Insegnare,
imparare, ma come?
Non mi interessa una tecnica
insegnare né il mio sapere dentro chi non sa (1) depositare.
Preferisco di gran lunga suscitare la curiosità
accompagnando il praticante a scoprire i modi migliori per percepire e
contattarsi corpo, per imparare. Preferisco instaurare un modo di praticare e
studiare che aiuti il praticante a prendersi cura di sé per non doversi
curare.
So che la conoscenza risulta dal porre domande, nel
nostro caso domande somatiche, domande di corpo e movimento, sorta di koan zen
fisicoemotivi. E questo è il punto: una volta che ho aiutato il praticante a
comprendere come porsi domande – domande appropriate, sostanziali – questi ha
imparato ad imparare e nessuno potrà impedirgli di apprendere tutto ciò che vorrà!!
Per questo misuro il mio successo, la mia capacità di Sensei
(“colui che è nato prima”), di facilitatore, sulla base dei cambiamenti
intervenuti nella postura, nel modo di muoversi ed agire, nel comportamento
tutto dei praticanti che condividono con me questo percorso standomi appresso.
(2)
Dunque
“L’atteggiamento dell’insegnante che adotta
il metodo dell’inchiesta, si riflette sul suo comportamento. Quando lo vedete
in azione, osservate che:
E’ raro che l’insegnante dica agli studenti
che cosa pensa che essi debbano sapere. (…)
Egli si rivolge agli studenti soprattutto
mediante domande. (…)
In generale, non accetta una sola
affermazione come risposta a una domanda.
Le sue lezioni prendono forma sulla base
delle risposte degli studenti e non di una struttura “logica” preordinata.”
(N. Postman)
Cosa
studieremo Domenica 7 Giugno?
Un più approfondito contatto
con il suolo (la Terra, il femminile) da cui innestare l’agire, il muoversi
nello spazio, in modo ancora più fluido.
Perché è dal vuoto che nasce il pieno, dal femminile che
origina il maschile.
Perché tutti noi necessitiamo di un buon sostegno per
percepire il nostro peso, sentirsi stabili ed avere fiducia nel distacco verso
lo spazio intorno a noi.
Perché il distacco fisico, motorio, non sia affidato allo
strappo superficiale di pochi muscoli ma coinvolga il corpo tutto, a partire
dalla percezione della propria tridimensionalità, proseguendo con la
consapevolezza dello scheletro come struttura di sostegno, del sistema
legamentoso come limite entro cui può agirsi il movimento, del sistema fasciale
come elastico contenitore, del sistema nervoso che sottende i processi
cognitivi e la precisione dei movimenti, infine, del sistema muscolare tutto.
E questa è la premessa fondante la capacità tanto di
esplorare e accogliere quanto ripiegarsi e rifiutare in ogni nostra relazione
umana che ci vede sempre errare come un navigante.
L’utilizzo
dei Fushime Taiso per esplorare quei disegni, quei riflessi di flessione
ed estensione, ritirarsi ed avvicinarsi, fuggire e lottare ecc. che sono gli
schemi motori automatici alla base dei nostri movimenti volontari, somatici.
Questi riflessi, formatisi nei primi mesi di vita,
costruiscono tracciati grazie ai quali la mente trova espressione nel
movimento. Se il loro sviluppo fu carente, gli schemi successivi e complessi
risulteranno deboli o incompleti, con un tracciato astinente.
Ripercorrere consapevolmente questo percorso aiuta a
colmarne le lacune e a lanciarci in una motricità rinnovata davvero completa,
in grado di farci agire consapevolmente.
Dunque
“Io
sto condividendo la mia percezione, non la verità. La verità è nella tua
esperienza”
(B. Bainbridge Cohen)
Chi volesse partecipare, mi contatti
Replicheremo, approfondendo l’argomento ed
aggiungendone altri, nel tardo pomeriggio di Giovedì 11 e 18 Giugno, ai
giardini Indro Montanelli (p.ta Venezia)
1. L’allievo non è carta bianca su cui il docente va a
scrivere; non può esserlo in quanto ha già in sé una personale storia somatica,
di emozioni legate al dialogo tonico, al gioco espressivo sotteso
all’alternanza di contrazioni e decontrazioni muscolari.
Di più, ogni individuo ha già in sé le risorse interiori
per affacciarsi ad una consapevole efficienza fisica, requisito necessario per
migliorare ogni prestazione. Sto scrivendo di una gestualità che scaturisce dall’interno verso l’esterno e non
viceversa.
Si tratta solo di recuperare quelle sue risorse,
ricostruire i tracciati dei riflessi primitivi non maturati, sostenere
l’allievo nel suo personale percorso di scoperta corporea, fisicoemotiva, non
certo imporgli dei modelli da copiare o un manuale di tecniche come se dovesse
montare un mobile Ikea!!
2. “Il nostro corpo è abitato: sangue, ossa, organi,
muscoli segnalano una vita interna che non si esaurisce nella sua fisiologia,
ma che produce intrecci, sovrapposizioni e risonanze nella nostra esperienza
emozionale, affettiva, psichica” (I. Gamelli)
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