar di coltello, quello autentico, quello affilato come siamo soliti fare noi allo Z.N.K.R. tra lo sconcerto quando non il dileggio dei vari Maestri ed espertoni che stipano il circo Barnum delle Arti Marziali e si pavoneggiano nel maneggiare, nel difendersi, da giocattoloni … in plastica !! Che bello poter finalmente trovare un altro che l’arma la sente, l’annusa, la usa …
Mi vengono in mente gli ultimi passaggi di grado elargiti nel Kenpo. La cintura che si tinge di un diverso colore è la dimostrazione tangibile che sei progredito, è il rafforzarsi di un rapporto con chi ti sta guidando nel tuo personale percorso e la comunità di altri praticanti che questo tuo cammino rendono possibile.
Niente di più né di meno. Niente trofeo da esibire agli amici (e a se stessi) né status di invincibilità e superiorità. Ma nemmeno semplice strumento per tenere su i pantaloni ( mi perdonerà il grande Bruce Lee).
Ovvero, per saper davvero accettare ed onorare un passaggio di cintura, occorre saper far convivere l’umiltà di chi è consapevole che si tratta solo di un passo in un cammino fatto di mille e mille passi in cui il tragitto è il cuore più che la meta, con l’orgoglio di aver superato un ostacolo, di avercela messa tutta, proprio tutta, tanto che la guida, il Sensei te ne ha reso pubblicamente atto. Umiltà e sano orgoglio, coraggio e senso della sfida insieme alla capacità di riconoscere l’aiuto altrui, di onorarne il dono prezioso. Roba da guerrieri, insomma.
Mercoledì
6 Agosto
La fenice oscura si leva in volo, artigli di sole
lacerano nuvole panciute: dai loro ventri gonfi non esce pioggia, ma strisce di
un cielo volgarmente colorato di viola.Emozioni sottili, emozioni forti, mentre mi inoltro lungo la galleria “Vittorio Emanuele III”. Fortificazione militare scavata nella roccia, badilata dopo badilata, mani sudate e corpi stremati, per oltre cinque chilometri. Umidità e pareti corrose, i cannoni, il buio che si lascia morire tra le avide braccia di una luce languida e malata.
Lì, e fuori di lì, le battaglie che insanguinarono il monte Grappa nella guerra ’15 – ’18, gli oltre ventiduemila morti, di cui solo duemila ricordati con nome e cognome, caduti in un pugno di mesi.
C’è dell’altro sul monte Grappa. Un’aria leggera che testimonia dei 1.700 metri di altezza, un panorama mozzafiato che si estende per chilometri e solo una foschia vigliacca ci impedisce di portare gli occhi fino al mare di Venezia, un verde smagliante di tonalità varie e le mucche che ci ingombrano la strada.
Ci sono, con noi, l’immancabile Emma e, questa volta, Anna che ci porta la sfrontatezza dei suoi vent’anni o poco più.
Ma il mio cuore, il mio respiro, nel lasciare trincee e gallerie e cannoni e pistole e fila di nomi di soldati morti, resta per un lungo, doloroso attimo ancora lì. Lì nella forza devastante e brutale della guerra, del corpo a corpo sanguinoso e delle carni straziate dalle palle di cannone.
Ripensare alla guerra, ad ogni guerra.
“Nessuna
carne verrà risparmiata”
(dal
Vangelo secondo Marco)
Sabato
9 Agosto
Monica sceglie di trascorrere il pomeriggio a casa della
sua famiglia, trascinandosi appresso un riluttante Lupo.Per me, altre ore in solitario.
Una piccola spesa al market vicino, un libro in giardino, l’immancabile “cioccolatosa” merenda. Prendo la bici e vago alla ricerca di un bar per un buon caffè espresso.
Un paio di chilometri, nulla più. Sufficienti a farmi esplorare l’uso dei femori. Sì, un conto è pigiare sui pedali contraendo i quadricipiti femorali, gli spessi muscoli anteriori della coscia; un conto è agire sui femori e, con loro, attraverso la muscolatura profonda, il connettivo. E proprio il ritrarsi di un femore, avvia la potente pedalata dell’altro. Lo ying, il vuoto, genera lo yang, il pieno.
Ciclismo e Arti Marziali ?
Chissà, potrebbe essere il titolo di un libro di successo ?!?!
Domenica
10 Agosto
La grigliata, tra afa e deboli aliti di vento, i giochi
in piscina dei più piccoli, le “signore” a prendere il sole, le chiacchiere ed
un buon caffè.Poi, la sera, nel giardino di casa, mi muovo silenzioso e furtivo a danzare guerriero.
La mano accarezza il potere del freddo metallo che, viceversa, la scalda, le dà una vita nuova, una vita assassina. Ogni respiro è un’onda che monta nel petto e si riversa sul dorso d’acciaio, cola lungo i fianchi tatuati e scivola, lento e sinuoso come serpe, sul tagliente sottile.
Impugno un Kendo della Muela. Niente di che per chi i coltelli li colleziona e disdegna il semplice acciaio inox, come la marca nient’affatto altisonante.
Strumento di violenza e cacciatore di prede, per chi del coltello fa un’arma e non un soprammobile alla stregua di statuette Thun, animaletti Swarovski o quelle sfere di vetro che, a girarle, lasciano cadere fiocchi di neve.
La corta lama bisbiglia il suo segreto, la punta a forma “tanto”, ricordo strappato alle letali armi dei samurai, fora l’aria sibilando.
Danzo tra alberi di frutta, piccoli cespugli irti come folti e duri peli eccitati dallo spavento di un qualche animale strisciante, sotto un cielo perlaceo che ostenta ferite di nero e di viola.
Disegno nell’aria archi, cerchi, irose e brevi falciate che calano inesorabili su avversari immaginari. Immaginari sì, ma così vicini, persino dentro il mio ventre, il mio cuore.
Sento il contatto, lo scontro, lo sfrigolio di pelle, muscoli e ossa. Intuisco grumi di sangue, coriandoli impazziti, levarsi disordinati.
Guizzo di fiamma o danzatore di morte. Non importa.
Il coltello, tetro e scuro, è sempre davanti a me, barriera insormontabile e artiglio indecente.
Poi, nel caldo appiccicaticcio che preme sulla bocca e sui vestiti, rallento gesti e movenze. Rallento respiro e tamburi nel cuore, suoni che si affievoliscono in un ritmo lontano, che quasi si fa melodia consolatoria dopo la furia dello stupro selvaggio.
La piccola, feroce bestia, segnata da ferite e brutture incomprese, il “passeggero oscuro”, si dissolve …
Saluto, pugno socchiuso in mano che avvolge, il cielo e il mio destino.
Mi giro verso casa, ad attendermi il sorriso di Lupo e le sue piccole mani protese, le semplici cose del quotidiano.
“Dietro
ogni ombra, c’è sempre qualcosa”
(J.
Abercrombie)
Lunedì
11 Agosto
La strada è ampia, benché sterrata. Percorsa da qualche
auto, da appassionati di mountain bike e … pedoni. Pedoni che, come noi,
lasciata l’auto lungo uno degli spiazzi, salgono, passo dopo passo, fino alla
vetta, fino alle malghe ed ai rifugi della montagna alta.Ai lati, c’è chi si ferma ed allestisce pic nic e grigliate, la fitta boscaglia tutt’intorno e le montagne giganti a sfondare il cielo.
Anche oggi sole e nuvole si rincorrono, si sovrappongono, a formare volute di grigio ed azzurro.
Agosto, l’estate tutta, birichino, che ha spesso nascosto il sole per ostentare sfrontatamente nubi grossolane a troneggiare prepotenti su noi, poveri mortali “vacanzieri”.
Ma la montagna, oggi, ci mette del suo e ci abbraccia tiepida e tranquilla, come a rassicurarci che le nuvole lassù sono solo dei bulli parolai: vociano, si agitano, ma ci risparmieranno un bagno d’acqua del tutto indesiderato.
Così, affrontiamo sereni quei quattro e più chilometri che ci separano dal rifugio Granezza, meta irrinunciabile di ogni estate a Bassano.
Poi, sazi di cibo e vino che l’esuberante cameriera dispensa a piene mani, il vigore atletico dei giovani Alberto ed Anna, il primo, calciatore per diletto, la seconda, pallavolista per mestiere, ci coinvolge in un improvvisato giro di calcio e pallavolo.
Il tempo sufficiente per sgranchirci le gambe intorpidite dalla lunga seduta a tavola e prendiamo la via del ritorno.
Lo shitzu, il minuscolo cane di Anna, trotterella felice sul bordo erboso. Un modesto inconveniente che colpisce Monica mi fa esclamare “Ecco, stiamo invecchiando insieme!”, anche se l’espressione, nel coinvolgere una donna ancora under cinquanta, non è delle più felici. Lei, però, sono sicuro, ne ha colto il senso, come ha fatto Lupo, subito accorso ad abbracciarci perché “La famiglia è unita, è insieme”.
Saliamo in macchina, ci allontaniamo dagli alberi alti, dai tappeti erbosi. Da una gita che mi scalda il cuore ogni anno, ogni anno vissuta con amici diversi ma sempre sentiti,apprezzati, insieme. Insieme amici.
Giovedì
14 Agosto
Buongiorno mondo !!Nonno Alfredo è venuto a trovarci, ora è in giardino a tagliare l’erba. Monica, con Lupo ed Emma, la cuginetta che ha dormito da noi, è al mercato.
Io me la prendo comoda, seduto ai limiti dell’ampio balcone, il cielo azzurro calpestato da goffe nuvole, dove un tremulo vento fa sì che tutto sia lento come miele che cola.
Sistemata un po’ la casa, ora leggo, scrivo, un allievo mi telefona, l’odore acre dell’erba rasata a pungermi le narici.
La mente vaga, riflette sulla ricchezza tempestosa che dà il vivere, l’imparare.
Mi chiedo come sia ancora possibile, nell’istruzione scolastica come nelle Arti Marziali, nella relazione di coppia come nell’educazione dei figli, affidarsi alla certezza dei procedimenti lineari, dell’A, poi B, poi C, poi …
Per restare nel campo della pratica marziale, mi chiedo quali fragilità genitoriali, quali patologici “attrattori” (nel senso che ne dà lo psicoanalista Emmanuel Ghent, utilizzando gli studi della teoria della complessità, laddove cita l’esempio del pendolo: un pendolo può oscillare con ampiezza variabile, con velocità variabile, ma se è lasciato a se stesso, invariabilmente tenderà ad essere attratto verso uno stato di quiete e si fermerà in posizione verticale) dominino il praticante, l’allievo, che vuole, pretende, di imparare una tecnica e poi l’altra, una “forma” e poi l’altra, pretende di imparare attraverso una didattica certa e lineare.
Una didattica che egli esige priva di ogni dialettica sperimentale e personale, quanto fermamente imbullonata all’oggetto del sapere di cui appropriarsi.
Eppure, dalla rozza dialettica della filosofia tedesca ottocentesca, fino al matematico francese Henri Poincaré e la sua teoria del Caos: “L’obiettivo della scienza non è la conoscenza delle cose in sé, come affermano i dogmatici nel loro semplicismo, ma la capacità di cogliere la relazione fra le cose; al di fuori di queste relazioni, non esiste una realtà conoscibile”; attraverso cibernetica e neuroscienze; attraverso gli scritti e le opere di educatori e formatori di diversa estrazione come Danilo Dolci, Mario Lodi, Bruno Munari, Daniele Novara, Giorgio Cavallari, Enzo Spaltro (per restare in terra italiana e, in particolare, con uomini che hanno contribuito alla mia di formazione); per non scrivere di tutta la psicologia umanista e delle nuove aree del counseling e del coaching, dovrebbe essere chiaro e noto a tutti che imparare, scoprire, trasformare di sé e dell’ambiente avviene attraverso procedimenti non lineari ma in modo complesso e contraddittorio, privo di certezze sui risultati e scandito da caotiche fasi drammaticamente perturbanti ed inesplorate.
Nulla di nuovo nella cultura taoista, quella a cui rimanda la pratica del Tai Chi Chuan.
Nulla di nuovo nella nostra cultura più antica, quella greca, se ripensiamo, con le parole della psicologa Christine Kieffer, al gioco tra Hermes – Mercurio, generoso e ladro insieme, presente e sfuggente, benevolo e pericoloso, ma indispensabile perché qualcosa esca da dove prima qualcosa mancava, e il rigoroso Efesto – Vulcano, divinità laboriosa ma percorsa da rabbia vendicativa.
Insomma, imparare e con ciò crescere, è scoprire e creare, tra mille incertezze e cadute e cambi di rotta e conflitti, in ogni campo della vita, a partire dal proprio vivere.
Ma questa semplice, pur se complessa, verità, pare ignota ai più. O, forse, pare troppo foriera di incertezze, troppo responsabilizzante ai più per abbracciarla, preferendo questi ultimi la tranquillità del tran tran quotidiano, dello scorrere piatto e lineare delle cose. Anche quando questo, sotto i loro occhi, nelle loro mani, non avviene, nella relazione di coppia, nell’educazione dei figli, nell’avanzare dell’età, nei problemi di lavoro: meglio proiettare su altri, meglio negare l’evidenza di ciò che è diverso da come si aspettano, che muta anche contro la loro volontà, meglio gridare al tradimento, meglio imprecare contro malasorte e destino e cattiveria altrui: fragili e vili soldati ai margini di ogni battaglia quando non in fuga da ogni battaglia; miopi e tremebondi Homer – Simpson che si aspettano e pretendono le meccaniche istruzioni by Ikea quando sono davanti ad ogni campo del sapere, al loro stesso vivere.
L’afa sale, il cielo si è tinto di colori opachi. Io scendo in giardino per la mia danza guerriera, danza di incertezza ed esplorazione, danza di potere mortale.
Venerdì
15 Agosto
Gita lungo il fiume Brenta con pic nic.Beh, a dire il vero, sotto un cielo, da giorni, cavalcato da nuvoloni minacciosi ed iracondi,sempre lesti nel lasciar cadere cascate di pioggia, ci vuole una notevole dose di ottimismo (chiamiamolo così!) per organizzare una camminata ed un pranzo all’aria aperta.
Infatti, già la camminata lungo il fiume, a scopo precauzionale, veste i panni di un arduo mix tra un sentiero lambito dalle acque gonfie del fiume, rannicchiato sotto la protezione virile di alti alberi verdi e un impegnativo percorso ad ostacoli tra auto lanciate in velocità, strada provinciale ed un risicato marciapiede che l’asfalto vorace ingoia senza alcun avvertimento.
Poi, ci pensa l’oscura divinità del tempo meteorologico ad infliggerci la punizione più dura: pioggia in abbondanza e vento freddo sul collo, sui vestiti, ad infiltrarsi, perfido e subdolo, nel colletto della maglia perché la pelle nuda ne abbia pieno sentore.
Se non altro, una volta di più e soprattutto per tutti gli uomini e le donne ancora gonfi di pretese sul mondo, questo ricorda a tutti che l’uomo non è onnipotente, che la Terra, la Natura, non è il suo schiavo asservito per sempre, che la Terra, la Natura, c’è, c’è stata prima di lui e dopo di lui ci sarà ancora, infischiandosene dei sui propositi e dei suoi progetti, a volte punendolo severamente per le sue sfrenate ambizioni di potere, dalla strage del Vajont alla disgrazia dei giorni scorsi nel trentino, dalle frane delle montagne offese e ferite sotto strade e costruzioni avventate alla furia assassina delle slavine, altre volte limitandosi a maramaldeggiare, a tirare qualche scherzo innocuo donandoci pioggia incessante quando si pretende il sole o sole feroce quando si pretende un po’ di frescura.
Ritorno inglorioso a casa dei nonni, dove il rito del pic nic si consuma nel chiuso del locale taverna: l’apparenza, forse, è salva, il contenuto no. Come a dire che l’uomo, ogni uomo, crede solo a quel che vuole credere. Almeno, nel gruppo, comunque si ride e chiacchiera allegramente.
Mentre la compagnia, sfilacciata nei discorsi del dopo caffè, si raggruma attorno alla “Pisciotta”, una sorta di tombola di stampo veneto, io prendo l’auto e mi dirigo a casa.
Il giardino, il sole che, sfrontato bell’imbusto, ora la fa da padrone incontrastato in un cielo azzurro e terso, le ombre della siepe, i silenzi degli uomini. Sullo sfondo, le montagne grigie, immarcescibili ed eterne testimoni delle faccende e delle cose degli uomini, che scorrono e muoiono. Sempre.
Domenica
17 Agosto
Scura è la notte, pervicacemente violentata dalle luci invasive
di una città, di una società, che non sa più accettare, amare, il buio,
l’oscurità.Ma la notte, comunque, anche solo in radi angoli solitari, lungo strade strette e cortili vetusti, si prende la sua rivincita: nera e bella, nera e miseriosa, nero velluto morbido sul manto elastico di una pantera libera, selvaggia e, certo, anche pericolosa.
Sì, sono a Milano, ferie finite.
Ogni travaglio, ogni passaggio, porta melanconia quando non dolore e smarrimento, ogni travaglio, ogni passaggio genera qualcosa di nuovo nel cuore, nella pelle. Nulla è mai come prima. Spirali di azioni ed incontri in cui qualcosa e qualcuno lo lasciamo per andare da qualcosa, da qualcuno. Anche quando torniamo da una persona o in un luogo da cui ci eravamo allontanati, questi non è più lo stesso , noi non siamo più gli stessi.
Forza inarrestabile della spirale, cerchi che si succedono apparentemente uguali ma che scivolano sempre in avanti, oltre, lasciandosi alle spalle ciò che è stato.
E’ sempre così, in ogni occasione. Emozioni e sentimenti. Alle prime, succedono i secondi, quelli nascosti e soggettivi.
Zero voglia di lasciare il giardino, di lasciare una cittadina orlata da colline e montagne, dolcemente posseduta da un fiume poderoso e tranquillo, di lasciare i ritmi miei, quelli che, pur mediati con le esigenze della famiglia, sono solo ed unicamente miei.
Amo Milano, qui ci sono le mie radici, cose accadimenti, persone, con cui ho attraversato il mio tempo, ho vissuto. Non c’è strada, non c’è piazza, che non mi riporti alla mente un amico, una ragazza, uno scontro di spranghe e coltelli, una persona svanita negli anni ed una incontrata, un appuntamento mancato e una passeggiata mano nella mano, un acquisto prezioso ed uno modesto, una chiacchierata intensa ed uno scambio noioso.
La amo Milano ma, anno dopo anno, monta la voglia di un luogo meno affollato, dove il cemento non artigli e stravolga tutto quel che incontra ergendosi a “padre padrone” assoluto, dove le mie narici non siano intasate dal puzzo di smog o le mie orecchie lacerate dal suono orrendo di ferraglia in movimento, luogo, questo, dove tutto stride e si contorce come macchinario lurido e corroso.
Poi, mi rassegno. Riesco a trovare il bello, i buoni valori, anche nel dipanare gli anni della mia vita in questo calderone maleodorante ed estraniante, che tutto prende e rivolta, fino a mascherare, a soffocare, a nascondere ed annientare, in un atto senza fine, quel che ai miei occhi, al mio cuore, era la mia Milano.
Tu che mi stai leggendo, hai visto il naviglio Martesana scorrere là dove ora si rincorrono case e strade di viale Melchiorre Gioia ? Ti ricordi della collinetta e del Luna Park là dove ora inizia il quartiere della Milano degli affari ?
Ma poi mi sovviene che mio padre mi parlerebbe del tram “Gamba de legn” e delle luci ad olio che portavano una fioca luce stinta per le vie della città…
Andare ,tornare, di nuovo andare, mutare, invecchiare, anche questo è vivere. Vivere intensamente, coraggiosamente ed emozionandosi sempre, è anche questo; individuo fisicoemotivo immerso consapevolmente nelle cose, negli accadimenti, negli incontri, quelli che cerchiamo e quelli che ci accadono e quelli a cui ci opponiamo, sovente uscendone sconfitti.
Allora, ciao ciao Bassano, ciao ciao dolce e seducente fancazzismo. “A Milan se sta mai coi man in man” cantava Giovannino Danzi.
Dai, forza Tizi !!
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