mercoledì 4 luglio 2018

Il grano e la zizzania



 


 

“Non sarai mai pronto prima:

lo diventerai dopo averlo fatto”

 

Ma questa è la quintessenza, la caratteristica essenziale, la sostanza intima e concentrata, di una sana pratica marziale!!

Ci stanno dentro l’agire né prima né dopo ma al momento, quando serve, ovvero il gestaltico “qui ed ora”; poi la supremazia della pratica da cui discende la teoria che a sua volta si farà pratica rinnovata e migliorata; ci sta il coraggio di osare, di buttarsi cuore oltre l’ostacolo.

Ci sta, insomma, il nostro autentico ed unico modo di intendere e praticare Arti Marziali in Dojo, così come l’invito a farne pratica di scelte e relazioni anche nella vita quotidiana.

Come avrei potuto non innamorarmi di un testo che contiene perle siffatte?

L’autore già lo conoscevo grazie ad altri interessanti libri.

Si tratta di Matteo Rampin, uomo poliedrico: ufficiale dell’esercito, psichiatra, psicoterapeuta, didatta, formatore, consulente di atleti, allenatori, artisti e manager, studioso di stratagemmi militari e di fraudologia, esperto di ipnosi medica.

Il filo conduttore del libro

“Il grano e la zizzania”

è la comunicazione e in particolare il modo in cui essa influenzi comportamenti e percezioni.

Come ormai è sapere consolidato, Il linguaggio è un'arma non solo in grado di descrive la realtà, ma anche di modificarla: forse le parole non sono realtà "concrete", certamente lo sono i loro effetti.

A volte, spiega Rampin, il modo di parlare si traduce in disfunzioni, malesseri, che possono sì originare da condizioni reali, ma che, per chi parla, sono la prova e giustificano il lasciarsi andare alla disfatta, la mancanza di qualsivoglia tentativo di cambiare.

L’uso della ristrutturazione, un modo di intervenire tipico della psicoterapia e delle relazioni d’aiuto, che consiste nell’indurre il cliente a leggere la stessa realtà con nuovi occhi, viene nel libro svolto in modo facilmente leggibile senza perdere nulla della sua efficacia, aprendo la porta del  cambiamento, accettando che difficoltà , crisi e conflitti, siano il cuore di ogni esistere.

Perché grano e zizzania, Yin e Yang, siano due facce della stessa medaglia.

Partendo dalle mie competenze, mi sono divertito a sfidarmi  anticipando, di ogni frase dell’ipotetico cliente che cristallizzava una lettura del suo problema, la ristrutturazione proposta da Rampin.

Ed è un sfida, un modo di leggere questo stimolante libro, che propongo a tutti quelli che, letta questa mia recensione, lo acquisteranno.

Tornano, certamente, i rimandi alle Arti Marziali, quelle autentiche come noi le proponiamo, non certo le pratiche scazzottatorie di tamarri o impiegati repressi, o  le “seghe mentali” dei vari intellettuali.

Così, a chi fallisce  e si dice «Sono stato sconfitto», l’autore spiega in poche righe, come si possa arrivare a comprendere che “La sconfitta non è cadere: è rimanere a terra”.

A chi fugge in presenza di situazioni critiche e conflittuali, ecco proporre che “Fuggire una cosa è sceglierne un’altra, spesso peggiore”.

A chi sia portato  a gesti e parole violente per imporsi, e guai a dirglielo che si andrebbe al muro contro muro, Rampin propone che chi aggredisce lo fa perché perde il controllo, ma “L’espressione massima della forza è l’autocontrollo”.

Nel leggere le ristrutturazioni proposte dall’autore, molte mi hanno colpito per la loro semplice efficacia, rimandandomi a persone e situazioni più volte incontrate.

Rampin, scrive “Un modo infallibile per procurarsi sofferenza è guardare ‘quelli che  stanno meglio’, e poi, volendo essere perfezionisti, chiedersi: ‘Perché stanno meglio di me?”.  L’autore propone “Perché gli altri stanno meglio di te? Forse perché non guardano gli altri”. Infatti “Non è perché stiamo male che guardiamo gli altri, ma è perché guardiamo gli altri che stiamo male”.

Fino ad arrivare a contemplare una risposta alla domanda: “Perché vivo?”. Domanda che, in forma leggermente diversa, proponeva Enrico Galiano  alla presentazione pubblica del suo ultimo romanzo, presso la libreria  “La scatola lilla”.

Rampin spinge a riflettere che “Forse si vive per trovare risposta alla domanda ‘perché si vive?’”. Io, sul foglietto consegnatomi, avrei risposto “Se lo sapessi, sarei un morto vivente”. Ma ho lasciato il foglio in bianco: probabilmente, sarebbe stata una risposta troppo impegnativa per la leggerezza dell’incontro!!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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