Lupo, mio figlio, mi comunica per tempo che non ci sarà a pranzo. Colgo l’occasione per anticipare la seduta a tavola e dirigermi al Castello Sforzesco.
La
sala Bertarelli-Archivio Fotografico ospita una mostra di Paolo Monti,
fotografo
italiano tra i più acclamati nel secolo scorso.
Inventato da Pierre Cordier negli anni ’50, Monti ne è
stato l’esploratore più conosciuto.
Le opere esposte sono davvero
interessanti anche se, come tutta l’arte astratta, possono lasciare più di un interrogativo.
Passiamo oltre il confine stretto che vuole una fotografia tale solo quando
realizzata con la macchina fotografica (1), so che spesso, davanti ad una
immagine astratta, viene da esclamare: ma, quell’opera, avrei potuto farla
anche io!!
Non mi addentro, anche se Francesco Bonami ha scritto al riguardo
un bel libro “Lo potevo fare anch'io. Perché l'arte contemporanea è davvero
arte” che (forse) contribuisce a depotenziare quell’affermazione.
Qui preferisco interrogarmi sul dialogo forma e non –
forma, o meglio trans-forma.
Penso al carapace, alla
fissità, imposta in ogni forma delle Arti Marziali e come questa rigidità
formale sia invero costantemente smentita dall’interpretazione di ogni
praticante; non solo, sia costantemente smentita dal concetto di “pulsazione”,
che crea e nutre movenze e fraseggi ritmici a loro volta portatori di modifiche
nello stato fisicoemotivo del praticante.
Penso che, a monte di questa rigidità formale, ci sta una
rigidità didattica, un limite nella cultura e nel pensiero del Maestro o
docente.
Penso che tutto questo sia il frutto di una società essa
stessa rigida nelle fondamenta, dove il fluido viene concesso solo per divenire
liquido, persino liquefatto, purché non intacchi la rigidità delle fondamenta.
Come non vederci la dialettica marxiana di struttura e sovrastruttura? Come non
vederci l’attenzione spasmodica ai diritti individuali purchè non si tocchi il
cuore della produzione, dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo?
Per questo amo come propongo e pratico le Arti Marziali,
per individui che si scoprano coraggiosi, autodeterminati, vitali ed erotici e
per ciò stesso ribelli. Per questo amo il Tanshu del Taiki Ken,
che non è una forma codificata né una sorta di shadow boxing, ma una libera
danza di un predatore alle prese con il senso originario del suo vivere, tra
azioni base come acquattarsi, osservare, annusare, slanciarsi, afferrare,
rotolare, aprire, chiudere, colpire, spingere ecc. Per questo amo la nostra
forma di Tai Chi Chuan in cui ogni praticante scopre e modifica il
proprio spazio vissuto e la propria chinesfera. Per questo vivo il gruppo come
luogo privilegiato dove il ritmo individuale si incontra e scontra con l’animo
gruppale e perciò con una amplificazione emotonica di una forza straripante.
Per questo, io che, per restare tra i pittori
contemporanei, amo Botero e Machado, però amo profondamente anche tutta l’art
brut e … mi sono goduto le opere astratte di Paolo Monti.
1. Gli anni giovanili, grazie al mio lavoro di allora, mi
posero in contatto con fotografi “realisti” come Pino Bruni e Walter
Battistessa, ma anche con l’ispirazione creativa di Ando Gilardi e le sue
sperimentazioni al di fuori del comune senso di “fotografia”. Ciò mi consentì
un’apertura mentale preziosa per confrontarmi e apprezzare anche ciò che non
era immediatamente figurativo. Un’apertura mentale che si estese a tutti i
campi dell’arte, forgiandosi con il teatro sperimentale di Out Off, di cui
seguii la nascita con il critico d’arte Giorgio Seveso, e con la frequentazione
di Bruno Munari, autentico genio dell’espressione visiva. Apertura mentale che,
come sa chi pratica con me, è fondante la mia visione e la mia proposta del
“come” intendere e praticare Arti Marziali, ponendomi, con ciò, in modo del
tutto antagonista, persino alternativo, a come è invece proposta e praticata
dai vari Maestri e docenti, nei vari Dojo e Scuole che operano qui in Italia.
Milano, Castello Sforzesco
Paolo Monti – fotografia e astrazione
21.10.2022 – 08.01.2023
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