In un locale della vecchia Milano, incontro Claudio, amico di lunga data come di lunga data lo è come allievo (da quarant’anni circa), a sua volta Maestro di Arti Marziali; quella vecchia Milano che ancora odora di classe operaia, di solidarietà di classe. E’ solo un “odore”, un ricordo vieppiù balbettante, ma mi fa tanto bene in questi tempi di fighetti e radical chic, stupidità e vanità assurti a valori; in una città che nulla ha mostrato del passaggio dalla Moratti del “centrodestra” a Pisapia e poi Sala, il sindaco “dai calzini arcobaleno” che vince le elezioni come rappresentante del “centrosinistra”, lui già uomo di fiducia della Moratti medesima!!
Sul tavolo, un libro in regalo
per me
Il professore sul ring
di
Jonathan Gottshall
Lodevole l’intenzione dell’autore: Se
scrivo un saggio sulla violenza, il cui sottotitolo è “Perché gli uomini
combattono e a noi piace guardarli”, voglio sapere di cosa sto scrivendo,
lo voglio sapere non solo in teoria, ma sperimentandolo in pratica, su di me
corpo. Complimenti per l’onestà intellettuale e il coraggio umano.
Interessante il corposo volume, oltre trecento pagine,
denso di riferimenti alle ricerche scientifiche e sociali di altri autori
mescolate con le riflessioni di Gottshall; sempre coinvolgenti le sue peripezie
tra pugni presi e pugni dati, paure improvvise e slanci di inaudito coraggio.
Un bel libro, da leggere
senz’altro.
Scritto
questo, passiamo ad alcuni dei passaggi su cui avanzo i miei dubbi.
Concordato che è in uso
nell’ambiente marziale parlare di “combattimento” per ogni scontro, sia in
allenamento che in gara, all’autore forse sfugge che di convenzione si tratta.
Sì perché il combattimento è ben altro. Di combattimento in ambito civile,
ovvero escludendo i militari, dunque di momento in cui rischi la faccia e forse
la pelle, sanno qualcosa alcune precise categorie: delinquenti, estremisti
politici, ultras del tifo sportivo. Sono loro a combattere senza sapere chi
avranno davanti, quanti avranno davanti; a dover affrontare avversari che li attaccano
anche di sorpresa, magari alle spalle; a non sapere preventivamente se dovranno
affrontare mani nude o bastoni, coltelli, spranghe, tirapugni, pietre ecc. a
non avere un arbitro a tutelare la loro incolumità fermando il combattimento
quando hanno la peggio. (1)
Apprezzabile il coraggio di chiunque si alleni per darsele di santa ragione, a maggior ragione in contesti sportivi di contatto pieno e regole poche, ma l’esaltazione di Gottshall per la sua scelta e quella per gli incontri di MMA visti come uniche e autentiche prove di ardimento e virilità, cozza con la realtà di quanto ho scritto sopra.
Probabilmente, in questo ha un ruolo l’essere Gottshall una brava ed onesta persona, sovente, come
lui stesso scrive, bullizzato da adolescente, che si è sempre tenuto lontano
dalla violenza fisica di strada e dalla criminalità, piccola o grande che sia.
Altrimenti un distinguo tra “combattimento sportivo” e “combattimento reale” lo
avrebbe fatto. Certamente, con questo mio, non voglio indirizzarlo a scrivere
un secondo volume dopo aver passato qualche anno a sfasciare auto, scontrarsi
con la polizia, lanciare molotov, picchiare a sangue degli sconosciuti,
rischiare l’osso del collo in risse di gruppo offendendo e rischiando offese di
coltello o chiave inglese. Però potrebbe intervistare hooligans o black block e
un’idea se la farebbe, dato che scrive “i nostri scontri sono normati con
regole chiare su ciò che è permesso e ciò che non lo è”, mentre in strada
davvero “no rules”, non ci sono regole!! Insomma, come lui stesso scrive, i
primi anni di MMA /UCF erano un massacro, un autentico rischio di perdere la
vita, ma poi il business ha avuto il sopravvento e le regole sono diventate
tante, pur in un contesto che resta di botte a più non posso, un contesto
dunque, sportivo. (2) Lo stesso Gottshall scrive: “Bulli e criminali
non vanno in cerca di mettere alla prova se stessi in scontri corretti, alla
pari”
Condivido la sua critica alle Arti
Marziali Tradizionali, ormai lontane da un’apprezzabile aderenza allo scontro
di strada (e pure noiose!!), anche se, in questa critica, si lascia prendere la
mano dimostrando una generalizzazione che, per esperienza, so contraddetta da interpreti
pochi e Scuole poche che, però, ci sono, eccome!!
La sua formazione USA, poi, gli
fa temo perdere la consapevolezza che, piaccia o meno, la società sta
cambiando: uomini vieppiù femminilizzati e donne vieppiù androgine, il
che porterà, nel giro di un paio di generazioni, a leggere in modo totalmente
diverso i comportamenti maschili e femminili in ogni ambito del vivere, sport
“violenti” compresi.
Condivido appieno le sue
annotazioni sui maschi che cercano sicurezza nell’aumento della massa
muscolare, che dell’ipertrofia muscolare fanno un deterrente per eventuali
maschi antagonisti (3). Pure condivisibili le sue parole: “I ragazzi
che si avvicinano alle arti marziali sono quelli che temono di essere deboli”
così come dei suoi compagni di allenamento MMA scrive di giovanotti tranquilli
alla ricerca di sicurezza, aggiungendo: “Tutti noi ci andiamo per cercare di
acquisire l’abitudine al coraggio”; sincera quanto rivelatrice è la frase: “la
ragione che mi ero dato per fare un combattimento era quella di cercare di
fare qualcosa di coraggioso, di
redimermi, almeno ai mie occhi, per tutte le volte che da giovane mi ero tirato indietro”.
Dunque, un libro da leggere,
perché, in me, un libro se suscita dubbi, se mina certezze, se avanza teorie
non ancora prese in considerazione, è un bel libro, un gran bel libro.
D’altronde è quanto io faccio e provo nella mia esperienza marziale,
intessuta di dubbi e scoperte, errori e ripensamenti, perché solo così io
cresco, anzi, mi permetto di scrivere: Solo così chiunque cresce. Invece,
chi coltiva e vanta certezze si tiene ben lontano dal crescere, dal migliorare,
si tiene ben lontano dal conflitto in primis con se stesso abitando, invece, la
paura di guardare in faccia quella parte di sé che probabilmente non ritiene
all’altezza, di cui, forse, si vergogna.
Chiudo riportando alcune sue
considerazioni che indubbiamente aprono un … “portone” di successive
riflessioni che ognuno di noi, anche chi non pratica, potrà fare dentro
ogni ambito del proprio vivere quotidiano e delle relazioni che intesse:
“Le
arti marziali miste rendono la mia vita più ricca di asperità. Consentono a un
professore un po' smorto come me di vivere con impeto, anche se solo per
qualche ora alla settimana”. (omissis) Le MMA fanno davvero male (omissis)
anche a me hanno lasciato delle lesioni permanenti al corpo, e forse anche al
cervello. Ma le MMA fanno davvero anche molto bene. Hanno migliorato l’immagine
che ho di me stesso, mi hanno reso più forte, più in forma e più sicuro di me.
(omissis). Il mio fisico ha dei problemi. Facendo a pugni continuo a slogarmi
il polso e il pollice sinistri. Ho iniziato a frequentare la palestra con degli
alluci perfettamente sani e ora entrambi hanno l’artrite. Ho lottato contro la
tendinite d’Achille per circa un anno, e per sei mesi contro uno strappo a un
legamento dell’inguine. E la lesione al collo che mi sono procurato mentre
lottavo con Clark non è mai completamente guarita, cosa che mi limita nella
lotta a terra. Il mio corpo mi sta parlando forte e chiaro, mi sta dicendo che
ho già sfidato la sorte ben oltre il limite. Mi sta dicendo che sono troppo
vecchio per questo e che devo smetterla, che mi piaccia o meno. Ma io non lo voglio
stare a sentire. Non ancora. Non sono pronto a lasciarmi scivolare giù dalle
asperità della vita, a scendere nella monotonia delle pianure. E adesso, nel
mio piccolo, capisco perché molti fighter vanno avanti ben oltre il punto in
cui dovrebbero mollare: è perché il combattimento è una droga, e smettere di
drogarsi è difficile., anche se sai che dovresti. Perché, come dice Mike Tyson
con la sua brusca franchezza < Fuori dal ring tutto è così noioso >”
1. Chi volesse farsene un’idea può leggere l’agile “La banda
Bellini” di Marco Philopat, ottimo per capire il clima violento e utopistico
del ’68 e dei ragazzi che lo animarono, oppure guardare “Furioza” di Cyprian T.
Olencki, intenso spaccato sul mondo degli ultras.
2. In un contesto di combattimento “vita o morte”, tra un predatore
umano di 70 kg e un impiegato amministrativo o uno studente universitario o… un
professore di inglese anche se di 90 o 100kg che, tre volte la settimana, si
allena nelle MMA, su chi punterebbe Gottshall? Io, su chi puntare, non ho
dubbi. Potrei, forse, avere qualche
dubbio se il predatore umano affrontasse un professionista MMA di 100 kg,
ovvero uno che campa a suon di botte (A meno che “predatore umano” e
praticante MMA, per qualsivoglia motivo, non convivano nella stessa persona!!).
D’altronde, lo stesso Gottshall, riferendosi agli scontri in palestra, come già
citato, scrive: “i nostri scontri sono normati con regole chiare su ciò che
è permesso e ciò che non lo è. Ma anche perché le nostre gerarchie di dominanza
mantengono le cose su un piano civile” e, negli incontri di torneo, ci
pensa l’arbitro a mantenere lo scontro entro limiti stabiliti. Nella vita reale
non è così.
3. Da giovane, presto notai come, fermi al semaforo, a far
rombare il motore in chiassose accelerate fossero quelli al volante della FIAT
Cinquecento “truccata”, mentre chi viaggiava in Porsche non aveva bisogno di
attirarla l’attenzione né di mostrarsi rumorosamente: C’entra qualcosa con
l’ostentazione di muscoli ipertrofici e la ricerca di una massa muscolare appariscente?
Con la ridda di tatuaggi sparsi ovunque che mostrano animali feroci e frasi
truculente?
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