Il mio
nome è Nessuno
Vol.
1: Il giuramento. Vol. 2: Il ritorno
Come sa chi mi conosce, io sono un “divoratore” di libri di
saggistica, poco avvezzo a cimentarmi con i romanzi. Lo so, Giorgio Amendola,
uno dei più fini politici ed intellettuali del fu PCI, si rivolterebbe nella
tomba, lui che ammoniva a leggere le cose della vita proprio attraverso i
romanzi, ma io amo studiare i “saggi”, concedendo poco spazio alla narrativa.
Eppure… ho preso una “cotta” per i due volumi che Valerio
Massimo Manfredi ha dedicato alle vicende di Odisseo, il “suscitatore di odio”,
uno degli erodi dell’Iliade e il personaggio principale del libro omerico che
da lui prende il nome.
Lettura agile e piacevole, mi ha indotto a diverse
riflessioni, tutte, ma guarda un po’ !! legate alla mia pratica marziale che,
lo sapete, per me è a sua volta chiave di interpretazione del vivere e delle entità
tutte del mondo.
Una prima cosa che mi ha colpito è la sua capacità di
vivere in fondo ed appieno le sue emozioni, senza farsene travolgere. Io che,
in tempi giovanili ed estremamente … vivaci, mi innamorai del Pelìde Achille
dalla “ira funesta” e dalle passioni travolgenti, del gigantesco e focoso Aiace
Telamonio, ho imparato ad apprezzare la capacità
di agire e non reagire.
Laddove la nostra pratica marziale ci guida ad accettare
fino in fondo pulsioni ed istinto di morte, la ferocia che origina dal predare
per non essere predati, però anche a ri-conoscerla e ad agirla secondo un alveo
tanto efficace ed efficiente quanto guidato da ampia apertura sensomotoria, da una motricità dotata di sviluppo
ritmico, per niente affidata al guizzare dei muscoli superficiali e ad un
superficiale reagire di stampo macho-ginnico. La nostra, è raffinata e letale
arte taoista di caccia e morte che coglie il bersaglio, la preda, nei modi e
tempi che noi vogliamo, che noi scegliamo. E’ arte che né subisce né però
incolpa altri o altro di ciò che ci accade. E’ arte della responsabilità.
Poi, Odisseo, “polimete” (“colui che pensa molto”) si
contrappone a Polifemo (“colui che parla tanto”). Che trovo ridicoli tutti quei
bulli, da strada o da palestra ma anche da … politica, che cianciano e
minacciano “spacco questo e spacco quello” per poi restare mano in mano o
allearsi con l’identico bullo che prima li fronteggiava, alleanza tra
grotteschi capitan Fracassa, che si fanno forti di una paternità divina (Il
Maestro dagli occhi a mandorla, il Maestro cazzuto e muscoloso che lui sì mena
tutti, anche quando in ciabatte – non sto scherzando, dalla parte burina di
Roma è arrivata anche questa !! -).
Inoltre, Il gigantesco Polifemo è un essere primitivo,
dominato dagli istinti, dal sentire di “pancia”, dotato di un solo occhio a
simboleggiare proprio questo: il vedere tutto piatto, non oltre le apparenze.
Mentre Odisseo ha due occhi, ovvero ha una visione tridimensionale di ciò che lo
circonda, ha il senso della profondità.
Il che, in chiave allegorica, significa capire le cose in profondità, oltre la
superficie, ovvero superare l’apparenza per indagare ciò che vi è dietro.E bravo il nostro Odisseo che parla poco e agisce tanto e bene, liberandosi dalla prigionia e storpiando a vita il gigante sbruffone. Peccato, allontanandosi, quel rivelare a gran voce la sua identità che permetterà a Poseidone di sapere chi egli sia e tormentarlo per anni ed anni: va beh, nemmeno Odisseo è perfetto, poi, lui non pratica allo Z.N.K.R. !!
Altro elemento fondamentale per la mia “cotta” è
l’identificare Odisseo con una caratteristica importante, per come io intendo
il praticare le Arti Marziali, e necessaria perché il praticante sia davvero
tale.
Nel senso che ad un certo punto della sua vita, sente la
necessità di conoscersi, nelle sue capacità come nei suoi limiti, nella sua parte
più luminosa come nella sua ombra, in quel lato oscuro che le convenzioni
sociali e probabilmente lui stesso non accettano. Il praticare marziale, come
io lo intendo, come io lo propongo, è una sorta di terapia, di “simulata”, profondamente fisicoemotiva, una
formazione a saper stare nel confliggere, di più, a fare di ogni conflitto un
prezioso alleato per migliorarsi.Relazionarsi con il proprio malessere, le proprie ansie e paure, viaggiare dentro di sé, non solo forma un individuo migliore perché consapevole, ma vuol dire anche indurlo a comprendere in modo più adeguato il “viaggio dell’altro” quanto la paura di viaggiare, di lasciare la propria calda e rassicurante merda dell’altro.
Ad accettarne la passività e l’eterna sconfitta, che non tutti sono eroi !!
Ogni incontro e ogni scontro, nella finzione narrativa come
nel vivere reale di ognuno, è un viaggio verso la scoperta di una parte di sé.
Il viaggio di Odisseo è il viaggio della vita di ogni uomo. Le sfide che dovrà
affrontare sono gli scogli che si interpongono tra un uomo e il suo progetto di
vita. Come per tutti noi, non sono spesso gli ostacoli esterni a impedirci il
raggiungimento della nostra meta, quanto siamo
noi con le nostre paure, le nostre fragilità, il nostro proiettare su altri
o altro (i genitori, la moglie / il marito, il capo ufficio, il destino, la
sfiga ecc.).
Tutti questi incontri e scontri di Odisseo rimandano alle
dispute psicologiche, e non solo, a cui ogni individuo va incontro: Calipso, donando
l'immortalità, evita di assumersi le responsabilità della vita; la maga Circe è
la lussuria e l'abbraccio mortale di una presenza totalizzante; la terra dei
Lotofagi è il luogo dell’oblio e dell’alessitimia, la privazione di ogni
sentimento (ieri l’istupidimento da droga, oggi il mondo virtuale, il consumo
senza uso)
Ma è proprio affrontando, come fece Odisseo, le difficoltà
della propria conoscenza e trasformazione che si può arrivare, se non a completare
il proprio progetto di vita, almeno a sapere come e dove andare.
Odisseo, poi, proprio perché aperto al suo mondo
emozionale, non è immune ai disturbi dell’umore, ai pericoli dell’ansia, che
siano sconforto quando preso dalla pura di fallire, senso di colpa quando si
sente colpevole di aver lasciato la famiglia per una guerra insulsa, poi pianto
irrefrenabile, crisi nervose, ecc.
Insomma, è uno di noi, nelle fragilità e nelle insicurezze,
per niente bullo o macho man; ma è uno di noi proprio perché queste fragilità
ed insicurezze, che lui sa accettare, non gli impediscono di lottare e
viaggiare. Viaggiare che prima ancora che curiosità per ciò che sta fuori è
scoperta di e dell’altro per scoprire se
stessi.
Praticare
Arti Marziali allo Z.N.K.R.
è
questo viaggiare.
E tu, a che punto sei del tuo viaggio? O non hai ancora
iniziato il tuo viaggio?
(Anatole France)
Nessun commento:
Posta un commento