lunedì 16 gennaio 2017

Bishamonten. Gennaio 2017


“L'uomo può realizzare delle cose stupefacenti se queste hanno un senso per lui.”
(C.G. Jung)

 


foto 1
Giochiamo, di voce e di corpo, di sguardi e di corpo, di sfioramenti di mani e di tenerezze inusitate.
Esplorazione delle proprie strutture profonde, risveglio delle sorgenti ritmiche delle nostre pulsioni, esponendole (esponendosi) in modo evidente, mobilitandole e canalizzandole a mostrarsi ognuno per quello che si è.
E' tutto qui, e non è poco, il senso di un gioco che si inanella nell’altro. Gioco dove ognuno sta con se stesso, dove le parole che ti affiorano in gola restano disattese, inutili monili di bigiotteria per un incontro di pelle e cuore nudi.

foto 2
Volersi male è quasi solo una fatica, un disappunto, qui dove preferisci stare e danzare per te una versione differente alle apparenze ed ai ruoli con cui solitamente ti presenti, ti fai conoscere.

Sarà il gioco della trasgressione, sarà la ricerca del tuo volto interiore nella sublimazione, sarà che quella patina di narcisismo dolente mostra le prime crepe. Sarà quel tuo ordine interiore che si va sparigliando, e il giocatore di carte che hai davanti è più capace di te pur avendo il tuo stesso nome, sarà semplicemente il giocare che ti fa tornare bambino. Sarà tutto questo o forse altro che ti spinge a lasciare le voci della ragione per abbracciare i silenzi espliciti del corpo, a lasciare le soluzioni, quelle tentate e quelle da cui sei fuggito, per incontrare le passioni e scompigliare ogni schema corporeo.
foto 3
Così, qui, nel Dojo dove l’individuo percorre la Via guerriera, ti riconosci e affermi come colui che occupa una certa “forma” nello spazio e che esiste nel proprio corpo unificato.

Allora, dall’essere seduto per terra, la spirale si muove dentro e ti porta in piedi, sorta di scia lattiginosa, di cometa per una stella che attraversa il cielo. E poi al suolo ci torni, movimenti avvolgenti e sinuosi.
Corpo flessibile, flessuoso, corpo radicato alla terra, ai pregressi materni, ora pronto all’avventura esplorativa nello spazio attorno, ritmo di corpo che è il paterno a spingerti fuori, a spingerti all’autonomia.
foto 4
Torni alle origini, all’autenticità, quasi, all’animalità e semplicità dei gesti: rilassamento dinamico, forse è questo il miglior modo per leggere la parola cinese Sung,
I tuoi movimenti mutano, si trasformano, depurati dell’inutile, del superfluo, degli elementi parassitari, per arrivare a dare un senso, semplicità autentica, movimento spontaneo, a te che insieme li fai e ne sei.
Il tuo registro gestuale e la capacità di esprimere, attraverso il movimento, la tua realtà interiore, il tuo desiderio quanto il timore di entrare in relazione con l’altro, ora danzano forti e lievi per la sala.

foto 5
Un bastone, quello che nel gergo di noi marzialisti è il jo, a intensificare ulteriormente la pratica. Un bastone, attrezzo di antichissima memoria, probabilmente il primo, o uno dei primi, ad accompagnare l’uomo sulla terra, nel sostenerlo a camminare, nell’aiutarlo a frugare per terra o a scostare ingombri, nell’armarne le mani per difendersi o uccidere. Gestualità antropologica che rivitalizza pulsioni sopite, bandite dalle moderne convenzioni sociali, ma innate in ogni essere umano, in ogni essere umano fonte di autentica energia e vitalità, poderoso antidoto a quel “mal di vivere,” oggi più che mai diffuso senza limiti di età o ceto sociale, che tante vittime miete in termini di depressione quando non di suicidio vero e proprio.

foto 6
Il gioco, ogni gioco ben condotto e vissuto, consente di “giocare” eventi come la seduzione, l’aggressività, la fuga, portando in superficie emozioni represse, rimosse, sovente vissute con un senso di pudore quando non di colpa.
Il gioco allora consente una trasgressione accettabile, simbolica e, soprattutto, facilmente attuabile in quanto la totale libertà di agire, fino a farsi veramente male, è mediata, con la mia presenza di Sensei (“colui che è nato prima”), anche dalla stessa “sacralità” del luogo, il Dojo, e dalla storia, intelligente, umanamente ricca, della Scuola.
Autentico percorso di individuazione, di crescita individuale nel gruppo. Pratica di combattimento anche feroce e per questo sinceramente nuda nella vulnerabilità di ognuno.

Lungo tutto il pomeriggio, questo pomeriggio di Bishamonten, ognuno di noi è rimasto sospeso come foglia smarrita nel vento, ha poi trovato la sua strada guerriera e ne ha valutato lo spessore, intuendo la magia di una colomba che sparisce dalla mano per ricomparire nel cappello. Non so se siano i ricordi, preferisco immaginare mani e corpi e respiri che danzano poesie metropolitane. Poesie, almeno a volte, di vita autentica. Di autentico spirito guerriero.

 

“Il combattimento non è altro che un gioco preso sul serio”
(Bruce Lee)

 

Il prossimo appuntamento

Bishamonten

Sabato 13 Maggio

 
Foto 1 e 2
L’azione nel gioco ha una sua significatività comunicativa ed un suo specifico linguaggio: il corpo parla anche per mezzo del movimento e della comunicazione non verbale, il corpo comunica e metacomunica”. (G. Staccioli)

Foto 3 e 4
Keshi: occupare, ridurre lo spazio. Chowa: il vuoto dove si presenta il pieno. Ma soprattutto l’Arte dell’Attesa.

Foto 5 e 6
Quando il gioco si fa duro … i duri cominciano a giocare” (J. Belushi)

Foto 7
Il gruppo dei partecipanti
 




foto 7


2 commenti:

  1. La sera prima del Bishamonten ero a cena in un ristorante giapponese, non lontano dal Dojo. "Che fai qui a Milano?" mi chiede la proprietaria, dopo aver appurato che non ero della zona. "Sono qui per un raduno di arti marziali che si tiene in un Dojo qui vicino.".
    Dopo aver risposto alla sua domanda in merito a cosa pratico, lei "Ma sono discipline difficili, non è faticoso?". Ho risposto con un criptico "Beh, provo ad andare avanti, un femore alla volta.", ma effettivamente non ero preparato alla domanda.
    È faticoso? Sì, lo è.
    La domanda corretta, o forse la risposta giusta alla domanda era "Sì, è faticoso, ma ne vale la pena!".
    Questo è quel che penso durante e dopo ogni seminario, durante e dopo ogni allenamento.
    Ne vale la pena, di faticare, con tutti Voi.

    Grazie.
    OSS!
    Francesco

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  2. Nel marasma delle emozioni che hanno investito la sfera intima personale relativamente al seminario di "Bishamonten", ma che poi estendo ad ogni iniziativa della Nostra Scuola, mi soffermo su una considerazione ed un estemporanea.
    Molte volte, di fronte alla possibilità e occasione di esternare il "vissuto" del momento, mi trovo nell'impossibilità di espressione in quanto inibito da quanto un foglio, o più semplicemente delle parole, che sono preposte a tradurre ciò che si possa aver vissuto e che si vive all'interno del Sé, possano riuscire nell'intento
    Quello che emerge, e che mi viene da apostrofare nello specifico, è la sensazione di "pienezza".
    Una "pienezza" non spiegabile perchè avvolgente ogni cellula e in sfaccettature più svariate e che viaggia nel vortice delle proprie emozioni e sensazioni.

    OSS!!
    Valerio

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