Caduta nel vuoto, anzi, nel diniego più deciso, la mia
proposta, non mi resta che andare da solo alla Fondazione Prada: ci sono in
mostra opere di Leon Golub,
americano, nato nel 1922 e deceduto nel 2004.
Golub, segnato e coinvolto nelle manifestazioni contro la
guerra in Vietnam, poi dall’espansionismo militare in Cambogia e Laos, dipinge
immagini e scene di estrema violenza: interrogatori e torture espliciti, tra
dannate figure di mercenari e squadristi.
Opere di notevole dimensione, acrilico su lino, tratti
decomposti delle epidermidi dei soggetti, sfondi rosso intenso, mani deformi e
volti sogghignanti o disperati.Un vero “pugno nello stomaco” anche per chi la TV, fiction o documentary, ha abituato al peggio della brutalità umana.
Sorta di “Art Brut” fattasi esplicita, mi induce a riflettere su come, sovente, siamo portati a vedere la violenza scartando da subito l’ipotesi di essere noi le vittime. Noi quelli denudati, irrisi, violati, torturati, impotenti davanti alla prevaricazione di altri.
Golub guarda, dipinge e denuncia: pittore di vicende pubbliche, di cruenti avvenimenti sociali, proposti all’emozione nuda dell’osservatore.
Non posso esimermi dal riandare ai caldi e forti anni del
’68; a quel mio sogno, masticato e condiviso con tanti altri giovani, di
rivoluzionare, di mondare quel vecchio, stantio, ingessato ed ingiusto mondo.
Illusi !! E guarda ora come siamo caduti in basso e ….
davvero, pare non esserci limite al peggio.
Sulla via del ritorno, la “Fondazione” è a dieci minuti a
piedi da casa, scorro la vista su una serie di locali tutti lustri e patinati:
è il pranzo dei rampanti “colletti
bianchi” milanesi.
Poi, il modesto ingresso della “Osteria Tajoli”.
Vecchio locale della Milano anni ’60, una delle mie
abituali mete, in “dolce compagnia”, quando avevo vent’anni. Sempre unico
giovane tra tutti adulti ed anziani dai capelli bianchi, sempre orgoglioso
dello stupore sul volto delle fanciulle con cui mi accompagnavo nell’annusare
un ambiente così autenticamente milanese e nell’essere trasportate tra le
melodie di Claudio Villa, Arturo testa, Luciano Tajoli, rigorosamente suonate a
cantate dal vivo dal gestore.Molto è cambiato, ovviamente, allora non c’era la TV ed è scomparsa la stufa, il locale è stato ampliato e rinnovato: e ci credo, sono passati più di quarant’anni!!
Tutto tranne il gestore, che trovo alla cassa e con cui scambio due parole sul tempo che fu.
Un bel pugno di ore, tra arte e cucina semplice. Proprio
ciò che piace a me.
Nessun commento:
Posta un commento