sabato 20 dicembre 2025

Contro i protocolli, contro i ‘copia e incolla’, per una pratica intelligente

 



Da decenni, prima come ZNKR poi come Spirito Ribelle, ho scelto di proporre una pratica delle Arti Marziali in cui il soggetto principale sia il praticante e l’Arte scelta lo strumento di preparazione e crescita dello stesso. Con ciò rovesciando il consueto modo di insegnare l’Arte come dogma, come modello, a cui il praticante deve piegarsi ed adattarsi cercandone la migliore imitazione possibile.

Per esempio, la maggior parte delle pratiche didattiche si fonda sull’assunto che lo studente è fondamentalmente un ricevitore, che l’oggetto (“la materia”) da cui si origina lo stimolo è importantissimo, e che lo studente non ha altra scelta se non vedere e capire lo stimolo così come esso “è”. Adesso noi sappiamo che tale assunto è falso”. (N. Postman ‘L'insegnamento come attività sovversiva’)

Non trovo fertile costruire un percorso che non parta da una riflessione sul ‘Chi sei?’ del praticante, visto come individuo nella sua struttura corporeo – sensoriale, fisicoemotiva, nel suo modo di stare in relazione all’ambiente. Questo allo scopo di portarlo a conoscersi nel profondo, migliorando le sue attitudini gestuali, motorie, come condizione fondamentale per farne un guerriero: ‘Colui che sa stare nei conflitti’, quelli abituali in famiglia, al lavoro, nelle relazioni quotidiane e, nel caso, quelli da aggressione fisica vera e propria.

Allo Spirito Ribelle non ci interessa che il praticante raggiunga un livello di conoscenza dato apriori, una imitazione tendente alla copia perfetta del modello dato, quanto accompagnarlo perché percorra il più a lungo e meglio possibile il cammino della propria autorealizzazione grazie alle esperienze che la pratica marziale gli offre.

Proprio in coerenza con l’essere ‘Arte Marziale’, dunque di combattimento, ci affidiamo ad una globalità di stimoli, per esempio il risveglio di tutti i cinque sensi, per portare alla luce l’animalità sepolta da secoli di civilizzazione e ‘buone maniere’, così come pratiche di coordinazione, di ‘attività multipla e simultanea’, capaci di investire tono muscolare, uso delle articolazioni, meccaniche spiraleggianti ed elicoidali. Con ciò favorendo un autentico rapporto con la realtà del confronto con l’altro e l’ambiente, ovvero la padronanza del proprio schema corporeo, dell’orientamento spazio – temporale, dello stare consapevolmente nel ‘qui ed ora’. Quella che sì, realmente, è crescita della persona, pratica che dal Bujutsu (per dirla semplicemente, è: Darle per non prenderle o, almeno, prenderne il meno possibile) sfocia nel Budo, l’arte del buon vivere, del benessere e bellessere.

Sono fermamente convinto che ripetere e ripetere e ripetere gesti e schemi motori dati, valutare i progressi di un praticante in base alla capacità di copiare un modello dato, significa congelare l’intelligenza motoria del praticante (e il praticante stesso!!) in schemi riduttivi e unidirezionali, secondo moduli che inevitabilmente cancellano i molteplici significati di un gesto, di un’attitudine, di una postura, di una sequenza motoria, costringendoli in corto – circuiti causalistici rassicuranti (‘mi adeguo allo stile dato’) quanto impoverenti. Qui io parlo di pratica marziale e di artisti; lascio l’ossessione delle ripetizioni e dell'imitazione spasmodica di un gesto ai praticanti sportivi che vengono giudicati proprio in base alla migliore imitazione e perciò necessitano di una didattica fatta di ripetizioni e sudditanza al modello dato, come accade nelle gare di ‘forme’.




Il corpo, dunque il praticante di cui sto scrivendo, è corpo Leib e non Korper (1). Non è il corpo asettico dell’anatomia, ma il corpo libidinale. Non è mera dimensione misurabile, circoscrivibile in parametri e protocolli spazio – temporali, come dialettica tra tonicità e rilassamento. E’, invece, un corpo su cui lavorare per portare dallo sfondo in figura quelle dimensioni comunemente individuate come caratteristiche di ogni individuo: motivazioni, desideri, paure, tensioni, significati.

Significa, proprio a partire dall’immenso bagaglio che le Arti Marziali offrono, praticare il terreno dell’incertezza che è, paradossalmente, la costante del vivere, praticare l’arte del ‘conosci te stesso’, i propri bisogni ed i mezzi espressivi che ci sono più consoni.

Questo anche praticando le ‘forme’, purché lo si faccia cercandone l’interiorizzazione dell’essenza, che è sempre e del tutto personale. Perché solo quando il movimento è autentico, la forma, qualsiasi forma, diventa poesia.

Prossimamente, un post sul connubio tra pratica marziale e pratica dell’immaginazione attiva, come miglior modo di approcciarsi alle ‘forme’.


1. Leib, corpo vissuto, intrinsecamente legato alla coscienza umana- Korper, oggetto corporeo, materia che può essere osservata e misurata.





domenica 14 dicembre 2025

L'Arte della Guerra. cap. 7

 


L’Arte della Guerra, di Sun Tsu (circa VI secolo a.c.) 

Brevi riletture nel terzo millennio che pongono domande, che sollecitano dubbi, che avanzano proposte 

Cap. 7

L’arte della via spianata:

Riflessioni marziali

"Ottiene la vittoria colui che conosce il modo di trasformare un cammino tortuoso in una via spianata. Questa è l'arte delle manovre militari." "Utilizzano l'ordine per affrontare il disordine; il temperamento per contestare l'agitazione, così controllano il fattore mentale."

Le parole antiche del generale Sun Tsu, al capitolo 7, risuonano come colpi di tamburo nello scorrere interminabile del tempo. Sun Tsu non scrive soltanto di eserciti e battaglie campali. Egli svela la trama invisibile che lega il movimento del corpo alla disciplina della mente come un insieme incarnato, la strategia del campo di guerra alla quotidiana arte del vivere.

Il cammino tortuoso e la via spianata

Ogni praticante di Arti Marziali conosce la fatica dei sentieri accidentati: I muscoli che si affaticano, il pensiero che vaga altrove, la vita che frappone ostacoli inaspettati. Ma l’autentica e Tradizionale Arte Marziale consiste nella ‘guerriera’ capacità di stare nei conflitti, di trasformare la difficoltà in semplicità, il peso in leggerezza, il tortuoso in elicoidale. Così, nel gesto di una percossa o nella spirale di un passo, il marzialista lavora sul rendere fluido ciò che appare spezzettato, sul trovare l’orientamento dentro il caos.


Ordine e disordine

Il Dojo, ovunque sia e in qualunque modo sia, è un laboratorio di ordine creativo: Il ritmo del respiro, la sequenza dei movimenti, la ritualità del saluto. Ma la vera prova non si gioca soltanto sul tatami. E’ nella strada, nel lavoro, nelle relazioni quotidiane che disordine, caos e conflitti si manifestano. Il marzialista porta con sé la disciplina interiore come una torcia accesa: Fronteggia il disordine con l’ordine interiore, risponde all’agitazione con il temperamento saldo e ben radicato. Non c’è fuga né evitamento, quanto vigile presenza, capacità di restare centrati mentre attorno monta il caos, consapevolezza di stare nel “Qui ed ora


L’immediatezza dell’agire

La pratica marziale, lo scontro, insegnano che l’attimo non concede esitazioni. Nel combattimento, come nella vita, l’agire deve nascere dal ‘vuoto fertile’ della preparazione che non è né illusione di saper prevedere il futuro memorizzando tattiche e strategie preconfezionate, protocolli standard, né improvvisazione anarchica, cieca. E’ risposta immediata, radicata in anni di sperimentazione, di pratica di e su di sé: “Un minimo di struttura e molta sperimentazione“ (H. Duplan). Il gesto che appare spontaneo è in realtà il frutto di una lunga ed appassionata semina: ogni momento di formazione, ogni postura, ogni respiro coltivato fuori dal Dojo diventa seme che germoglia nell’istante decisivo.



La pratica oltre il tatami

L'autentico marzialista non lascia la disciplina sulla soglia del Dojo. Egli porta la sua arte nella vita ordinaria: nel modo di camminare, di ascoltare, di parlare. La marzialità diventa un filo che disegna la quotidianità, trasformando ogni gesto in occasione di presenza. Così, la vittoria non è sopraffazione dell’avversario, ma conquista di sé: La capacità di rendere la vita stessa una via orientata, di mutare il disordine in armonia, l’agitazione in quiete.

Così, l’Arte della Guerra diviene arte della pace. Un percorso che non separa il Dojo dalla vita, ma li unisce in un unico lungo e profondo respiro.





martedì 9 dicembre 2025

Stille Nacht: Nel Vuoto che Orienta

 

Nel Vuoto che Orienta

Invito a una pratica che gira, disorienta e rivela

Martedì 23 Dicembre 2025 ore 17.00 - 19.00

Hai mai camminato a occhi chiusi, senza sapere dove finisce il tuo passo? Hai mai ruotato su te stesso fino a perdere il nord, solo per scoprire che il centro non è una direzione, ma una sensazione?

Ti invito ad una pratica che non si vede, ma si sente. Che non si afferra, ma si attraversa. Una danza con il sistema vestibolare, quel silenzioso regista dell’equilibrio, che lavora nell’ombra per tenerti in piedi mentre il mondo gira.

In questa esperienza, camminerai nel vuoto, oscillerai come canne al vento, ti fermerai nel punto esatto in cui il corpo dice “basta” e poi ripartirai, con gli occhi chiusi, con il cuore aperto.

Scoprirai che l’equilibrio non è stare fermi, ma ascoltare il movimento interno. Che la fiducia non nasce dalla vista, ma dal corpo che si orienta nel buio.

Questa non è una lezione. È un rito. Un invito a perdere l’asse per ritrovare l’essenza. A girare fino a diventare spirale. A chiudere gli occhi per vedere meglio.

Nel Vuoto che Orienta Per chi ha il coraggio di disorientarsi. Per chi vuole sentire il mondo girare… da dentro.

Necessaria la prenotazione: tsantambrogio@yahoo.it


Cosa è per noi ‘Stille Nacht’ ?

Il Natale, dal latino “natalis”, ovvero relativo alla nascita, è festa comune a diverse religioni e culture ed è, insieme al solstizio d’inverno, origine di molte “nascite” illustri di dei ed eroi nelle culture di ogni epoca e di tutto il mondo. E’ il momento in cui, quando la notte diviene padrona e il buio totale, l’uomo mantiene accesa la fiamma della sua personale fede, che, all’alba, diverrà trionfante.

E’ momento di silenzio e raccoglimento, in cui l’uomo rivede il suo percorso interiore, acquieta i suoi mostri, regola ritmo e scelte per aggiustare il suo cammino di individuazione.



giovedì 4 dicembre 2025

L'Arte della Guerra cap. 6

 




L’Arte della Guerra, di Sun Tsu (circa VI secolo a.c.) 

Brevi riletture nel terzo millennio che pongono domande, che sollecitano dubbi, che avanzano proposte 

Cap. 6

La Non-Forma: Arte, Acqua e... Silenzio

Sii sottile per non lasciare tracce; misterioso come il silenzio e potrai essere l’artefice del destino del tuo nemico.”




Con questa affermazione Sun Tsu ci porta nel mondo del silenzio e dell’okuden,il nascosto, il celato agli occhi. Non semplice atto d’astuzia, espediente pure sovente utilizzato in guerra, come, già dai tempi antichi, ci ricordano le imprese del guerriero Ulisse cantate nell’Iliade, bensì un’arte di presenza che si dissolve, come la rugiada al sole. È l’abilità di abitare lo spazio senza fissarsi, di muoversi senza lasciare tracce, di esistere come vento che sfiora e non si trattiene.

Il mistero della non-forma

Il generale della guerra insegna che la disposizione delle truppe deve tendere alla non-forma. Non-forma significa libertà totale: Nessun contorno che possa essere catturato, nessuna figura che possa essere prevista. Quando non hai forma, sei come il vuoto che accoglie ogni possibilità. “Nemmeno la spia più astuta o il saggio più esperto(cit.) possono decifrare ciò che non si mostra. La non-forma è il partorire del possibile, il luogo dove Heio, la strategia, nasce e muore senza mai essere afferrata.



L’Acqua come Maestra

L’acqua è la grande alleata di questa visione. Essa scorre, si adatta, penetra ogni fessura. È fiume che erode la roccia, è pioggia che nutre la terra, fino a divenire vapore che sfugge ad ogni presa. Nella sua metamorfosi, l’acqua insegna la via della non-forma: Essere insieme contenuto e contenitore, forza e leggerezza, presenza e assenza. Essere contemporaneamente più presenze dissimulate l’una nell’altra così da non essere identificabili: “Ogni corso d’acqua, anche quando fluisce in modo apparentemente omogeneo, è suddiviso in ampie superfici interne” (T. Schwenk ‘ Il caos sensibile’). Così, l’abile praticante di Arti Marziali diventa acqua: fluido nella gestualità, privo di ogni intenzione, capace di trasformarsi repentinamente in ciò che la situazione richiede.

L’autentica Pratica Marziale

Nel caos di ogni scontro, di ogni combattimento, come nella lacerante difficoltà di ogni situazione di crisi, la non-forma si manifesta come intuizione ed ascolto profondo. La percossa che non si irrigidisce nella contrazione muscolare, Kime, ma esplode e si propaga nel Fa Jin; la proiezione al suolo, Nage waza, che non contrasta ma accompagna; la postura che non si cristallizza divenendo così attura, secondo la splendida definizione di Moshe Feldenkrais (1); il movimento che nasce da Ku, il vuoto fertile, e vi ritorna. Il praticante non si sforza di imporre né di reagire, ma risponde adattandosi; non si aggrappa ad una tecnica, ma lascia che waza, la tecnica, nasca e si dissolva nel gesto. Come l’acqua, egli diventa imprendibile: Ora possente onda che travolge, ora goccia che lentamente scava, ora fluido che si insinua e sgretola, fino a raggiungere lo stato di vapore: C’è ma dove e come nessuno lo sa.




Una possibile conclusione

L’insegnamento di Sun Tsu non è solo strategia militare, ma filosofia incarnata, filosofia del vivere e del tessere relazioni sane e convincenti. Essere sottili, misteriosi, lontani da ogni grossolanità, apparire in un modo agli occhi più superficiali nel mentre che si è ben altro per chi sappia vedere oltre l’apparenza: Senza forma. Questo è il percorso dell’artista guerriero. Nella pratica marziale, come nella vita di ogni giorno, la vera forza non è nel mostrarsi e mostrare, ma nel celare; non nel fissarsi dentro le proprie minuscole certezze o nell’adeguarsi passivamente a quelle condivise dagli altri, ma nel fluire cercando la strada migliore, quella consona alla nostra natura più profonda, sempre pronti a ricredersi e cambiare, a prendere una diversa direzione laddove quella comoda ed abituale si riveli arida ed egoista. Nello scegliere accuratamente da chi farsi conoscere a fondo eludendo sguardo e presa di chi non ci interessa. Chi diventa acqua e poi vapore diventa destino: Imprendibile, non incasellabile in ruoli, mai banale e sempre presente nel “qui ed ora”.



1. Neologismo-sintesi di postura e azione, utilizzato da Moshe Feldenkrais per rendere più dinamico il concetto tradizionalmente statico di postura: Una buona postura ci permette di muoverci e di agire secondo le immediate necessità e con totale facilità, senza fatica e senza doverci prima riorganizzare.





lunedì 1 dicembre 2025

Il mio pensiero di Dicembre 2025

 

L’immaginazione attiva e la pratica Kenpo

 Taikiken e Tai Chi Chuan qui al 

DAO – Spirito Ribelle

Essere mossi invece di muovere




Il vento non bussa mai alle porte”, questa semplice frase mi accompagna spesso nelle mie riflessioni.

L’immaginazione attiva, come la praticava Carl Gustav Jung, non è fuga dalla realtà, ma immersione in un dialogo vivo con le forze interiori. È un lasciarsi attraversare da immagini che non sono semplici fantasie, bensì presenze, impulsi, archetipi che premono per incarnarsi.

Qui, allo Spirito Ribelle, Il Kenpo Taikiken, Arte Marziale che nasce dall’essenza del movimento naturale, e il Tai Chi Chuan, Arte Marziale che poggia sul mondo delle iperboli taoiste, incontrano questa visione così come un fiume va a scomparire nel mare. Non si tratta di costruire una capacità muscolare, né di dirigere il gesto come farebbe un burattinaio: Si tratta, invece, di lasciar accadere. Il marzialista Spirito Ribelle si pone in ascolto, come dentro ad un sogno che prende forma, e attende fiducioso che l’impulso motorio sgorghi dal profondo.

Il gesto come epifania

In uno schema che vede:

  1. Aprirsi all’inconscio

  2. Lasciare che spontanee gestualità si espandano nello spazio

  3. Domandarsi quale senso dare a quel movimento e come integrarlo nella vita quotidiana

lì il movimento non è più un atto deliberato, ma un’epifania. È come incontrare un linguaggio nuovo o semplicemente un linguaggio perduto, dimenticato: Il braccio che si muove non è “agito da me”, ma da una corrente che mi attraversa; la gamba che avanza non è una decisione, ma una “rivelazione”.

In questo senso, autentico e Tradizionale, il Kenpo Taikiken e il Tai Chi Chuan divengono un rito di incarnazione: L’immagine interiore si fa carne, il simbolo si fa gesto. Non è più il praticante che si muove, ma il movimento spontaneo che lo muove.

Essere mossi

Essere mossi significa innanzitutto rinunciare al copiare uno schema prestabilito e poi alla pretesa (impossibile?) di controllare minuziosamente la propria gestualità. Infine, significa accogliere l’imprevisto, viverlo in toto e, mano a mano, esperienza dopo esperienza, senza fretta né censure, introiettarlo. Farlo prendendosi il tempo e la responsabilità di conoscersi nel profondo attraverso di esso, avventurandosi nel personale mondo del Sapere Profondo. È un atto di fiducia, come aprire le mani e lasciare che il vento le sollevi. È un dialogo con l’invisibile, dove l’Io si fa fitro e l’energia vitale, Ki o Chi, trova la sua Via.

In questo spazio, il corpo diventa confine elastico, mobile: Tra il visibile e l’invisibile, tra il conscio e l’inconscio, tra il gesto e l’immagine. L’artista marziale non si sforza di dominare, ma di ascoltare. Tutto questo nel solco del Wu Wei, che è non sforzarsi . Egli non forza, non eccede, ma ascolta e riceve. Nemmeno inventa, ma lascia emergere.

Conclusione

Il Kenpo Taikiken e il Tai Chi Chuan, vissuti nel solco dell’immaginazione attiva, sono un invito a lasciarsi sorprendere dal movimento che nasce da dentro. Sono arti che non insegnano a “fare”, ma a “essere mossi”. In questo lasciar accadere, il corpo diventa dipinto vivente e l’immaginazione, la reverie, muta in personale esperienza incarnata.

Noi non muoviamo: Siamo mossi.

Non imponiamo: Lasciamo accadere.

Il gesto nasce dalle voci del corpo.”



giovedì 27 novembre 2025

HAI ed i Quattro Elementi

 



Hai che è "Rafforza il tuo corpo con la camminata Taiki Ken”. Hai che è “L'allenamento definitivo per la protezione e la sicurezza" (in The Taikiken pages are dedicated to Master Kenichi Sawai)

La filosofia cinese classifica il cosmo in tre grandi divisioni: cielo, terra e uomo. La pratica Taikiken applica questa divisione al corpo umano, che divide negli stessi regni di cielo, terra e uomo.
Questi sono designati t'ien (cielo), ti (terra) e jen (uomo) in cinese e ten (cielo), chi (terra) e jin (uomo) in giapponese. Dei tre, jen è considerato il più importante. Quando un avversario attacca, è importante difendere la zona jen del corpo. Per fare questo, tuttavia, è essenziale sviluppare consapevolezza e forza nelle gambe e nei fianchi (la zona ti, o terra). Inoltre, braccia e mani devono agire come rilevatrici del tipo di attacco che l'avversario intende effettuare. La pratica di Hai è progettata per allenare le parti ti e jen del corpo.

Hai è anche una pratica dal sapore mistico, in cui si celano riferimenti ai quattro Elementi della cosmogonia taoista e la loro relazione con la nostra vita terrena.

Gli Elementi (a volte quattro, altre cinque) e tutte le metafore combinate alla loro essenza ed azione metamorfica stanno all’origine di tutto quanto l’immaginario umano che, da sempre, accompagna la presenza dell’uomo sulla terra formando un nutrimento vitale che è “la struttura che connette”, come la chiamava Gregory Bateson e l’inconscio collettivo di stampo junghiano.

Qui non è il caso di approfondire il tema, tanto complesso quanto affascinante.

Mi limiterò ad alcune brevi osservazioni dedicate ad ogni pratica gestuale in relazione ad un Elemento.

Aria, che è soffio, etereo, fluttuante, aleggiare, libero; movimenti lievi, continui, sinusoidali, tendenti al vortice o al volo; ampia calata planante del corpo a terra che così mantiene la sospensione in grado di evitare ogni forma di collasso.

Terra, che è compatta, densa, solida; andamento solidificante che, secondo le leggi di Natura, combina tra loro forme e funzioni.

Acqua, che è liquido, corrente, massa, adattamento, cerchi, onda; svolgimento avvolgente, dilatabile, capace di ornare dentro e fuori qualsiasi forma fisica.

Fuoco, che è energia, ardente, estremo, antigravitazionale; svolgimento sussultorio, serpeggiante verso l’alto, costretto per vivere e prosperare a distruggere ciò che gli dà vita.

Un mondo profondo e semisconosciuto dietro, sotto, la pratica di Hai.

Chi ha voglia di scoprirlo?







lunedì 24 novembre 2025

L'Arte della Guerra cap. 5




L’Arte della Guerra, di Sun Tsu (circa VI secolo a.c.) 

Brevi riletture nel terzo millennio che pongono domande, che sollecitano dubbi, che avanzano proposte 

Cap. 5

Ordine celato, forza che danza

"Il successo in guerra deriva dall'abilità nell'uso delle forze ordinarie e straordinarie", così scrive il generale Sun Tsu al capitolo 5 del suo ‘L’Arte della Guerra’.

Ma cosa significa nel concreto di chi pratica Arti Marziali?

Da decenni, la pratica che prima fu ZNKR ed ora Spirito Ribelle mostra come il marzialista non si affida solo alla tecnica imparata, quanto alla capacità di trasformarla dentro uno straordinario processo alchemico. La forza ordinaria è il corpo Korper che esegue, la straordinaria è l’animo che ascolta e realizza, il corpo Leib come esperienza totale, come essere totalmente ed integralmente incarnato.

Non a caso l’insegnamento Tradizionale ammonisce di osservare i tre passi: Primo eseguire, secondo sistemare l’esecuzione, terzo entrare dentro, vivere l’esecuzione perché diventi parte integrante di te trasformandosi lei e trasformandoti tu.

Come ti muovi quando la forma non basta? Quando la situazione muta e ciò che hai imparato non basta più, non si applica più?

"Tutto appare caotico nell'andare della lotta, ma esiste un ordine che la dirige." Questo ordine non è scritto nei manuali, non si impara nell’imitazione di gesti codificati. È il ritmo che si svela solo agli occhi di chi sa vedere con kokoro, il cuore. È il sapere che non si irrigidisce, ma si rinnova. È il passo che si adatta, il gesto che si flette senza spezzarsi né perdere la sua autenticità. E’ sapere incarnato.

Il bravo mazialista non è colui che domina la forma, ma colui che la lascia andare ogni volta che serve. Che sa essere acqua divenendo all’occorrenza vapore, vento leggero divenendo tempesta, roccia divenendo acciaio. Che sa quando essere visibile e quando scomparire. Che interpreta correttamente il motto “ferro avvolto nel cotone”.

"Il disordine del nemico è un prodotto del tuo ordine nascosto." Nella vita di tutti i giorni, il nemico non è sempre (quasi mai?) un altro. A volte è la paura, l’orgoglio, la rabbia, l’abitudine. A volte è il pensiero che ci imprigiona, il pregiudizio che ci blocca. Ma se dentro di te coltivi il vuoto fertile, la consapevolezza, la disponibilità… allora anche il disordine più eclatante si piega e la confusione si dissolve.



Hai mai sentito il momento in cui tutto si muove attorno a te, ma tu sei fermo e stabile? Non come una statua, ma come un centro che respira, un equilibrio labile? Hai mai vissuto un giorno in cui la tua forza non stava nell'agire meccanico di conseguenza ad uno stimolo, ma nel non reagire e fluttuare tra le forze caotiche attorno a te?

Hai compreso, di corpo tutto e non solo di testa, la differenza tra un animale dominato dall’istinto che lo obbliga a reazioni fisse e immediate, sostanzialmente prevedibili, in determinate situazioni ed un guerriero (‘colui che sa stare nei conflitti’) capace di attingere all’intuito ed al Sapere Profondo per dare risposte non convenzionali, non prevedibili?

"La sua codardia nasce dal tuo coraggio; la sua debolezza dalla tua forza." Il mondo risponde alla tua capacità vibratoria. La pratica marziale non è solo difesa o attacco essa è relazione, è ascolto. È il modo in cui entri in una stanza, con rispetto ma senza timore; in cui guardi negli occhi fermo e deciso ma senza sfrontatezza; in cui scegli di non alzare la voce, semmai di abbassarla.

E tu, come fai della tua Arte Marziale pratica di ogni giorno? Nel modo in cui cammini, nel modo in cui parli, nel modo in cui ti lasci stupire senza scomporti. Nel modo in cui impari, ma non ti aggrappi al ‘cosa’ hai imparato. Nel modo in cui proponi, ma non imponi.



La vittoria autentica non è sopraffare qualcuno, essa sta dentro. È il momento in cui ti accorgi che oggi puoi essere diverso e un poco meglio di ieri. Che puoi danzare con la forma senza esserne prigioniero. Che puoi essere forte, ma non duro. Che puoi essere presente, ma non invadente. Perché La forza interiore è la protezione più potente che hai. Non aver paura di assumerti la responsabilità della tua felicità” (Dalai Lama)

Allora, tu che mi stai leggendo, che tipo di forza stai coltivando oggi? È ordinaria o straordinaria? È visibile o nascosta? È tua… o è quella che il senso comune ti ha chiesto di indossare? Sei tu, a tuo modo, forte, o ti proteggi dietro le tecniche e le certezze che hai appreso imitando al meglio lo stile, l’Arte che vai studiando?

Applicheremo concretamente quanto qui sopra, relativo al cap. 5 de “L’Arte della Guerra”, in un prossimo nostro incontro del Martedì.

Ogni presenza, vecchia o nuova, sarà la benvenuta.






mercoledì 19 novembre 2025

L'Arte della Guerra capitolo 4

 












L’Arte della Guerra, di Sun Tsu (circa VI secolo a.c.)
 

Brevi riletture nel terzo millennio che pongono domande, che sollecitano dubbi, che avanzano proposte 

Cap. 4

L’arte invisibile della vittoria

Magari non sarà questa la sera giusta per cavalcare le possenti onde della pratica Spirito Ribelle, eppure, da qualche parte dentro di me, sento che ho disegni di corpo da realizzare, ho dubbi, uno dopo l’altro, da resuscitare.

Ed è così che il me corpo pensante si muove sospeso come una foglia nel vento, ricorda alcune brevi letture del libro “L’Arte della Guerra”, al capitolo IV. Non si lascia distrarre dal rumore dell’aria che vado spostando, ma si immerge nel respiro che ascolta, nel cuore che sente, nel corpo che sa.

"Essere invincibili dipende da noi; che il nemico sia vulnerabile, dipende da lui." Così scrive Sun Tsu. E in queste parole si nasconde una verità minuscola ma possente: La vittoria non è dominio sull’altro, ma padronanza di sé. Il guerriero esperto non cerca la debolezza altrui, ma coltiva la propria forza come un giardino segreto. Egli si rende invincibile non perché annienta, ma perché non può essere annientato.

Ma cosa significa essere invincibili? Forse la sincerità verso se stessi, la capacità di guardarsi nudi e senza maschere, di riconoscere la propria Ombra senza fuggire, senza giudicare? Non è forse il sentire profondo, quel percepire spontaneo che afferra il senso di ciò che accade prima che la mente razionale lo traduca in pensiero?

"Il Generale può conoscere il modo per vincere, ma questo non significa che possa attuarlo." La conoscenza non basta. Occorre vigile presenza, sincera apertura a quel che accade in quel momento.

"Gli esperti della guerra coltivano il Tao e rispettano le leggi; per questo sono capaci di pianificare politiche vittoriose." Il Tao, più che una complessa strategia, è una disposizione dell’animo. È il fluire con ciò che è, senza dannarsi a forzare, senza dannarsi a trattenere. È il rispetto delle leggi a noi invisibili che governano il ritmo delle cose, il battito del mondo.

Allora, forse, la vera vittoria è questa: Non quella che si celebra con pennacchi e rullar di tamburi, ma quella che si realizza nel silenzio fertile di un gesto semplice e corretto, nel tempismo di una parola che non ferisce ma apre al dialogo, nella scelta di non reagire, ma di agire.

Ti sei mai chiesto, tu che mi stai leggendo, quante volte hai cercato di vincere fuori, fuori da te, quando la battaglia invece era dentro, dentro di te? Quante volte hai ignorato il tuo sentire, per seguire una strategia che non ti apparteneva, un modus operandi copiato da altri?

E se il tuo personale essere ‘invincibile’ fosse già lì, nel tuo modo unico di percepire il mondo, sei pronto ad ascoltarlo e realizzarlo? Sì, ne sei capace, io lo so.













giovedì 13 novembre 2025

L'Arte della Guerra cap. 3

 L’Arte della Guerra, di Sun Tsu (circa VI secolo a.c.) 

Brevi riletture nel terzo millennio che pongono domande, che sollecitano dubbi, che avanzano proposte 

Cap. 3



La voce del Tao nella pratica marziale

Nel silenzio che precede il gesto, Heio si manifesta come vento possente: Non è furia, ma strategia che danza, aggressiva sì ma che non cerca la distruzione, quanto offre la possibilità sottile, okuden, nascosta, di ottenere la vittoria.

Ma che cos’è vincere, se non dissipare l’ostacolo tra me e lo scopo? La vittoria non è trionfo, è dissoluzione della tensione, è il punto in cui il conflitto si svuota e resta solo l’apprendimento.

Nel Tao dello scontro, non c’è violenza, ma Do, la Via. Wu wei , che è agire senza forzare, è il passo che cancella l’ostacolo senza opporsi, come l’acqua che distrugge la roccia senza mai combatterla.

Perché ottenere cento vittorie in cento battaglie non è l’apice della maestria. L’esperto nell’arte della guerra sottomette il nemico senza lottare” (Sun Tsu)




Così il guerriero si trasforma: dal Bujutsu, dove la lotta è sopravvivenza, al Budo, dove il combattimento è crescita. Ogni percossa è una domanda, ogni intercetto una risposta, ogni caduta un insegnamento.



Nel cerchio dei praticanti Spirito Ribelle, non si forgia il corpo meccanico, korper, ma il corpo leib, che è cuore che sa ascoltare, mente che sa cedere, animo che sa stare nella violenza del confronto.

Perché l’Arte Marziale, quando è arte del saper vivere, non cerca vincitori, ma esseri umani più profondi, più presenti, esseri umani autentici, coraggiosi, erotici e vitali.