giovedì 5 aprile 2012

Sovvertire l'ordine

La lezione più importante che l’uomo possa imparare in vita non è che nel mondo esiste la paura, ma che dipende da noi trarne profitto e che ci è consentito tramutarla in coraggio
(R. Tagore)

Ma come ?

Attingere dai gesti istintivi di paura / difesa trasformandoli in gesti di attacco, laddove il predato non reagisce, con ciò restando down rispetto all’aggressore, ma agisce così posizionandosi up e diventando lui il predatore.
Ecco esempi, attingendo da quella ricca fucina che è il Wing Chun come noi, allo Z.N.K.R., lo interpretiamo:
braccia distese davanti a  sé a fermare l’aggressore, a porre una distanza di sicurezza, diventano “pugni a catena”, ovvero le proprie armi puntate a colpire;
braccia flesse davanti al viso a proteggersi da un assalto improvviso, che ci sorprende / da un aggressore giunto a distanza ravvicinata, diventano “cuneo corto”, ovvero gli avambracci a protezione ed i gomiti direttamente puntati sull’aggressore a colpire;
atteggiamento iperlordotico / irrigidimento delle gambe, impietriti dalla sorpresa, diventano accettazione della forza di gravità con tratto lombosacrale allungato e articolazioni flesse;
respiro bloccato e superficiale nell’attimo della paura, diventano respiro profondo e consapevole.
Con queste premesse, ovvero:
Ø  impossibilità ad insegnare tecniche di combattimento ad individui che non fanno esperienza consapevole del loro essere corpo;
Ø  inutilità dell’insegnare tecniche (modelli) in un contesto di alto disordine e totale imprevedibilità motoria e gestuale;
Ø  secondarietà delle tecniche (saper fare) rispetto al saper essere (intelligenza emotiva), in un contesto, lo scontro, il cui tratto distintivo e fondante è la ridda di pulsioni ed emozioni che lo animano,
dunque, l’agente dello scontro è un organismo fisicoemotivo, il cui “non perdere” è innanzitutto determinato dall’essere
vigile
Prestare attenzione a qualcosa ed essere consapevoli della sua presenza non sono la stessa cosa (…) Questo sdoppiamento fra consapevolezza ed attenzione potrebbe essersi evoluto come meccanismo utile alla sopravvivenza: essere in grado di notare qualcosa di insolito senza rendersene conto avrebbe potuto rappresentare un vantaggio, per esempio per la sopravvivenza nella savana” (G. Guerriero in “Mente & cervello” Dicembre 2011)
autotelico
Il senso cinestetico che ci permette di prendere coscienza di noi stessi è attivato dai numerosi ricettori propriocettivi, collegati a muscoli e tendini che sono numerosi intorno alle articolazioni, poiché vengono stimolati nel movimento (S. Guerra Lisi – G. Stefani “Il corpo matrice di segni”)
intraprendente
Coraggio è una parola che ricorre spesso nella leadership. E richiede coraggio percorrere quel vicolo buio dove gli altri non vogliono andare. Ma la vera audacia nella leadership ruota effettivamente attorno al grado di coraggio nelle proprie convinzioni che una persona riesce a conservare. Quel tipo di coraggio porta all’ostinazione nel continuare a credere in se stessi e capacità di recupero per risollevarti dopo ogni sconfitta, ogni passo falso, ogni caduta. Portando a compimento i tuoi piani, i tuoi impegni, i tuoi sogni, anche quando chiunque altro dice che non puoi riuscirci: questo è il coraggio” (M. Krzyewski “Le strategie di coach K.”)
 

Con queste premesse, come attivare azioni istintive di difesa  e contrattacco efficaci ed efficienti ?
Nella nostra Scuola, propongo koan zen fisicoemotivi, stratagemmi tattici e strategici, che inducano il praticante ad attingere alle proprie risorse inconsce riconoscendo  emozioni (emos – azioni) che si traducono in tono muscolare, il quale agisce (secondo la teoria dei neuroni a specchio) in sincronia e sintonia con come e quanto egli stesso abbia interiorizzato l’ambiente esterno, il contesto.
L’antica saggezza asiatica della guerra, raccolta in “L’arte della guerra”, “I 36 stratagemmi”, “il libro dei cinque anelli”, solo per citare alcuni testi, ci viene in aiuto:
o    “Attraversare il mare ingannando il cielo”, inducendo il praticante a porre attenzione su gesti e particolari del tutto ininfluenti durante l’agire, evitando così il successivo disfunzionale tentativo di controllo del sintomo, gestuale o emotivo, e delle proprie reazioni.
o    “Osservare l’incendio sulla riva opposta”, lasciando che il praticante si consumi in gesti ed emozioni del tutto inefficaci, perché solo “la tazza vuota si può riempire di the”. 
o    “Portar via la pecora che capita sotto mano”, trasformando qualsiasi pur piccola negligenza, gesto parassita, del praticante in occasione di “vantaggio” per la sua crescita.
o    “Spegnere il fuoco aggiungendo legna”, invitando il praticante ad accentuare consapevolmente gesti ed emozioni inefficaci ed inibenti si che, per omeostasi, torni poi a riequilibrarsi.
o    “Intorbidire l’acqua per catturare i pesci”, creare confusione, dare suggerimenti contraddittori, per lasciare il praticante senza punti di riferimento confezionati, affinché sia lui ad assumersi la responsabilità del cercare e scoprire.

Una didattica maieutica, ovvero fatta di domande verbali e fisicoemotive. Modalità operativa che sollecita nell’individuo la personale motivazione all’apprendere invece che introiettare ordini, modelli, certezze impartite dall’alto; nella forte convinzione che a stare nei conflitti, negli scontri, si impara solo attraverso i conflitti, attraverso gli scontri; che a vincere le resistenze si impara solo utilizzandole come “piede di porco” per aprire nuove ( e vecchie) porte.
 Un sovvertire l’ordine in cui, per dirla in termini più vicini alla nostra cultura, si privilegi l’azione dell’emisfero cerebrale destro, quello deputato a funzioni non verbali, sintetiche, concrete ( quel che accade qui ed ora), spaziali (sintetizza nello spazio), globali (coglie la forma nel suo insieme): “(…) i circuiti emozionali hanno la prevalenza sui circuiti logico – razionali, soprattutto nei momenti critici –paura, rabbia, coraggio, intuito". (J. Whitmore “Il Coaching”).

Per me, solo così il praticante coglie l’Arte Marziale, è la personale espressione di quell’Arte Marziale, è artista del confliggere, in pedana come nel vivere quotidiano.
 
Immagini tratte dai Seminari di  Wing Chun Boxing da me tenuti preso il DAO del M° Valerio, San Benedetto d. Tronto (AP)





3 commenti:

  1. rileggo queto post e sono pervaso da immagini a ogni frase, rivedo gran parte del mio cammino in questo dojo Z.N.K.R.
    tuttora quanti di voi (me compreso)quando si muovono in assenza di pensiero, con spontaneità da infante riescono a fare un calcio girato o ad entrare con "non chalance" nella guardia altrui. Buona la prima!
    dalla seconda inizia a rimuginare la parte sinistra, allora metto il piede cosà e la gamba così..no!!forse il piede così e il bacino colà? e via in un escalation di "pensiero razionale" prende il via la psicosi eheheh
    mushin..assenza di pensiero, la chiamano i giapponesi.

    "Una didattica maieutica, ovvero fatta di domande verbali e fisicoemotive. Modalità operativa che sollecita nell’individuo la personale motivazione all’apprendere invece che introiettare ordini, modelli, certezze impartite dall’alto"

    E in un mondo di maschere non è facile,dove tutti ti dicono cosa e quando farlo..ma credo doveroso se ricerchi chi sei tu veramente, come ti poni nei conflitti di ogni giorno. Io, inizialmente, ma io sono un pazzo visionario, vivevo un colloquio di lavoro come un combattimento libero.Tenevo botta ma lì, dovevo stare,non potevo forzare se non entro certi limiti, che al tempo stesso mutavano e quindi dovevo..danzare col mio avversario.
    senza regole predefinite, senza certezze di ottenere un lavoro, o nelle relazioni senza. sapere che lei me la dà..mi dà magari una manata sulla faccia..se tutto ciò fosse tecnica meccanica saremmo automi..triste no?
    E quì torna il partecipare spontaneamente alle pulizie del dojo, senza forzature inderogabili ma ingegnandosi, con eventuali scambi oppure io faccio una pedana e tu i bagni e/o viceversa. Insomma tutto nasce da noi.

    Personalmente se non fosse stato tale, io non avrei continuato data la mia "allergia" al prendere ordini. Ma questo lo noto anche in molti di voi Fratelli e Sorelle nell'Arte ( il termine può apparir settario ma è l'opposto) quanti si sono avvicinati e rimasti tuttora proprio per la "non convenzionalità" del nostro praticare?
    che son hai risposte oggi persevera, se te lo senti e un giorno magari capirai ciò che anni o mesi fa non comprendevi. Ora basta, che i panni di saccente mi vanno stretti.
    Quì si spiega sempre perchè siamo pochi.
    Perchè agendo tu corpo tu emozioni, libere allo stato brado incontri la tua Ombra, quello che celiamo in cantina e non si può far vedere agi altri ne a noi stessi,sennò non starebbe lì.
    certo pochi,tanti i motivi e completamente personali a volte, ma ognuno di noi sà...
    e il prezzo da pagare per un film mai visto,per alcuni è semplicemente troppo.

    non è forse la caduta di un angelo dal paradiso a creare la vita? per gli induisti non è forse il "brodo primordiale" a creare l'Universo?così in un mondo in cui tutto muta in continuazione quante certezze possono permanere? il caos..
    sovvertire l'ordine..dentro sè.

    e mi sovviene alla mente un bellissimo film di Elio Petri, "la classe operaia và in paradiso":

    http://www.youtube.com/watch?v=zw8k1_hxn1M&feature=related

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  2. Leggo questo post e seguo il flusso di pensieri che esso mi suscita.
    Mi soffermo sulla sua parte iniziale, sull’ ” Attingere dai gesti istintivi di paura / difesa trasformandoli in gesti di attacco”, e sugli esempi portati.
    Orbene la premessa, l’attingere al serbatoio di gesti istintivi e su essi lavorare, strutturandoli in maniera maggiormente funzionale alla gestione del conflitto mi piace molto, lo condivido; mi trovo invece a pormi domande leggendo gli esempi riportati (esempi che in quanto tali non esauriscono certo tutta la casistica delle reazioni-azioni-situazioni-gesti possibili, ma che appunto in quanto esempi immagino rendano l’idea di un più ampio spettro situazionale ”in un contesto di alto disordine e totale imprevedibilità motoria e gestuale”).

    Essi sono 4:
    A-“braccia distese davanti a sé a fermare l’aggressore, a porre una distanza di sicurezza, diventano “pugni a catena”, ovvero le proprie armi puntate a colpire;”;
    B-“braccia flesse davanti al viso a proteggersi da un assalto improvviso, che ci sorprende / da un aggressore giunto a distanza ravvicinata, diventano “cuneo corto”, ovvero gli avambracci a protezione ed i gomiti direttamente puntati sull’aggressore a colpire;”;
    C-“atteggiamento iperlordotico / irrigidimento delle gambe, impietriti dalla sorpresa, diventano accettazione della forza di gravità con tratto lombosacrale allungato e articolazioni flesse;”;
    D-“respiro bloccato e superficiale nell’attimo della paura, diventano respiro profondo e consapevole.”.

    Ecco, coi primi due esempi, A e B per semplicità, non ho problemi: chiari, semplici e, persino per la mia limitata percezione , perfettamente coerenti con la premessa dell’attingere ai gesti istintivi di paura/difesa.

    Le cose cambiano con gli esempi C e D invece, in quanto non riesco a ricondurli alle premesse iniziali. Cerco di spiegarmi meglio a rischio di esser noiosamente ripetitivo.
    Posso comprendere come dalle braccia protese in avanti a creare distanza si possa far nascere il “tenere le mie armi dinnanzi a me a colpire” (sempre di tenere le braccia avanti si tratta), idem per il chiudersi a riccio, quando ormai la soglia del mio spazio personale è stata varcata, che diviene un aculeato e aggressivo proteggersi con avambracci e gomiti (che sempre di coprirsi la testa si tratta e se metto gli avambracci davanti-sopra la testa è difficile che i gomiti non sporgano innanzi). In entrambi i casi mi sembra si tratti di lavorare su una meccanica che già c’è

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  3. Ma nei casi C e D si tratta di trasformare la meccanica conseguente alla situazione di crisi: atteggiamento iperlordotico / irrigidimento delle gambe, e respiro bloccato e superficiale nell’attimo della paura, nel loro esatto opposto, per cui l’iperlordosi a gambe rigide diviene retroversione del bacino a gambe morbidamente flesse e il respiro superficiale diviene respiro profondo.

    Ora, pur essendo d’accordo che il respirare con tutti i polmoni e aver il bacino retroflesso con gambe non”congelate” siano atteggiamenti sicuramente preferibili dal punto di vista biomeccanico nella gestione di un ipotetico stato di “crisi improvvisa”, non capisco, dal punto di vista concettuale, come i casi C e D possano essere esemplificativi della premessa iniziale con cui mi sembrano in aperta contraddizione; mi sembra ci sia un passaggio in più rispetto agli esempi precedenti. Se nei casi A e B posso sintetizzare il tutto con lo schema sequenziale:

    1 Stimolo/conflitto esterno,
    2 gesto istintivo di paura/difesa,
    3 trasformazione del gesto 2 in atteggiamento predatorio col minimo intervento possibile sulla struttura del gesto stesso (parlo solo di struttura meccanica, non del ribaltamento emotivo preda/predatore che è premessa e nucleo di tale trasformazione);
    4 azione predatoria

    i casi C e D invece mi sembra lo schema sia:
    1 Stimolo/conflitto esterno,
    2 gesto istintivo di paura/difesa,
    3 negazione del gesto 2 afunzionale alla situazione
    4 trasformazione dello stesso in atteggiamento predatorio tramite l’assunzione di strutture più funzionali e diametralmente opposte al gesto istintivo di cui sopra, quindi col massimo dell’intervento possibile sulla struttura posturale del corpo-gesto (che mi sembra cosa lunga e complicata da farsi tanto più “in un contesto di alto disordine e totale imprevedibilità motoria e gestuale”)
    5 azione predatoria.


    Ecco questa cosa proprio non la capisco, almeno se sto al testo. Vero è che in genere il gesto istintivo di cui si parla non è isolato, che tutto accade generalmente in contemporanea: posizione di braccia, bacino, respiro, spalle ecc… e che magari vi sono gestualità anche istintive, meglio adatte di altre a trasformarsi in azioni predatorie, che “d’istinto” posso magari fare qualcosa di funzionale coi gomiti e di afunzionale con un’altra parte del corpo. Voi che ne pensate? Non è che il problema è a monte? È prima dell’adattamento, piccolo o grande che sia, del gesto alla situazione? Magari in quel minuscolo spazio emotivo in cui la paura/sorpresa dovrebbe trasformarsi in attacco-predazione? Spazio che per me, pur dopo tanto tempo continua ad esser e quanto mai misterioso

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