L’energia non va in vacanza, il tuo Taiki Ken
nemmeno!
L'energia
non va in vacanza… e nemmeno la tua crescita! L'estate è il momento perfetto per continuare a
coltivare la forza interiore, affinare i movimenti e mantenere viva la
connessione con il Taiki Ken. Che tu sia in spiaggia, in montagna
o in città, ogni luogo può diventare un Dojo. La pratica
appassionata e costante porta equilibrio, potenza e consapevolezza: Non
lasciare che la pausa estiva sia una pausa per il tuo spirito guerriero!
Beh, almeno per chi, tra di voi, lo “spirito guerriero”
lo coltiva.
Ciò che è “cattivo”,
inteso come negativamente originatore di disarmonia e malessere, è ciò che è
“inattivo”, statico, che si pretende immobile. Praticare Kenpo Taiki Ken,
praticare Spirito Ribelle, significa rimettere in moto le energie
fisicoemotive di contro a fuggirle o bloccarle o ritenerle inarrestabili o
comunque sedarle con metodi coercitivi fino all’uso di sostanze (alcool, fumo,
droghe), farmaci o atteggiamenti ossessivo compulsivi ed alienanti (scrollare
insistentemente il cellulare, stordirsi di immagini del televisore,
fantasticare di fughe dalla realtà).
Se una Verità esistesse
davvero, essa risiedereb nel corpo, il corpo Leib, abitato,
esperito, e non Korper, il corpo – cosa, oggetto, manipolato nel
fitness dei protocolli, umiliato nei corsi di gruppo, stordito nelle pratiche
corporee cicliche, ripetitive.
Se una Verità esistesse
davvero, essa risiederebbe nel corpo, che comunque cresce, cambia, matura,
invecchia e che, se sopravvive, sviluppa grazie all’unità fisicoemotiva
strategie di sopravvivenza e supplenza viste e svalutate come deformazioni e
non già come informazioni sul solitario tentativo di trasformazione che,
nonostante l’imbecillità culturale dominante, l’evoluzione sempre pre – vede.
“Il valore di un uomo si misura dalle poche cose
che crea, non dai molti beni che accumula”
Con
Paolo, ex allievo con cui è nata e si è mantenuta negli anni una amicizia forte
e solida. Con Paolo in un campo di tiro, tra alberi e verde, è lui che affina
il mio ancora maldestro modo di sparare.
Mi suggerisce l’uso del metronomo: Cadenza regolare nel
premere il grilletto, attenzione totale all’essenziale del breve gesto; quello
che nella pratica marziale è yoshi, ovvero cadenza e ritmo.
Passano i giorni e mi sovviene l’idea di usare il metronomo
anche nella mia pratica marziale e, una volta verificatane l’utilità, proporlo
anche al gruppo di allievi.
Il
Ritmo è linguaggio universale
Il ritmo è elemento trasversale
tra musica e movimento, come tale presente in tutte le culture sin dagli albori
dell’umanità.
Mi vengono alla mente studi e pratiche marziali che
sperimentai nei primi anni ’80 sollecitato dagli scambi con Attilio Zanchi,
giovane bassista del gruppo Yu Kung e con Tinin Mantegazza, artista,
scenografo, autore televisivo e fondatore della compagnia ‘Il Teatro del
Buratto’; la lettura di alcune riflessioni sul rapporto tra ritmo, musica e
gestualità che faceva il M° Plée, l’uomo a cui si deve l’ingresso in Europa e
la sua diffusione del Karate: Furono i miei primi tentativi di abbinare ritmo
percepito dall’orecchio e ritmo carnale, di corpo, inserendoli nella pratica
con gli allievi. Anni dopo, a Roma, la scoperta dell’Expression
Primitive, laddove questo binomio sostiene tutta la costruzione del
movimento nello spazio (1) e via via fino alla pratica odierna del Laban
Movement Analysis, probabilmente l’impianto teorico e la pratica più
completi in questa lettura ritmo / gestualità.
Il corpo
che ascolta: Percezione e Neuroscienze
Il nostro cervello, sollecitato
dal ritmo musicale, lo trasforma in impulso motorio.
Sin dal nostro essere feto, il ritmo che ci arriva dai
rumori e movimenti materni influenza la nostra crescita: Si chiama ‘risonanza
motoria’.
La ripercorriamo, scegliendo più o meno consapevolmente
come interpretarla, col crescere dell’età, quando camminare, mangiare,
saltellare ecc. si esprimono con un determinato ritmo e, a sua volta, questo
ritmo plasma il ‘come’ camminiamo, mangiamo, saltiamo.
Il nostro essere corpo ha ritmi e suoni propri che variano
con le emozioni che viviamo, variano con il ‘cosa’ e il ‘come’ agiamo,
influenzandosi a vicenda.
E’ ormai risaputo che i canti gregoriani sono volutamente costruiti
per risuonare con un cuore che abbia 60 btm, che è il ritmo di un cuore a
riposo, inducendo così rilassamento e disponibilità alla meditazione (https://www.tomatisfirenze.it/metodo-tomatis-canti-gregoriani/);
la techno music lavora sui 120 battiti al minuto, ovvero un cuore sotto sforzo.
Marce militari usano un tempo musicale che cavalca emozioni di potenza, mentre
l’uso di accordi minori in successione evoca stati di melanconia, non a caso il
blues, una musica che ha origini tristi e melanconiche perché nata dalla
sofferenza degli schiavi – lavoratori africani nei campi di cotone, usa una
scala minore, anche su accordi maggiori, per mostrare un suono più scuro e infelice.
Oggi sappiamo quel che le popolazioni antiche avevano già
intuito: La musica attiva il sistema limbico, responsabile dell’elaborazione
delle emozioni. Le variazioni di tempo e dinamica agiscono su aree come
l’amigdala e la corteccia prefrontale.
Insomma: Tutto
comincia con un impulso. Prima ancora della melodia, prima ancora del passo,
c’è un ritmo che nasce dentro. E ci muove, cosicché il movimento non è
un’imitazione, una copia del suono, ma la sua eco vivente.
Da anni ho inserito la musica nei momenti di formazione, prima
ZNKR ora Spirito Ribelle. Musica sia prodotta da ‘macchine’ che suonata dal
vivo da noi praticanti, utilizzando strumenti come tamburello e tamburi vari,
ma anche gli strumenti messi a disposizione dallo spazio in cui siamo: il
pestare dei piedi sul terreno, il battere delle mani, fino all’uso del suono
vocale; tuttavia, quest’ultimo apre un altro enorme orizzonte di pratica e
sapere di cui scriverò in una prossima occasione.
Si suole dire "Il suono
esce da una cassa. Il corpo non pensa: Risponde." E risponde
accordandosi spontaneamente al ‘cosa’ gli arriva e soprattutto al ‘come’
interpreta quel che gli arriva. Potemmo spingerci ad affermare che la pelle (il
primo organo di udito nel grembo materno, ancor prima delle orecchie) funge da
partitura.
E qui entriamo in un terreno che è proprio della Danzaterapia.
Personalmente, ritengo la pratica marziale, quando fatta con capacità
formativa del docente ed autentico spirito di crescita (Budo) del gruppo,
una esperienza eccezionale di esplorazione e trasformazione personale e di
gruppo: Realistico percorso di individuazione quanto e sicuramente più di tante
terapie a prevalenza verbale come di terapie corporee frikkettone e modaiole. Ma
di questo ho già scritto più volte!!
Forte di queste mie precedenti esperienze, corroborate
negli anni da pratiche motorie che fanno di musica e ritmo fondamenta
essenziali (Danzaterapia Espressivo Relazionale e Laban Movement
Analysis), ora non mi resta che sperimentare l’uso del metronomo nelle sue
variabili per arricchire ulteriormente il mio percorso di crescita Bujutsu
e Budo e poi metterlo a disposizione dei praticanti Spirito
Ribelle.
In fin dei conti, come la luna ha il potere di alzare ed
abbassare il livello del mare, così il corpo che sappia lasciarsi andare,
cedere alle voci dell’ambiente, dialogherà incantato, cavalcando i flussi di
energia e potenza a seconda del ritmo.
Anche questa è autentica e potente pratica marziale!!
Sono i monti della Garfagnana, il minuscolo lago di
Vagli, un agglomerato di case in pietra e sassi, ad accogliere me, Monica e la
fida Kalì per una settimana di stacco dalla metropoli.
Misterioso il lago, che nasconde sotto le acque il borgoFabbriche
di Careggine, intatto (1). Intensa e impenetrabile la distesa di
verde che ci guarda dall’alto.
Adiacente la casetta che ci ospita, spalle al
lago, praticoKenpo Taiki Ken, che è ancheTai Chi ChuanePa Kwa,
come vuole il ‘modo’ Spirito Ribelle.
Mi soffermo più a lungo su Ritsuzen.
No, non per aumentare il tempo di pratica statica, né per
lavorare isometricamente i muscoli: Sono, per me, obiettivi di ben scarso
interesse.
Pongo, invece, l’attenzione sul tessuto fasciale.
La
fascia
Essa è vero e proprio ‘organo’
in grado di influenzare tanto la nostra salute quanto efficacia ed efficienza
motoria, gestuale.
Mantenerla idratata ed elastica è parte integrante della
formazione Spirito Ribelle, anche perché la fascia partecipa attivamente
a sostenere la forza nei nostri gesti accanto al binomio muscoli e tendini.
Come ho imparato nel lavoro di Body Mind Centering
(grazie Eleonora, docente impareggiabile!!), esplorare i tessuti fasciali
consente di comprendere il legame mente / movimento.
Inoltre, la pratica di contatto propria delle Arti Marziali
funge da canale di comunicazione per accedere a strati profondi del corpo e
della coscienza.
Come
può Ritsuzen essere questo?
Ecco alcune semplici (ho scritto ‘semplici’, non facili!!)
passaggi:
Inizia portando l’attenzione a discernere tra impalcatura
scheletrica, muscoli, organi interni e, seppur indistintamente, quel generico
impasto che li avvolge, notando come cambia la sensazione di te - corpo. Questo
stimola una consapevolezza incarnata, non solo teorica.
Entra in risonanza, attraverso il tatto, con la materia
esterna che avvolge il te – corpo: L’aria sulla pelle nuda e le sue variazioni
(temperatura, intensità ecc.); la stoffa dei vestiti là dove il corpo è coperto
cogliendo la differenza tra i diversi tessuti e le loro specificità (peso,
consistenza ecc.) aprendoti ad un ascolto sottile, lasciando che sia il corpo a
condurre, esplorando la capacità di accogliere le sensazioni eludendo, per
quanto possibile, ogni percezione (2). Questo approccio non direttivo stimola
il rilascio e l’integrazione spontanea.
Usa l’immaginazione, la reverie (vedi il mio https://tiziano-cinquepassineldestino.blogspot.com/2025/06/corpo-e-immaginazione-le-pratiche.html
) per facilitare l’accesso ai diversi sistemi corporei. Ad esempio: “Permetti
al tuo respirare di diffondersi come una nebbia sottile nella fascia”; “Ascolta
il peso dei tuoi gomiti affondare dolcemente in una nuvola di bambagia”.
Questo eccita l’immaginario e apre nuove facoltà di micro movimenti nella
apparente fissità di Ritsuzen.
Porta il tuo essere consapevole al centro del corpo (psoas,
diaframma). Da lì, lascia che ogni micro movimento spontaneo si propaghi per il
corpo tutto. Ora sperimenta come è lasciarti muovere appena appena spinto dalla
tua fascia: Lento, continuo, come onda e / o spirale, oppure a brevi scarti,
brevi sussulti. Accogli tutto quello che ti arriva.
Interessante, poi, è sperimentare movimenti primitivi (3)
come ondeggiare, pestare i piedi, scuotere le mani. Ma questo è andare oltre la
rigorosa pratica di Ritsuzen.
Oltre
la fascia
Guardando l’immagine che
campeggia qui nel post di me in Ritsuzen, si nota la posizione
dei piedi, con i talloni lievemente extra – ruotati rispetto alle punte. Sto
cercando un ritorno all’animalità, laddove questa postura richiama quella
scimmiesca, il selvatico dei nostri antenati, con ciò aiutando l’immersione in
uno stato ‘spontaneo’, nel cervello primordiale, liberando la parte istintuale
repressa alla ricerca di un connubio che non sia castrante con la parte
‘educata’, ‘civilizzata’ (4).
Non si notano, invece ed ovviamente (!!) mille altre
particolarità, come l‘attenzione posta alle dita delle mani, il lavoro continuo
dei muscoli dei piedi, il contatto con gli elementi della Natura e tanto altro
ancora. Tutto quello che è bagaglio proprio dello Spirito Ribelle e del
nostro unico ed inconfondibile modo di praticare Arti Marziali. Perché Spirito
Ribelleè
2. ‘Sensazione’ è accogliere uno stimolo fisico da parte dei
nostri sensi, mentre ‘percezione’ è interpretare queste sensazioni, dunque dare
loro un significato. In pratica, la sensazione è ricevere un'informazione,
mentre la percezione è il comprendere (secondo i nostri canoni) cosa significa
quell'informazione.
4. Questa postura ricorda quella abituale del Wing Chun.
Purtroppo, nel Wing Chun essa è estremizzata e cristallizzata, il
che, unitamente alla non consapevolezza dei suoi risvolti tra filogenesi ed
ontogenesi, la depaupera di ogni significato e di ogni possibilità di crescita
del praticante.
...solo quando rallentiamo possiamo ascoltare
quella voce interiore che ci orienta verso ciò che conta davvero...
...la lentezza ci espone al vuoto, all'assenza di
distrazioni...
... la lentezza invita a riconciliarci con la
nostra interiorità...
Questi sono pensieri dell’antico e venerabile
Maestro...NO!!Sto scherzando.
Sono alcune frasi enucleate dall'editoriale, a
firma Elisa Giraud, che apre il numero di Giugno - Ottobre 2025 della rivista
" La chiave di SOPHIA"
dedicato alla " lentezza".
Ma guarda un pò come calzano perfettamente alla
pratica autentica, Tradizionale, delle Arti Neijia Kung Fu / Naido
come il Tai Chi Chuan, il Pa Kwa, il Taiki
Ken!!
Scoprii " La chiave di SOPHIA" diversi
anni or sono, trovando, in un numero dedicato al ‘corpo’, una serie di
riflessioni che contribuirono a completare l'impalcatura teorica della pratica
corporea e marziale che esploravo da tempo.
Fedele al motto ‘prassi - teoria - prassi,
la lettura fu attrezzo utile per costruire un completo sapere organico
originato dal ‘ fare’ e che su quel fare avrebbe poi riversato intuizioni e
riflessioni feconde per esplorare ulteriormente corpo e movimento.
Un sapere ‘organico’ ancora oggi del tutto ignoto
al panorama marziale contemporaneo (come pure al mondo del fitness escludendo
le poche correnti del ‘movimento generalista’), goffamente fermo ad unire corpo
e mente, dunque ignorante dell'essere questi un tutt'uno, la cui sfida è,
invece, il rapporto corpo e mondo.
Il numero dedicato alla ‘lentezza’
offre la possibilità di costruire una solida teoria che affianchi e permei lapratica
dell'immobilità e dei movimenti lentipropri delle Arti Neijia Kung Fu /
Naido.
Più che le affermazioni dei testi taoisti, più che
le riflessioni dei Maestri di quelle Arti, espresse in modi che a noi
‘occidentali del terzo millennio’ appaiono ostiche, quando non oscure fino all'
incomprensibile (1), paiono giovare le parole di Luciano Mainardi, Paolo
Pileri, Beatrice Cristalli e tutto il gruppo di pensatori contemporanei che a
quel numero hanno contribuito.
Ci risuonano certamente empatiche e in grado di
sollecitare le nostre personali riflessioni.
A meno che non si voglia fingere una comprensione
sincera e consapevole a pensieri originati in culture lontanissime da noi per
tempo e contenuti, espresse in forme volutamente oscure e con l'uso abbondante
di espressioni immaginifiche che non abitano la cultura del mondo occidentale.
(2)
Personalmente, da anni non sono più attraversato
dall'ansia di capire tutto sempre e comunque. Accetto ben volentieri, di fronte
a queste espressioni culturalmente così estranee, di percepirne il senso
approssimativo, riservandomi spazio e tempo che verrà, se mai verrà, per
incontrarle sul piano della fantasticheria e dell'intuizione (3):
Nessuna adesione supina e fideistica come nessuna ansia di comprensione
intellettuale forzata e forzosa.
Invece, coltivo il piacere di scoprire
teorizzazioni e riflessioni che provengono da una cultura e maneggiano un
linguaggio di cui io sono figlio, che io stesso abito.
Ecco, il numero di ‘La chiave di SOPHIA’
titolato " A passo lento" può essere una ghiotta occasione per
confrontarsi e crescere sollecitato da chi, come me, come noi, è un
‘occidentale del terzo millennio’, e, come tale, più facilmente comprensibile.
Possibili tracce di apprendimento dell'autenticità
e della forza di un atteggiamento ‘lento’. Condivisione di una solida
impalcatura teorica della ‘lentezza’ che affianchi la pratica fisica, carnale.
Per marzialisti e cultori del
movimento curiosi, entusiasti ed appassionati.
1. “Le uova hanno piume.
Il gallo ha tre piedi.
Il cavallo depone uova”
(Chiang
Tzu)
2. A questo
mi piace aggiungere un’esperienza vissuta su pagine ‘social’ dedicate alle Arti
Marziali: Ogni volta che un praticante o Maestro riportava una qualche frase
roboante del tal saggio o del tal antico Maestro sul potere di queste di
portare l’allievo alla saggezza, alla pace interiore ecc. mi permettevo di
chiedere in che modo, il ‘come’ un gesto fisico potesse far approdare a
tanto. Mai avuta nessuna risposta. Restavano bellissime frasi, intense
massime, di fatto avulse dal contesto, dalla pratica fisica, dalla realtà,
piuttosto simili a quei bigliettini che accompagnano il gusto di cioccolato di
un ‘bacio Perugina’ e regalano un momento di sogno a qualche impacciato
adolescente. Disarmante nella sua vacuità il silenzio di nessuna risposta,
nessuna teorizzazione pedagogica / androgica, nessuna proposta didattica.
3. “E se
qualcuno, come qui, dice qualcosa che non capiamo, tanto meglio: forse lo
sogneremo, o forse ci ritorneremo su” (D. Gaita ‘Il TAO della
psicoanalisi’).
Tre piccole insignificanti cose fondamentali da sapere
quando pratichi Arti Marziali.
La
prima,sapere cosa ti serve per uscire
di casa ed arrivare puntuale a lezione.
La
seconda, sapere ‘cosa’ stai facendo e
soprattutto ‘come’ lo stai facendo.
La
terza, sapere quando è arrivato il
momento di smettere.
Chiunque pratichi Arti Marziali sa (o dovrebbe sapere) che
la formazione (e chiamatelo pure ‘allenamento’ anche se io dissento dal
definirlo così) non inizia quando entri inDojo, ma già quando
non menti a te stesso ergendo il mal di testa a insormontabile ostacolo che ti
impedisce di uscire di casa o quando non gingilli per casa aspettando il
momento per dirti che ormai è tardi per uscire.
Tra
il frusciare accattivante della tenuta di pratica ed una percossa sferrata con
più o meno dimestichezza, ci sono piccole, apparentemente insignificanti
accortezze che fanno la differenza tra ilSensei che annuisce soddisfatto e
quel suo sguardo rammaricato che parla di tempo sprecato.
E
sì, anche quando saper smettere (che non è per forza "mollo tutto e mi
dedico al divano”) è parte integrante del percorso.
Perché,
alpunto 1, il praticante sincero ed appassionato affronta audacemente
quel primo avversario che è il dolorino alle costole mellifluo nel suggerirti “stai
a casa, curati, riposati” ed è pure in grado di organizzare gli impegni di
casa e lavoro così da salire per tempo sul bus senza lasciare che gli sfili
sotto il naso.
Perché,
alpunto 2,non basta lanciare un pugno con determinazione, gesto che
qualsiasi tamarro di strada fa, ma nessuno lo chiama artista marziale.
Perché,
alpunto 3, quando ti accorgi che l'unico gioco di gambe o di mani che
ti appassiona è "alzarsi pian piano dal divano cercando il telecomando
del televisore" forse è il momento di fermarti.
In
fondo, a torto o a ragione, riempiendosi solo la bocca o praticando davvero neimodi adattiper riuscirci, le Arti Marziali ti accompagnano a capire
educazione, rispetto e autodeterminazione.
Ma,
ammettiamolo, pure ricordarsi dove hai riposto l'asciugamano per la doccia è
già mezza via per l'illuminazione.
Fondamentale
è sapere ‘cosa’ stai facendo, ‘come’ lo stai facendo e quando è arrivato il
momento di lasciar perdere, prima che siano le rimostranze della moglie (o
marito) o il tuo annoiarti a decidere per te.
L’asd DAO -Spirito Ribelle(già ZNKR), prosegue la
sua opera di divulgazione gratuita dell’antico Sapere Taoista e del Movimento
Intuitivo nelle aree verdi di zona quattro in Milano.
Nel mese di Luglio, un docente sarà presente per
coinvolgere nella pratica chiunque voglia cimentarsi in queste affascinanti
arti del corpo in movimento.
Per conoscere in quali
giardini, con data ed orario, è sufficiente scrivere a
tsantambrogio@yahoo.it
Sarà, inoltre, possibile concordare incontri per singole
persone o piccoli gruppi dove e quando sarà loro più comodo.
Non è richiesto alcun contributo economico, alcuna quota di
partecipazione.
Quattro proposte di esercizi, di movimenti, di “danza”,
secondo gli insegnamenti del fondatore dello Yi Quan, da praticarsi da
fermi o in movimento.
Attenzione: Come
al solito,
importante
è il “cosa” si fa, ma
ancor
più importante è il “come”.
Imitarli per come si vedono non è il praticarli. Praticarli
richiede una gestualità costruita sulle onde cinetiche, le spiralie le torsioni; alcuni accorgimenti quali l’opposizione corpo / bacino
ed arti, unica in grado di costruire un corpo e delle percussioni “a molla”
ed altro ancora. Praticarli allo Spirito Ribelle.
Comunque, ecco a voi La Gru o Gru bianca; il Serpente
curioso o sorpreso; il Drago; la Grande Onda.
E per
chi volesse saperne di più sul rapporto
tra
antiche pratiche marziali e mondo moderno ….
Introduzione
Al Maestro Wang Xiang
Zhai (1885 – 1963) si deve la creazione dello Yi Quan / I Chuan.
E’ generalmente considerata arte di sintesi e radicale trasformazione di arti e
pratiche salutistiche e di combattimento secondo il Maestro cadute in disgrazia
in quanto fossilizzatesi e sclerotizzate formalmente con conseguente perdita
delle peculiarità salutistiche e combattenti. Secondo Il Maestro Tokitsu “Mi
sembra più corretto pensare che Wang Xiang Zhai abbia fondato il moderno Yi
Chuan negli anni Venti sulla base dell’antico Yi Chuan le cui radici risalgono
a più di 2500 anni fa”. (K. Tokitsu ‘Yi Chuan. Metodo energetico di Wang
Xiang Zhai’).
Dalla sua creazione, il Maestro Kenichi Sawai
(1903 – 1988) ha fatto nascere il Taiki Ken, l’arte che noi
pratichiamo qui, allo Spirito Ribelle.
1.Che
c’azzecca una pratica marziale antica con l’oggi,
con il
nostro vivere quotidiano
nel
terzo millennio?
C’azzecca eccome. A cominciare dal recupero di una
profonda pratica corporea.
Scrivo da anni di come il corpo
e la corporeità purtroppo siano letti con una concezione alienata del corpo: non
Leib, corpo vissuto, abitato, ma Korper, corpo oggetto.
Per non ripetermi e fare solo qualche esempio:
I corpi contemporanei non sanno nemmeno dove si trovano:
fisicamente stanno in un posto ma la loro consapevole presenza è altrove.
Seduti in metropolitana, inchiodati allo schermo del cellulare o a camminare
per strada l’udito totalmente avvolto da musica o podcast, non odorano, non
gustano, non odono, non sperimentano i loro sensi, potrebbe persino
camminare loro accanto un enorme unicorno rosa e nemmeno se ne accorgerebbero
e, nell’eventualità, si affretterebbero a filmarlo per postarne le immagini sui
social.
Sui social non è importante la persona, ma il suo profilo,
che è sempre materia di manipolazione. E proprio grazie ai social si può
comunicare senza mai confrontarsi di persona.
Il corpo, con la pratica diffusa dei tatuaggi, è diventato
una sorta di cartellone pubblicitario che raccoglie insulsaggini, errori e
sgorbi di ogni genere, dall’acquiescenza alle mode con gli anni del tribale sul
polpaccio alle scritte in lingue incomprensibili al soggetto (si va di
fiducia!!), dalle frasi motivazionali a versi di poesie del tutto avulse dal
contesto, dalle immagini aggressive di animali feroci tatuati sul corpo di
innocui e titubanti studenti ed impiegati ai toraci scarabocchiati a tal punto
da ricordare i banchi di scuola della nostra adolescenza. Disordinato vaniloquio
a mostrare narcisismo incontinente quale coperta di Linus di insicurezza tardo
adolescenziale?
D’altronde, una persona che di successo se ne intende, ebbe
a dire di sé e del suo essere priva di tatuaggi: “Mettereste mai un adesivo
su una Bentley?”. Quante Panda vecchie ed obsolete, Fiat Cinquecento
truccate Abarth, Opel smarmittate ridondanti di fanali circolano, mostrando
adesivi di ogni genere per nascondere (non accettare, non saper valorizzare)
quello che sono e invece apparire altro da sé!!
Ecco, riappropriarsi di una pratica corporea che si basa
sulla consapevolezza, sull’immaginazione (vedi il mio https://tiziano-cinquepassineldestino.blogspot.com/2025/06/corpo-e-immaginazione-le-pratiche.html),
sulla spontaneità dell’agire, è davvero coraggiosa e salutare pratica salvifica
contro il debosciato mondo di non – corpi che ci circonda: “ L’Occidente ha
abdicato all’esplorazione coraggiosa dell’esistenza: Il corpo esce da sé non
per entrare in altri mondi ma per sottrarsi a questo in cui si sente così
spiazzato” (W. Siti ‘C’era una volta il corpo’).
2. La
Filosofia di Wang Xiang Zhai
Il Maestro propose la sua Arte con modalità estremamente
sovversive: Dalla grande attenzione data alle posizioni statiche (che statiche
non sono), al rifiuto di gestualità codificate, alla ricerca di un
atteggiamento vigile ed attento all’ambiente, interno ed esterno, ovvero non
reagire, che è una risposta obbligata ad uno stimolo, ma capacità di
interpretare quello stimolo agendolo di conseguenza. Altro che “Pugilato
dell’Intenzione”, questo è proprio “Pugilato della spontaneità”. Altro
che ripetizioni a raffica, che sono pure un tratto ossessivo compulsivo, ma
personale ed appassionata ricerca di una propria strada corporea e motoria.
Assurge ad importanza fondamentale (Hon) la sensibilità,
l’adattabilità e la consapevolezza nel movimento che è consapevolezza di
pensiero.
3.
Applicazioni nella Vita Quotidiana
La pratica dello Yi Quan (e del Taiki
Ken), come la intendiamo qui allo Spirito Ribelle, si basa
sull'idea che il corpo sia integralmente tale, ovvero comprensivo della mente. Non
si tratta di unire mente e corpo perché sono già un’unica realtà. Noi
enfatizziamo l'importanza della percezione interna, piuttosto che della forma
esteriore.
Sosteniamo che la forza migliore non origini dalla tensione
muscolare, ma dalla capacità di armonizzare tra di loro tutti i componenti del
corpo, nessuno escluso. Dunque, ancor prima che la muscolatura superficiale,
l’attenzione e la cura è posta alla muscolatura profonda, al tessuto
miofasciale, ai tendini, alle articolazioni, fino agli organi interni e al
registro emozionale.
Questo approccio, traslato nella gestualità quotidiana,
comporta l’essere presenti in ogni azione (l’esserci nel qui ed ora), la
gestione dell’ansia, l’uso corretto del mondo emozionale, l’adesione ad uno
stile di persona che sia vitale ed erotica. Questo è davvero allenarsi (ma per
noi è “formarsi”) h 24, proprio perché la pratica corporea, fisicoemotiva
marziale, diviene consapevole pratica di vita.
Questo è un approccio olistico alla salute, dove il
movimento Yi Quan / Taiki Kendiventa
un potente mezzo per coltivare la serenità interiore e la coraggiosa presenza
nel mondo.
4. Yi
Quan / Taiki Kene qualche domanda per saper stare bene
nel mondo
moderno
Sei consapevole della tua postura, di come respiri, di cosa
e come metti in atto per avviare il tuo muoverti nello spazio?
Stai attento ad evitare movimenti rigidi e forzati,
trovando, invece, uno scorrere fluido ed aggraziato ascoltando le sensazioni di
te – corpo?
Quando agisci, sei sempre presente in ogni tuo movimento?
Sai muoverti stando sul terreno dei diversi ritmi richiesti
o ti fai sopraffare dall’ansia e dalla fretta?
Conclusione
Credo che chi pratichi Yi Quan / Taiki Ken
nel modo succitato e faccia del praticare marziale un modo di vita quotidiano
si ponga autorevolmente fuori dalle logiche distorte ed aberranti che oggi
imperversano. Sarà presente di corpo, corpo fisicoemotivo, in ogni suo
agire, in ogni sua relazione. Prenderà contatto con il sé corpo allontanando,
almeno per se stesso, il tristo futuro che ci attende tra corpi deboli perché
logorati dal contrastare ossessivamente la debolezza, corpi in difficoltà nel
sapersi riprodurre, corpi perennemente alienati dalla relazione fisica con
l’altro da sé, corpi incapaci di percepire lo spazio e il movimento nello
spazio, corpi estranei alla consapevolezza emozionale ed alla educazione
sentimentale, corpi esibiti per piacere, corpi – cosa.