domenica 11 ottobre 2020

Il corpo in vetrina. Tu in vetrina

 


Siamo sempre più bombardati da messaggi pubblicitari e indottrinamenti scientifici o presunti tali che ci propongono / impongono stili di vita “salutisti”: attività in palestra e mangiare sano (leggi: biologico).

Come mai, allora, le malattie non trasmissibili, diabete e infarto, non sono scemate?

“In Italia 240.000 vittime all’anno per le malattie di cuore” (La Repubblica)

“Malattie cardiovascolari, la prima causa di morte in Italia” (www.degasperi.it)

 

Avanzo l’ipotesi che alla base ci sia la struttura della nostra società capitalista, questo “impero del denaro” dove la società del mercato ha scalzato persino l’economia di mercato, “quella per cui le basse pulsioni sono promosse perché incentivano la domanda e gli acquisti anche futili e quella in cui gli umani ridotti a isole consumiste sono insensibili a tutto, fuorché alla propria utilità egocentrica” (L. Tedoldi)

 

In essa domina la ricerca del profitto ad ogni costo che significa depredare e avvelenare la Natura asservendola al nostro dominio, dunque, per esempio, inquinamento atmosferico e dissesto idro-geologico.

Significa anche che l’individuo – corpo (Leib, corpo vissuto, abitato) è assoggettato agli stessi dettami e, di conseguenza, agli stessi disastri.

Secondo il sociologo Codeluppi, siamo in pieno “biocapitalismo”, ovvero lo sfruttamento integrale di corpi – cervelli, dove l’individuo – corpo, oggetto di vetrinizzazione (1) e consumo, subisce le stesse leggi di mercato dei prodotti commerciali.

Uno sfruttamento rapace che ormai va oltre il lavoro salariato per fagocitare l’essere umano – corpo come terreno per tecnologie avanzate (Human Augmentation, di cui ho brevemente scritto in un altro post) e merce di lusso (dalla frenetica estetizzazione di un corpo che DEVE apparire snello e muscoloso alla chirurgia estetica senza limiti), dove reificazione sessuale e realizzazione sociale si identificano.

Uno sfruttamento subdolo che spinge Codeluppi a scrivere” Gli oggetti preziosi ci illudono di riconquistare le certezze perdute e quindi allontanano la fine” (in “La Repubblica” 30.08.2014)

 

Per tornare a ciò che più mi coinvolge, ritengo che l’uomo – corpo, essere fisicoemotivo, Leib, viene così depauperato e ridotto a oggetto, Korper, oggetto da impreziosire; dunque costretto e destinato alla stessa discesa agli inferi delle cose, della merce, in cui ambisce ad essere riconosciuto dal gruppo quanto ad essere però speciale, ancor più “prezioso” nelle apparenze dentro al gruppo stesso.

Complice identità sempre più fragili e sconnesse, conta apparire (appunto, il corpo snello e muscoloso, “prezioso”) che essere: nel gruppo dei sodi e snelli ma ancor più sodo e snello!!

 

Quanti uomini (maschi?) alla ricerca di un corpo levigato e sempre più efebico! Gli stessi che affollano le palestre per poter poi mostrare addominali a “tartaruga” e braccia scolpite, non importa se il coraggio maschio e l’autodeterminazione (2) non sanno dov’è! Quanti runner di mezza età a sbuffare e ciondolare su e giù per i parchi, abbigliamento, pardon: outfit, alla moda e corsa sgraziata e disgraziata!

 

E le donne, femministe incluse, che, come scritto da me in diversi post, 

non sono corpo ma hanno un corpo 

spezzettato in diverse parti e ridotto a strumento a disposizione di altri, così che interiorizzano lo sguardo dell’osservatore e “trattano se stesse come oggetti da valutare in base all’aspetto fisico” (M.A. Polesana in “La Chiave di Sophia” Giugno – Settembre 2020).

Triste via a cui non sfuggono, con le adolescenti in cerca di identità e dunque particolarmente esposte alle lusinghe della pubblicità e del consumismo, le donne adulte, (adulte almeno anagraficamente!!) che, a cinquant’anni, sentendo sfuggire la giovanile bellezza, ricorrono a diete asfissianti, turn over di ginnastica massacrante (3), volte alla disperata e goffa ricerca di uno sguardo, di una proposta indecente, da parte dell’ “osservatore” del momento, becero uomo dominante, quando non sono loro stesse  ad andare a caccia di apprezzamenti e incontri di sesso finalizzati a vedere confermato che ancora sono una bella merce in esposizione e a disposizione.

 

Ecco la cultura diffusa del “corpo – veste” (MT Russo e E Casagrande in “La Chiave di Sophia”), in cui il vestito cessa di essere il prolungamento del corpo verificandosi l’esatto contrario.

L’individuo non è più (se mai lo è coscientemente stato) un corpo autentico, reale, quanto corpo immaginario e modellabile a piacere, illudendosi che questo non intacchi la sua stessa personalità, le sue stesse modalità di interazione. Una corporeità finta, artificiale, priva di vitalità ed erotismo: morta, come l’individuo stesso.

 

 

1. Esposizione, mostra pubblica, spettacolarizzazione di qualcosa (in www.treccani.it). “nel processo di vetrinizzazione il corpo umano perde l'identità personale che lo caratterizza, per costruire un'identità sociale basata sui valori che le merci sono in grado di comunicare, grazie al fatto che queste possiedono delle identità ben definite, le quali derivano da strategie aziendali e pertanto sono facilmente consumabili.

Quindi anche il corpo si annulla nel consumo estetico ed edonistico, effimero ed immediato. Esso (omissis) insegue disperatamente le mode e i costumi tipici della cultura occidentale per raggiungere l'ideale di perfezione estetica: il corpo si fa packaging. Come le merci dispongono di un rivestimento seducente, così il corpo diventa autoreferenziale, cioè oggetto di se stesso con risultati talvolta nocivi”. (C. Morrone in www.brandoforum.it)

 

 

2. “L'autorealizzazione è l'inizio dell'Adulto”. (omissis) “La salute può essere definita un Adulto emancipato che esercita costantemente il proprio controllo su ogni transazione”. (T.A. Harris “Io sono ok tu sei ok”)

 

3. https://www.corriere.it/salute/cards/ossessionate-palestra-50-anni-quando-l-allenamento-non-piu-passione/storia-bobby-clay_principale.shtml, dove possiamo leggere di cinquantenni deviate dall’ossessione di apparire sode e snelle, in competizione con altre donne, deviate pure nel rapporto col cibo: “Ci sono donne che si sottopongono ad allenamenti molto intensi e poi fingono di saziarsi con un solo yogurt, raschiando il fondo con il cucchiaino. Ma con l’alimentazione restrittiva non scatta più neppure il meccanismo di ricompensa dovuta al rilascio di serotonina dopo l’assunzione di carboidrati, che indurrebbe un maggior senso di sazietà e appagamento emotivo. Allenarsi diventa un obbligo, non c’è più divertimento. Tra l’altro quando manca una scorta sufficiente di carboidrati l’organismo prova a porvi riparo anche utilizzando i muscoli, convertendo parte degli aminoacidi che li compongono proprio in prodotti glucidici”. (PL. De Pascalis)

 

 






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