sabato 2 agosto 2025

I polsi nelle Arti Marziali: Sensibilità e potenza

Nella Medicina Tradizionale Cinese (MTC) il polso è molto più di un semplice battito cardiaco: E’ una finestra sull’energia vitale (Chi / Ki) e sullo stato interno dell’organismo.

Esso è letto come un ponte tra il mondo interno e quello esterno, intimamente collegato a meridiani come Cuore, Intestino Tenue, Pericardio e Triplice Riscaldatore.

Anche in alcune interpretazioni ‘occidentali’ il polso riveste grande importanza, sia come parte integrante della mano (mano di cui parzialmente ho già trattato in precedenti post) che come luogo energetico in sé.

Cominciamo col dire che “con la nostra struttura psicocorporea, riattraversiamo tutte le fasi di aggregazione dell’energia in materia, e quindi le abbiamo registrate dentro di noi come sensazioni primarie” (S. Guerra Lisi in ‘Il metodo della globalità dei linguaggi’).

Dunque, nella Medicina Tradizionale Cinese, il polso è una sorgente pregiata di informazioni. Non è solo battito cardiaco: E’ vibrazione della vita, specchio dei movimenti dell’energia interna. I tre livelli di profondità e le dodici posizioni del polso ci parlano del respiro degli organi, del flusso del Chi / Ki, delle modificazioni delle emozioni.

Anche nella Globalità dei linguaggi, il polso ha voce. Attraverso il corpo come ‘parola incarnata, la posizione, la tensione e l’orientamento del polso sono segnali della relazione tra sé e il mondo. Il polso che si chiude o si apre, che si torce o si rilassa, è un frammento della narrazione corporea che parla prima ancora delle parole.

Assodato che spazio, tempo ed intensità sono gli elementi che sorreggono il nostro agire, possiamo specificare che:

  • Spazio è la sensazione di avvolgimento che, progressivamente, si fa egemone con il muoversi della mano nell’aria.
  • Tempo è il ritmo personale che caratterizza ciascuno di noi nelle diverse occasioni dell’agire quotidiano.
  • Intensità è la scarica che applichiamo sulla materia in formazione.

L’intensità del tono muscolare cresce con il crescere della densità della materia. Lentamente, praticando con entusiasmo e costanza, passa nello sfondo la propria parte di spazio esclusivamente personale e sale in figura il comunicare direttamente con l’ambiente e chiunque / qualsiasi cosa sia altro da sé: In questo momento la mano prende a pulsare mostrandosi in contrazioni ed estensioni.

Per questo, nelle pratiche in solitario, a partire da quelle specificatamente costruite per la scoperta e la padronanza dell’energia interna (pratiche di Chi Kung / Kiko) proseguendo con quelle in coppia, come Suishou e Maki, è fondamentale che i polsi siano tanto antenne dell’ambiente dentro e fuori di sé quanto canalizzatori energetici, anche e forse soprattutto oltre le mani.

Ecco, nelle antiche concezioni asiatiche come nelle moderne concezioni ‘occidentali’, si osserva il polso in movimento per comprendere lo spazio del sentire. In entrambe, il polso non è solo arida anatomia, è linguaggio energetico, emotivo e simbolico.

Praticare sempre con attenzione ai polsi, non certo per modificare di 1 o 10 gradi la loro inclinazione nello spazio (come pretendono i soloni dell’insegnamento che spostano i polsi dei loro allievi in obbedienza a chissà quali astruse teorie!!) quanto per entrare in connessione con il sé profondo dando spazio a tutto il vociare interiore trovando in esso i luoghi del silenzio potente.

Intuire il non detto, che palpita nei movimenti, nei ritmi, nei gesti fluidi liberi come in quelli controllati, nelle diverse espressioni del peso pesante o leggero o collassato. Perché i polsi ci parlano. Sta a noi saperli ascoltare.

 

“Abbiamo più capacità di quanto pensiamo”

(L. Reed) 




domenica 27 luglio 2025

I denti nelle Arti Marziali: Efficacia e consapevolezza

 

I gesti scorrono lenti e fluidi, qui in un piccolo giardino alla periferia nord di Milano. Il Maestro mi guida con pazienza e fermezza ed io mi dispongo ad assorbire quanto più riesco del suo insegnamento. Poi, verrà il tempo di trasmettere quanto appreso ai miei di allievi.

Oggi, tra le altre cose, lavoriamo sui denti e su come atteggiare la bocca.

Nel contesto delle Arti Marziali asiatiche, i denti non rappresentano soltanto un elemento fisico da proteggere, ma incarnano un simbolo di forza interiore e consapevolezza. Il gesto di “stringere i denti” è universalmente riconosciuto come manifestazione di determinazione e resistenza: per i praticanti, significa affrontare il dolore, superare la paura e mantenere la concentrazione anche nei momenti critici.

Secondo la Medicina Tradizionale Cinese, i denti sono strettamente collegati all’energia dei Reni, organi considerati fonte della forza vitale (Ki / Chi). Una dentatura sana è quindi espressione di equilibrio energetico e di una forte volontà, elementi centrali nella pratica marziale.

In alcune Scuole Tradizionali, il controllo del corpo include anche la mandibola, usata per regolare il respiro e canalizzare l’energia durante le fasi di combattimento e meditazione. Il morso non è solo riflesso: diventa strumento di consapevolezza e disciplina.

Nel Taoismo, la flessibilità è vista come suprema forza: Pur duri, i denti devono essere governati con saggezza ovvero in modo semplice e gentile. Laozi, nel Tao Te Ching, scrive: “Il più cedevole vince il più duro”, ricordando che anche la mandibola, se gestita con equilibrio, contribuisce alla padronanza di sé.

Nel Bushidō, il codice del guerriero giapponese, il volto e la tensione della mascella sono segnali del livello di autocontrollo. Una mascella rilassata non è debolezza, bensì dimostrazione di calma strategica.

Anche in alcune Scuole del pensiero occidentale, i denti rivestono un ruolo importante.

Secondo le memorie ancestrali della nascita (1), i denti sono espressione di pulsioni aggressive primordiali che riemergono in superficie nell’inconscio, per esempio nel sonno, digrignandoli.

Queste pulsioni aggressive primordiali, dallo sfondo arrivano in superficie quando svegli operiamo inconsciamente uno slittamento in avanti della mascella in modalità difensiva, sfidante, in una chiusura che porta tensione nei muscoli mascellari, il che comporta una perdita di mobilità dovuta alla postura fissa.

Loro funzione principale è la presa sulla realtà, e dunque di dominio ed assorbimento, nella forza della masticazione. Ciò comporta l’aggressività (dal lat. aggrĕdi, comp. di ad- «verso» e gradi «camminare») del desiderio, che quando impossibilitato a scaricarsi viene frenato e frustrato.

Il Maestro insiste molto su come posizionare denti e labbra. Quanto vado imparando si amalgama con ciò che, nei tanti anni di pratica, ho imparato sulla lingua e la sua importanza anche in relazione alla struttura tendinea e fasciale del corpo umano.

Già, non si finisce MAI di imparare. Almeno per chi non si crede mai arrivato, mai padrone di tutta la materia e si assume il compito di sempre dubitare e sempre cercare, animato da passione autentica per il vivere, vivere di corpo. Per chi abita lo Spirito Ribelle.

 

1. ‘Il corpo matrice di segni’. S. Guerra Lisi e G. Stefani

 

 

 

 

 

mercoledì 23 luglio 2025

Dove il silenzio fa sparring

A Luglio, ho scoperto il segreto per ottenere silenzio assoluto durante la formazione marziale: Mettere a disposizione lezioni gratuite di Arti Marziali. Un successone, se il mio obiettivo era praticare in solitudine, a parte la presenza, ad una sola di queste, del nostro Silvano.

I miei allievi hanno fatto pratica di sparizione senza lasciare traccia (quello che nella sciagurata neolingua è il “ghosting”) con una precisione da assassini invisibili e gli sconosciuti... beh, sono rimasti tali. Forse pensavano che “gratuite” fosse un’Arte Marziale esotica, troppo esoterica o violenta per loro.

Ma io non demordo! A settembre proporrò corsi su “Come evitare le lezioni gratuite”. Anticipazione: Sono già tutti iscritti.

"L’unica cosa che non si apprezza mai abbastanza è ciò che non costa nulla" scriveva due secoli or sono Gustave Flaubert. Io potrei, molto modestamente e ricordando una vecchia pellicola del grande Bruce Lee, riscriverla così: “L’arte del combattimento gratuito è quella che non combatte affatto perché nessuno si presenta.”

 

 



 

 

 

domenica 20 luglio 2025

Dal bilanciere al combattimento

 

Sollevare pesi? Ottimo… se il tuo avversario è un bilanciere!  Hai forza da mostrare, ma nel Dojo e sicuramente in strada non c’è nessuno che si muove come un disco da 20 kg. La realtà del combattimento, quello ‘amichevole’, tutto sommato ‘finto’, tra compagni in Dojo, in palestra. ma soprattutto quello animalesco, brutale, sanguinario, reale, in strada, è un coacervo di confusione e improvvisazione, non una filastrocca di movimenti lineari e ripetitivi.

Tanto che persino un praticante di Muay Thai e K1, dunque  duri sport di ‘combattimento’ a contatto pieno, scrive:

La vostra efficacissima thai boxe e i vostri venti incontri a tibie nude in classe A sicuramente vogliono dire tanto... ma è molto probabile che non dobbiate schivare il diretto preciso di un altro avversario con un guantone, bensì un ‘ganciontante’ con una bottiglia di un ubriaco che nell’aggredirvi vi cascherà pure addosso.” Con ciò evidenziando a chiare lettere la differenza tra uno scontro sportivo, duro purché sia, e il combattimento da strada: Figuriamoci se a dover sostenere un’aggressione sia chi si è principalmente formato a sollevare pesi!! (https://www.kombatnet.com/blog/difesa-personale-e-sport-da-combattimento/)



Allenarsi solo con i pesi è come prepararsi a un esame di matematica alle medie superiori studiando solo le tabelline. Serve? Certamente. Basta? Assolutamente NO. Sollevare pesi, isolare esercizi muscolari alle macchine, è come preparare la valigia per le vacanze: Ordinata e senza sorprese perché la riempiremo con quello che sappiamo serve in quella località. La pratica marziale, quella autentica, invece, è come praticare asana di Yoga su un tappeto volante durante un tornado!!

“Dobbiamo sforzarci senza sosta di sviluppare tecniche di simulazione sempre più realistiche affinché nel suo addestramento ogni guerriero possa interiorizzare un insieme di abilità che potrà poi esprimere in situazioni reali”. (Colonnello D.Grossman)

Molto più utile, per la salute quotidiana come per l’eventualità (per fortuna generalmente remota) di un’aggressione, è formare un sé - corpo che sappia agire, risolvere criticità, attivare stimoli sensoriali contestualizzati (1) non solo e non tanto resistere a carichi esterni.

E’ quello che facciamo qui, allo Spirito Ribelle.

Allenati a stare nel caos, 

non per fare sfoggio di muscoli davanti allo specchio

 

1. “Una persona che sale su un terreno instabile, che afferra, slitta, riorganizza il peso in tempo reale, attiva più reti neurali – e costruisce più competenza – di quanto accada in una seduta ‘programmata’ su una macchina isotonica. Perché l’apprendimento non è nel gesto in sé, ma nella complessità da risolvere” (R. Agus)

 


mercoledì 16 luglio 2025

Davvero l’allenamento spasmodico e focalizzato sulla forza è un buon allenamento?

 Ormai è tutto un pompare, sollevare pesi, sfinirsi alle ‘macchine’. E’ tutto un dissertare di trazioni, curl, panca piana, crunch. E’ tutto un confrontarsi su cedimento muscolare, stripping, ripetizioni negative, rest-pause. E’ tutto un mostrare muscoli.

Lasciamo ora stare il disastro culturale di giovani e meno giovani ridotti a credere di avere desideri personali mentre sono sotto il giogo di un ‘desiderio collettivo’ con origini e scopi ben precisi.

Lasciamo stare che l’esposizione sociale ossessiva, la vetrinizzazione, crea disagi alla psiche e alle relazioni sociali. Infatti “Il bisogno di apparire può alimentare forme di narcisismo digitale, ma anche ansie legate all’autostima. Cosa accade quando nessuno guarda, quando un contenuto “non funziona”? L’identità rischia di diventare fragile, appesa al giudizio altrui, condizionata da standard estetici e sociali non sempre raggiungibili” (https://sociologicamente.it/la-vetrinizzazione-sociale-lidentita-nellera-dellesposizione/)

Prendiamo, invece, questa straripante moda che è l’allenamento della forza. Ipotizziamo che Tizio, accanto al bisogno di sicurezza personale e riconoscimento sociale, al bisogno di mostrarsi secondo i canoni modaioli imposti, alleni la forza muscolare per il desiderio di mantenersi in salute anche negli anni a venire e per aumentare le sue prestazioni in questo o quell’altro sport.

Davvero l’allenamento spasmodico e focalizzato sulla forza è un allenamento efficace ed efficiente?

L’autentico quesito non è quanta forza hai, ma quanta ne riesci ad impiegare nella gestualità che ti interessa.

Essere forti nei muscoli non è sufficiente. Occorre essere fluidi, aggraziati, precisi, stabili e reattivi (1). Perché il corpo non è fatto di soli muscoli, ma di una rete interconnessa di tendini e fascia ed organi, di emozioni (che sono emos – azioni).

by Gian Galang
Credi che il motore Ducati ‘Desmosedici Stradale, V4 a 90°’ montato su un telaio di un ‘cinquantino’, con la ciclistica di un ‘cinquantino’ e guidato da un neo patentato dia grandi prestazioni?

Avere potenza non basta. Serve sapere dove e come applicarla. La forza che si costruisce in palestra, tra pesi e macchine, deve diventare movimento efficiente in azione. Se in azione la gestualità è impacciata, appesantita da movimenti parassiti, imprecisa, allora quella forza è solo un potenziale inespresso, allora quella forza va ricondotta ad un modo di espressione che realmente migliori le tue prestazioni.

Se davvero tu volessi migliorare le tue prestazioni sportive

(e la tua salute) dovresti immediatamente chiederti:

  • La forza muscolare che costruisco in palestra mi rende davvero più efficace nella gestualità quotidiana e sportiva?
  • Sto costruendo forza o prestazione?


Se qualche dubbio ti si fosse insinuato, allora è arrivato il tempo di accostarsi ad un approccio olistico, integrato, del tuo allenamento.

Un atleta efficace ed efficiente integra forza, mobilità, coordinazione, respirazione e l’allenamento deve sempre rispettare ed affrontare questa complessità.

Allenarsi non è solo e tanto costruire muscoli più grossi, muscoli più forti, è invece costruire un sistema capace di immettere energia nei gesti desiderati, nelle azioni semplici e complesse del quotidiano come dell’attività sportiva scelta. Ottimizzare la prestazione è allenare ed amalgamare tra di loro le diverse componenti del sé – corpo. Più che quanto sollevi in panca, conta quanto sai muoverti ed agire con prontezza e fluidità.

by R. Delaunay
Allora, dedica tempo ed attenzione ad un allenamento neuro – motorio più che alla meccanica delle ripetizioni; fa sì che il sistema nervoso aderisca immediatamente al contesto, magari cogliendo anticipatamente le ‘domande’ che questi gli pone così da rispondere prontamente; eccita diversi stimoli sensoriali contestualizzati: Sei un sé – corpo complesso, non una macchina!!

 

“La mente è come il vento e il corpo come la sabbia:

se vuoi sapere come soffia il vento puoi guardare la sabbia”

(B. Bainbridge Cohen)

 

 

1.  https://tiziano-cinquepassineldestino.blogspot.com/2025/06/le-tre-qualita-che-fondano-una-buona.html

 


domenica 13 luglio 2025

Il mio pensiero di Luglio 2025


L’energia non va in vacanza, il tuo Taiki Ken nemmeno!

L'energia non va in vacanza… e nemmeno la tua  crescita! L'estate è il momento perfetto per continuare a coltivare la forza interiore, affinare i movimenti e mantenere viva la connessione con il Taiki Ken. Che tu sia in spiaggia, in montagna o in città, ogni luogo può diventare un Dojo. La pratica appassionata e costante porta equilibrio, potenza e consapevolezza: Non lasciare che la pausa estiva sia una pausa per il tuo spirito guerriero!

Beh, almeno per chi, tra di voi, lo “spirito guerriero” lo coltiva.

Ciò che è “cattivo”, inteso come negativamente originatore di disarmonia e malessere, è ciò che è “inattivo”, statico, che si pretende immobile. Praticare Kenpo Taiki Ken, praticare Spirito Ribelle, significa rimettere in moto le energie fisicoemotive di contro a fuggirle o bloccarle o ritenerle inarrestabili o comunque sedarle con metodi coercitivi fino all’uso di sostanze (alcool, fumo, droghe), farmaci o atteggiamenti ossessivo compulsivi ed alienanti (scrollare insistentemente il cellulare, stordirsi di immagini del televisore, fantasticare di fughe dalla realtà).

Se una Verità esistesse davvero, essa risiedereb nel corpo, il corpo Leib, abitato, esperito, e non Korper, il corpo – cosa, oggetto, manipolato nel fitness dei protocolli, umiliato nei corsi di gruppo, stordito nelle pratiche corporee cicliche, ripetitive.

Se una Verità esistesse davvero, essa risiederebbe nel corpo, che comunque cresce, cambia, matura, invecchia e che, se sopravvive, sviluppa grazie all’unità fisicoemotiva strategie di sopravvivenza e supplenza viste e svalutate come deformazioni e non già come informazioni sul solitario tentativo di trasformazione che, nonostante l’imbecillità culturale dominante, l’evoluzione sempre pre – vede.

“Il valore di un uomo si misura dalle poche cose che crea, non dai molti beni che accumula”

(Gibran Kahlil Gibran)

 

 

 

 

venerdì 11 luglio 2025

Sincronie: Quando il ritmo diventa movimento


Con Paolo, ex allievo con cui è nata e si è mantenuta negli anni una amicizia forte e solida. Con Paolo in un campo di tiro, tra alberi e verde, è lui che affina il mio ancora maldestro modo di sparare.

Mi suggerisce l’uso del metronomo: Cadenza regolare nel premere il grilletto, attenzione totale all’essenziale del breve gesto; quello che nella pratica marziale è yoshi, ovvero cadenza e ritmo.

Passano i giorni e mi sovviene l’idea di usare il metronomo anche nella mia pratica marziale e, una volta verificatane l’utilità, proporlo anche al gruppo di allievi.

Il Ritmo è linguaggio universale

Il ritmo è elemento trasversale tra musica e movimento, come tale presente in tutte le culture sin dagli albori dell’umanità.

Mi vengono alla mente studi e pratiche marziali che sperimentai nei primi anni ’80 sollecitato dagli scambi con Attilio Zanchi, giovane bassista del gruppo Yu Kung e con Tinin Mantegazza, artista, scenografo, autore televisivo e fondatore della compagnia ‘Il Teatro del Buratto’; la lettura di alcune riflessioni sul rapporto tra ritmo, musica e gestualità che faceva il M° Plée, l’uomo a cui si deve l’ingresso in Europa e la sua diffusione del Karate: Furono i miei primi tentativi di abbinare ritmo percepito dall’orecchio e ritmo carnale, di corpo, inserendoli nella pratica con gli allievi. Anni dopo, a Roma, la scoperta dell’Expression Primitive, laddove questo binomio sostiene tutta la costruzione del movimento nello spazio (1) e via via fino alla pratica odierna del Laban Movement Analysis, probabilmente l’impianto teorico e la pratica più completi in questa lettura ritmo / gestualità.

 

Il corpo che ascolta: Percezione e Neuroscienze

 

Il nostro cervello, sollecitato dal ritmo musicale, lo trasforma in impulso motorio.


Sin dal nostro essere feto, il ritmo che ci arriva dai rumori e movimenti materni influenza la nostra crescita: Si chiama ‘risonanza motoria’.

La ripercorriamo, scegliendo più o meno consapevolmente come interpretarla, col crescere dell’età, quando camminare, mangiare, saltellare ecc. si esprimono con un determinato ritmo e, a sua volta, questo ritmo plasma il ‘come’ camminiamo, mangiamo, saltiamo.

Il nostro essere corpo ha ritmi e suoni propri che variano con le emozioni che viviamo, variano con il ‘cosa’ e il ‘come’ agiamo, influenzandosi a vicenda.

E’ ormai risaputo che i canti gregoriani sono volutamente costruiti per risuonare con un cuore che abbia 60 btm, che è il ritmo di un cuore a riposo, inducendo così rilassamento e disponibilità alla meditazione (https://www.tomatisfirenze.it/metodo-tomatis-canti-gregoriani/); la techno music lavora sui 120 battiti al minuto, ovvero un cuore sotto sforzo. Marce militari usano un tempo musicale che cavalca emozioni di potenza, mentre l’uso di accordi minori in successione evoca stati di melanconia, non a caso il blues, una musica che ha origini tristi e melanconiche perché nata dalla sofferenza degli schiavi – lavoratori africani nei campi di cotone, usa una scala minore, anche su accordi maggiori, per mostrare un suono più scuro e infelice.

Oggi sappiamo quel che le popolazioni antiche avevano già intuito: La musica attiva il sistema limbico, responsabile dell’elaborazione delle emozioni. Le variazioni di tempo e dinamica agiscono su aree come l’amigdala e la corteccia prefrontale.


Insomma: Tutto comincia con un impulso. Prima ancora della melodia, prima ancora del passo, c’è un ritmo che nasce dentro. E ci muove, cosicché il movimento non è un’imitazione, una copia del suono, ma la sua eco vivente.

Da anni ho inserito la musica nei momenti di formazione, prima ZNKR ora Spirito Ribelle. Musica sia prodotta da ‘macchine’ che suonata dal vivo da noi praticanti, utilizzando strumenti come tamburello e tamburi vari, ma anche gli strumenti messi a disposizione dallo spazio in cui siamo: il pestare dei piedi sul terreno, il battere delle mani, fino all’uso del suono vocale; tuttavia, quest’ultimo apre un altro enorme orizzonte di pratica e sapere di cui scriverò in una prossima occasione.

Si suole dire "Il suono esce da una cassa. Il corpo non pensa: Risponde." E risponde accordandosi spontaneamente al ‘cosa’ gli arriva e soprattutto al ‘come’ interpreta quel che gli arriva. Potemmo spingerci ad affermare che la pelle (il primo organo di udito nel grembo materno, ancor prima delle orecchie) funge da partitura.

E qui entriamo in un terreno che è proprio della Danzaterapia. Personalmente, ritengo la pratica marziale, quando fatta con capacità formativa del docente ed autentico spirito di crescita (Budo) del gruppo, una esperienza eccezionale di esplorazione e trasformazione personale e di gruppo: Realistico percorso di individuazione quanto e sicuramente più di tante terapie a prevalenza verbale come di terapie corporee frikkettone e modaiole. Ma di questo ho già scritto più volte!!


Forte di queste mie precedenti esperienze, corroborate negli anni da pratiche motorie che fanno di musica e ritmo fondamenta essenziali (Danzaterapia Espressivo Relazionale e Laban Movement Analysis), ora non mi resta che sperimentare l’uso del metronomo nelle sue variabili per arricchire ulteriormente il mio percorso di crescita Bujutsu e Budo e poi metterlo a disposizione dei praticanti Spirito Ribelle.

In fin dei conti, come la luna ha il potere di alzare ed abbassare il livello del mare, così il corpo che sappia lasciarsi andare, cedere alle voci dell’ambiente, dialogherà incantato, cavalcando i flussi di energia e potenza a seconda del ritmo.

Anche questa è autentica e potente pratica marziale!!

PS) Grazie Paolo!!

 

1. http://web.mclink.it/MC9889/pdf/express.pdf

 



lunedì 7 luglio 2025

Ritsuzen in Garfagnana

 Sono i monti della Garfagnana, il minuscolo lago di Vagli, un agglomerato di case in pietra e sassi, ad accogliere me, Monica e la fida Kalì per una settimana di stacco dalla metropoli.


Misterioso il lago, che nasconde sotto le acque il borgo Fabbriche di Careggine, intatto (1). Intensa e impenetrabile la distesa di verde che ci guarda dall’alto.

Adiacente la casetta che ci ospita, spalle al lago, pratico Kenpo Taiki Ken, che è anche Tai Chi Chuan e Pa Kwa, come vuole il ‘modo’ Spirito Ribelle.

Mi soffermo più a lungo su Ritsuzen.

No, non per aumentare il tempo di pratica statica, né per lavorare isometricamente i muscoli: Sono, per me, obiettivi di ben scarso interesse.

Pongo, invece, l’attenzione sul tessuto fasciale.





La fascia

Essa è vero e proprio ‘organo’ in grado di influenzare tanto la nostra salute quanto efficacia ed efficienza motoria, gestuale.

Mantenerla idratata ed elastica è parte integrante della formazione Spirito Ribelle, anche perché la fascia partecipa attivamente a sostenere la forza nei nostri gesti accanto al binomio muscoli e tendini.

Come ho imparato nel lavoro di Body Mind Centering (grazie Eleonora, docente impareggiabile!!), esplorare i tessuti fasciali consente di comprendere il legame mente / movimento.

Inoltre, la pratica di contatto propria delle Arti Marziali funge da canale di comunicazione per accedere a strati profondi del corpo e della coscienza.

Come può Ritsuzen essere questo?

Ecco alcune semplici (ho scritto ‘semplici’, non facili!!) passaggi:

  • Inizia portando l’attenzione a discernere tra impalcatura scheletrica, muscoli, organi interni e, seppur indistintamente, quel generico impasto che li avvolge, notando come cambia la sensazione di te - corpo. Questo stimola una consapevolezza incarnata, non solo teorica.
  • Entra in risonanza, attraverso il tatto, con la materia esterna che avvolge il te – corpo: L’aria sulla pelle nuda e le sue variazioni (temperatura, intensità ecc.); la stoffa dei vestiti là dove il corpo è coperto cogliendo la differenza tra i diversi tessuti e le loro specificità (peso, consistenza ecc.) aprendoti ad un ascolto sottile, lasciando che sia il corpo a condurre, esplorando la capacità di accogliere le sensazioni eludendo, per quanto possibile, ogni percezione (2). Questo approccio non direttivo stimola il rilascio e l’integrazione spontanea.
  • Usa l’immaginazione, la reverie (vedi il mio https://tiziano-cinquepassineldestino.blogspot.com/2025/06/corpo-e-immaginazione-le-pratiche.html ) per facilitare l’accesso ai diversi sistemi corporei. Ad esempio: “Permetti al tuo respirare di diffondersi come una nebbia sottile nella fascia”; “Ascolta il peso dei tuoi gomiti affondare dolcemente in una nuvola di bambagia”. Questo eccita l’immaginario e apre nuove facoltà di micro movimenti nella apparente fissità di Ritsuzen.
  • Porta il tuo essere consapevole al centro del corpo (psoas, diaframma). Da lì, lascia che ogni micro movimento spontaneo si propaghi per il corpo tutto. Ora sperimenta come è lasciarti muovere appena appena spinto dalla tua fascia: Lento, continuo, come onda e / o spirale, oppure a brevi scarti, brevi sussulti. Accogli tutto quello che ti arriva.

Interessante, poi, è sperimentare movimenti primitivi (3) come ondeggiare, pestare i piedi, scuotere le mani. Ma questo è andare oltre la rigorosa pratica di Ritsuzen.


Oltre la fascia

Guardando l’immagine che campeggia qui nel post di me in Ritsuzen, si nota la posizione dei piedi, con i talloni lievemente extra – ruotati rispetto alle punte. Sto cercando un ritorno all’animalità, laddove questa postura richiama quella scimmiesca, il selvatico dei nostri antenati, con ciò aiutando l’immersione in uno stato ‘spontaneo’, nel cervello primordiale, liberando la parte istintuale repressa alla ricerca di un connubio che non sia castrante con la parte ‘educata’, ‘civilizzata’ (4).

Non si notano, invece ed ovviamente (!!) mille altre particolarità, come l‘attenzione posta alle dita delle mani, il lavoro continuo dei muscoli dei piedi, il contatto con gli elementi della Natura e tanto altro ancora. Tutto quello che è bagaglio proprio dello Spirito Ribelle e del nostro unico ed inconfondibile modo di praticare Arti Marziali. Perché Spirito Ribelle è

Uguali a nessuno

 

 

1. https://www.idealista.it/news/vacanze/mete-turistiche/2024/10/08/183517-il-borgo-fantasma-che-vuole-riemergere-cosa-c-e-sotto-il-lago-di-vagli#:~:text=Lago%20di%20Vagli-,La%20storia%20del%20villaggio%20di%20Fabbriche%20di%20Careggine,vita%20prima%20della%20modernizzazione%20industriale.

2. ‘Sensazione’ è accogliere uno stimolo fisico da parte dei nostri sensi, mentre ‘percezione’ è interpretare queste sensazioni, dunque dare loro un significato. In pratica, la sensazione è ricevere un'informazione, mentre la percezione è il comprendere (secondo i nostri canoni) cosa significa quell'informazione.

3https://www.manuelcastro.it/danzaterapia-expression-primitive/

4. Questa postura ricorda quella abituale del Wing Chun. Purtroppo, nel Wing Chun essa è estremizzata e cristallizzata, il che, unitamente alla non consapevolezza dei suoi risvolti tra filogenesi ed ontogenesi, la depaupera di ogni significato e di ogni possibilità di crescita del praticante.

 

 









 

venerdì 4 luglio 2025

Più lento, più profondo: Il potere della quiete nel gesto.

 ...solo quando rallentiamo possiamo ascoltare quella voce interiore che ci orienta verso ciò che conta davvero...

...la lentezza ci espone al vuoto, all'assenza di distrazioni...

... la lentezza invita a riconciliarci con la nostra interiorità...

Questi sono pensieri dell’antico e venerabile Maestro...NO!! Sto scherzando.

Sono alcune frasi enucleate dall'editoriale, a firma Elisa Giraud, che apre il numero di Giugno - Ottobre 2025 della rivista

" La chiave di SOPHIA"

dedicato alla " lentezza".




Ma guarda un pò come calzano perfettamente alla pratica autentica, Tradizionale, delle Arti Neijia Kung Fu / Naido come il Tai Chi Chuan, il Pa Kwa, il Taiki Ken!!

Scoprii " La chiave di SOPHIA" diversi anni or sono, trovando, in un numero dedicato al ‘corpo’, una serie di riflessioni che contribuirono a completare l'impalcatura teorica della pratica corporea e marziale che esploravo da tempo.

Fedele al motto ‘prassi - teoria - prassi, la lettura fu attrezzo utile per costruire un completo sapere organico originato dal ‘ fare’ e che su quel fare avrebbe poi riversato intuizioni e riflessioni feconde per esplorare ulteriormente corpo e movimento. 

Un sapere ‘organico’ ancora oggi del tutto ignoto al panorama marziale contemporaneo (come pure al mondo del fitness escludendo le poche correnti del ‘movimento generalista’), goffamente fermo ad unire corpo e mente, dunque ignorante dell'essere questi un tutt'uno, la cui sfida è, invece, il rapporto corpo e mondo.

Il numero dedicato alla ‘lentezza’ offre la possibilità di costruire una solida teoria che affianchi e permei la pratica dell'immobilità e dei movimenti lenti propri delle Arti Neijia Kung Fu / Naido.

Più che le affermazioni dei testi taoisti, più che le riflessioni dei Maestri di quelle Arti, espresse in modi che a noi ‘occidentali del terzo millennio’ appaiono ostiche, quando non oscure fino all' incomprensibile (1), paiono giovare le parole di Luciano Mainardi, Paolo Pileri, Beatrice Cristalli e tutto il gruppo di pensatori contemporanei che a quel numero hanno contribuito.

Ci risuonano certamente empatiche e in grado di sollecitare le nostre personali riflessioni.

A meno che non si voglia fingere una comprensione sincera e consapevole a pensieri originati in culture lontanissime da noi per tempo e contenuti, espresse in forme volutamente oscure e con l'uso abbondante di espressioni immaginifiche che non abitano la cultura del mondo occidentale. (2)

Personalmente, da anni non sono più attraversato dall'ansia di capire tutto sempre e comunque. Accetto ben volentieri, di fronte a queste espressioni culturalmente così estranee, di percepirne il senso approssimativo, riservandomi spazio e tempo che verrà, se mai verrà, per incontrarle sul piano della fantasticheria e dell'intuizione (3): Nessuna adesione supina e fideistica come nessuna ansia di comprensione intellettuale forzata e forzosa.

Invece, coltivo il piacere di scoprire teorizzazioni e riflessioni che provengono da una cultura e maneggiano un linguaggio di cui io sono figlio, che io stesso abito.

Ecco, il numero di La chiave di SOPHIA’ titolato " A passo lento" può essere una ghiotta occasione per confrontarsi e crescere sollecitato da chi, come me, come noi, è un ‘occidentale del terzo millennio’, e, come tale, più facilmente comprensibile.

Possibili tracce di apprendimento dell'autenticità e della forza di un atteggiamento ‘lento’. Condivisione di una solida impalcatura teorica della ‘lentezza’ che affianchi la pratica fisica, carnale.

Per marzialisti e cultori del movimento curiosi, entusiasti ed appassionati.

 

1. “Le uova hanno piume.

Il gallo ha tre piedi.

Il cavallo depone uova

(Chiang Tzu)

2. A questo mi piace aggiungere un’esperienza vissuta su pagine ‘social’ dedicate alle Arti Marziali: Ogni volta che un praticante o Maestro riportava una qualche frase roboante del tal saggio o del tal antico Maestro sul potere di queste di portare l’allievo alla saggezza, alla pace interiore ecc. mi permettevo di chiedere in che modo, il ‘come’ un gesto fisico potesse far approdare a tanto. Mai avuta nessuna risposta. Restavano bellissime frasi, intense massime, di fatto avulse dal contesto, dalla pratica fisica, dalla realtà, piuttosto simili a quei bigliettini che accompagnano il gusto di cioccolato di un ‘bacio Perugina’ e regalano un momento di sogno a qualche impacciato adolescente. Disarmante nella sua vacuità il silenzio di nessuna risposta, nessuna teorizzazione pedagogica / androgica, nessuna proposta didattica.

3. “E se qualcuno, come qui, dice qualcosa che non capiamo, tanto meglio: forse lo sogneremo, o forse ci ritorneremo su” (D. Gaita ‘Il TAO della psicoanalisi’).