Abbiamo capito che il ricongiungersi con il punto di
partenza: i primi movimenti incerti, poi il lasciarsi andare in acqua, poi il
contattare la Terra, intesa sia come semplice suolo sia come Madre Terra, il
femminile da cui ognuno di noi è sorto, infine lo strisciare, sono momenti
indispensabili per capire di sé: il filo (filo – genesi) è tornare indietro, è,
come si dice in psicoterapia, tensione tra entrare ed andare… se questo legame
si sfilaccia, si rompe, il percorso già avviato, scompare agli occhi del cuore
e del corpo, si fa indistinto quando non nemico, si fa terreno privo di
riferimenti.
Fingere di essere forti, che è l’abitudine, l’imperativo
dei giorni nostri, tra tatuaggi e muscoli gonfi esibiti come medaglie al
valore, fingere di essere fragili, nascondendosi in sfacciati silenzi a coprire
la mancanza di ardire, di coraggio anche di errare, ma pur sempre coraggio.
Comunque fingere, più o meno convinti che tutto scorra,
mentre invece tutto accade, intorno e dentro te, tra inciampi e salti e
rovinose cadute e fughe vigliacche e risalite incerte.
Eppure, solo se hai contattato la Terra / terra puoi
avvolgere il filo della spirale che ti porterà in piedi, alla stazione eretta.
E allora fingere ti sarà difficile. E fingere ti sarà manifesta espressione di
superficialità quando non di codardia.
Qui, nei primi giochi di spirale, si sta nel mezzo che è pressione sul terreno sì, ma condotta
nell’affondo, nello scomparire dei femori, si sta nei primi fluttuare e torcere
della colonna vertebrale, nei primi movimenti compiuti del
cingolo-scapolo-omerale.Non dimentichi certo il mondo passato, te ne fai forza per estenderti, per alzarti in piedi.
Il “come fare”, che è sempre più del “cosa fare”, ci fa
lasciare l’appiglio del ginocchio.
Questi è l’articolazione dell’umiltà e della duttilità
interiore, serve per piegarsi, inginocchiarsi; è segno di obbedienza, quando
non di resa; è centrale nelle espressioni “Sentirsi
il latte alle ginocchia”, “Le
ginocchia fanno giacomo giacomo”, “Mi
sento in ginocchio”, che sono appunto, espressioni di resa, di manifesta
difficoltà, di dichiarata sottomissione.Non possiamo certo affidarci alle ginocchia per trovare la forza di alzarci né, tanto meno, su di loro possiamo scaricare il peso del corpo!! (1)
Questa forza la troviamo nei piedi. Sono i piedi, alla
nascita, a testimoniare la fretta del bambino che li usa come puntello. I
giochi della fase precedente, “Terra”, ci hanno mostrato che tutta l’evoluzione
psicomotoria sta nei piedi, dal dorso – coda del muoversi in acqua allo
strisciare sul terreno; ora scopriamo il reggersi dell’alluce in corrispondenza
dell’aggrapparsi, poi l’avanpiede come sforzo che prende dalla terra l’energia
del sollevamento, allo slancio, ora sì, del ginocchio per uscire dalle
condizioni di resa ed affrontare lo spazio circostante.
La troviamo nell’affondare, nello scomparire dei femori nel
bacino, là dove attingono l’energica spinta alla verticalizzazione, là dove le
anche sono la “madre” degli arti inferiori tutti. L’affondare dei femori, il
vuoto, crea il pieno, il moto ascendente che ci lancia nello spazio: “…l’osso sacro è la base d’appoggio su cui
insiste, in equilibrio, lo stelo vertebrale ‘attivo’. Poiché il sacro è
saldamente ancorato alle ossa iliache, l’uno e le altre si muovono
consensualmente, come un tutt’unico; e come un tutt’unico queste ossa
configurano anatomo – funzionalmente la pelvi o bacino” (R. Caillet ‘Il
dolore lombo – sacrale’).La trasmettiamo attraverso la colonna vertebrale. E’ da essa, nella parte prossima alla curva dell’utero, che originano le prime doglie espulsive. Come a dire, “Lascio la comoda tana del grembo materno e mi affermo come essere nel mondo, che io sono !!”.
Così, per staccarci da terra, la colonna vertebrale funge da frusta, da onda travolgente continuando ed intensificando le scariche di successione che percorrono il corpo tutto.
Si fa urgente saper rispondere alle prime domande: Quale parti di me corpo sto muovendo? Dove
inizio il movimento? Come lo espando attraverso il corpo?
Ma occorre anche saper compiutamente rispondere, dato che
lo spazio lo stiamo ora, nella “via di mezzo”, prendendo “di petto”, alle
domande che ci chiedono Dove sto muovendo
il mio corpo nello spazio? Quale è il raggio d’azione del mio spazio personale?
Come muovo il mio spazio personale nell’ambiente?
Nello spazio, nell’ambiente stesso, le tre espressioni
formali sono “irradiazione – esplosione,
spirale – avvolgimento, meandro – ondulazione” (S. Guerra Lisi). In chiave
pedagogica e andragogica, possiamo assimilare l’esplosione con il fattore stimolante
(moto dall’interno all’esterno), la spirale – avvolgimento con la
considerazione (sui propri bisogni che originano le motivazioni, sulle origini
vere o presunte), i meandri ondulati con l’espressione creativa, che,
attraverso una flessione verso l’inizio, sia
atta a nuove spinte creative.
Metaforicamente, molteplici fiabe e giochi popolari
inducono il protagonista, in stato di impasse, a tornare sui suoi passi, così
in numerosi miti religiosi dell’antichità.Altrettanto avviene nel nostro percorso di movimento, percorso fisicoemotivo. Dalla Terra alla “via di mezzo” e ritorno, in un moto incessante, che si fa fluido e continuo. Che è movimento vitale. Che ci prepara all’avventura della stazione eretta ed all’esplorazione, da bipedi, dell’ambiente.
Le mie ginocchia ne sanno qualcosa, dai primi tormenti delle posizioni basse, bassissime, del Karate Shotokan tradizionale, alle sollecitazioni violente dei balzi nella pratica del Contact e dello Yoseikan Budo, fino alle torsioni rapide e dolorose indotte, nel Kenpo Taiki Ken, da spostamenti circolari mai strutturalmente spiegatimi. Un doveroso e sentito grazie al Maestro Aleksandar Trickovic che, anche in questo, mi ha aperto un mondo, ed ora MAI il peso a gravare sulle gambe e tanto meno sulle ginocchia. MAI.
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