lunedì 20 febbraio 2017

Il ritmo della spirale. Cap. 3 La via di mezzo


 
Abbiamo capito che il ricongiungersi con il punto di partenza: i primi movimenti incerti, poi il lasciarsi andare in acqua, poi il contattare la Terra, intesa sia come semplice suolo sia come Madre Terra, il femminile da cui ognuno di noi è sorto, infine lo strisciare, sono momenti indispensabili per capire di sé: il filo (filo – genesi) è tornare indietro, è, come si dice in psicoterapia, tensione tra entrare ed andare… se questo legame si sfilaccia, si rompe, il percorso già avviato, scompare agli occhi del cuore e del corpo, si fa indistinto quando non nemico, si fa terreno privo di riferimenti.

Fingere di essere forti, che è l’abitudine, l’imperativo dei giorni nostri, tra tatuaggi e muscoli gonfi esibiti come medaglie al valore, fingere di essere fragili, nascondendosi in sfacciati silenzi a coprire la mancanza di ardire, di coraggio anche di errare, ma pur sempre coraggio.
Comunque fingere, più o meno convinti che tutto scorra, mentre invece tutto accade, intorno e dentro te, tra inciampi e salti e rovinose cadute e fughe vigliacche e risalite incerte.

Eppure, solo se hai contattato la Terra / terra puoi avvolgere il filo della spirale che ti porterà in piedi, alla stazione eretta. E allora fingere ti sarà difficile. E fingere ti sarà manifesta espressione di superficialità quando non di codardia.
Qui, nei primi giochi di spirale, si sta nel mezzo che è pressione sul terreno sì, ma condotta nell’affondo, nello scomparire dei femori, si sta nei primi fluttuare e torcere della colonna vertebrale, nei primi movimenti compiuti del cingolo-scapolo-omerale.
Non dimentichi certo il mondo passato, te ne fai forza per estenderti, per alzarti in piedi.

Il “come fare”, che è sempre più del “cosa fare”, ci fa lasciare l’appiglio del ginocchio.
Questi è l’articolazione dell’umiltà e della duttilità interiore, serve per piegarsi, inginocchiarsi; è segno di obbedienza, quando non di resa; è centrale nelle espressioni “Sentirsi il latte alle ginocchia”, “Le ginocchia fanno giacomo giacomo”, “Mi sento in ginocchio”, che sono appunto, espressioni di resa, di manifesta difficoltà, di dichiarata sottomissione.
Non possiamo certo affidarci alle ginocchia per trovare la forza di alzarci né, tanto meno, su di loro possiamo scaricare il peso del corpo!! (1)

Questa forza la troviamo nei piedi. Sono i piedi, alla nascita, a testimoniare la fretta del bambino che li usa come puntello. I giochi della fase precedente, “Terra”, ci hanno mostrato che tutta l’evoluzione psicomotoria sta nei piedi, dal dorso – coda del muoversi in acqua allo strisciare sul terreno; ora scopriamo il reggersi dell’alluce in corrispondenza dell’aggrapparsi, poi l’avanpiede come sforzo che prende dalla terra l’energia del sollevamento, allo slancio, ora sì, del ginocchio per uscire dalle condizioni di resa ed affrontare lo spazio circostante.
La troviamo nell’affondare, nello scomparire dei femori nel bacino, là dove attingono l’energica spinta alla verticalizzazione, là dove le anche sono la “madre” degli arti inferiori tutti. L’affondare dei femori, il vuoto, crea il pieno, il moto ascendente che ci lancia nello spazio: “…l’osso sacro è la base d’appoggio su cui insiste, in equilibrio, lo stelo vertebrale ‘attivo’. Poiché il sacro è saldamente ancorato alle ossa iliache, l’uno e le altre si muovono consensualmente, come un tutt’unico; e come un tutt’unico queste ossa configurano anatomo – funzionalmente la pelvi o bacino” (R. Caillet ‘Il dolore lombo – sacrale’).
La trasmettiamo attraverso la colonna vertebrale. E’ da essa, nella parte prossima alla curva dell’utero, che originano le prime doglie espulsive. Come a dire, “Lascio la comoda tana del grembo materno e mi affermo come essere nel mondo, che io sono !!”.
Così, per staccarci da terra, la colonna vertebrale funge da frusta, da onda travolgente continuando ed intensificando le scariche di successione che percorrono il corpo tutto.

Si fa urgente saper rispondere alle prime domande: Quale parti di me corpo sto muovendo? Dove inizio il movimento? Come lo espando attraverso il corpo?
Ma occorre anche saper compiutamente rispondere, dato che lo spazio lo stiamo ora, nella “via di mezzo”, prendendo “di petto”, alle domande che ci chiedono Dove sto muovendo il mio corpo nello spazio? Quale è il raggio d’azione del mio spazio personale? Come muovo il mio spazio personale nell’ambiente?

Nello spazio, nell’ambiente stesso, le tre espressioni formali sono “irradiazione – esplosione, spirale – avvolgimento, meandro – ondulazione” (S. Guerra Lisi). In chiave pedagogica e andragogica, possiamo assimilare l’esplosione con il fattore stimolante (moto dall’interno all’esterno), la spirale – avvolgimento con la considerazione (sui propri bisogni che originano le motivazioni, sulle origini vere o presunte), i meandri ondulati con l’espressione creativa, che, attraverso una flessione verso l’inizio, sia  atta a nuove spinte creative.
Metaforicamente, molteplici fiabe e giochi popolari inducono il protagonista, in stato di impasse, a tornare sui suoi passi, così in numerosi miti religiosi dell’antichità.
Altrettanto avviene nel nostro percorso di movimento, percorso fisicoemotivo. Dalla Terra alla “via di mezzo” e ritorno, in un moto incessante, che si fa fluido e continuo. Che è movimento vitale. Che ci prepara all’avventura della stazione eretta ed all’esplorazione, da bipedi, dell’ambiente.

 
(1). Le ginocchia di migliaia di praticanti, non importa di che Arte Marziale o sport di contatto, ne sanno qualcosa, come lo sanno i loro sfortunati “proprietari”, costretti a mesi di stop quando non a fermarsi definitivamente o, quanto meno, a ridurre l’intensità dei loro allenamenti e ad abbassare la qualità delle loro prestazioni.
Le mie ginocchia ne sanno qualcosa, dai primi tormenti delle posizioni basse, bassissime, del Karate Shotokan tradizionale, alle sollecitazioni violente dei balzi nella pratica del Contact e dello Yoseikan Budo, fino alle torsioni rapide e dolorose indotte, nel Kenpo Taiki Ken, da spostamenti circolari mai strutturalmente spiegatimi. Un doveroso e sentito grazie al Maestro Aleksandar Trickovic che, anche in questo, mi ha aperto un mondo, ed ora MAI il peso a gravare sulle gambe e tanto meno sulle ginocchia. MAI.

 





 

 

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