giovedì 2 agosto 2012

Immaginazione ed istinto nelle Arti Marziali


“Dimenticatevi ogni metodo, è l’istinto ad essere il maestro” ( M° Wang Xuanjié)

Sovente,  i praticanti mi sentono dire di “immaginare”, mi sentono parlare di “reverie”. Così come mi preme ricordare loro che pensare è un mondo diverso, (alieno ?), dall’immaginare.
Con ciò, non faccio che attingere al bagaglio “tradizionale” delle Arti Marziali. Pensiamo all’I Chuan, di cui il Taiki Ken è la versione giapponese, ma anche al Tai Chi Chuan ed al Chi Kung.
“Il Dachengquan ( altro modo di chiamare lo Yi Quan / I Chuan) non si basa sulla bellezza della forma esterna, ma sull’uso della mente. In breve, se si sta sulla forma, questa è una cosa ancora immatura; solo quando si arriva ad agire la tecnica spontaneamente, appare il miracoloso” (M° Wang Xiangzhai).

by dreamwave22
Come ho già scritto altre volte, attingendo a fonti cinesi ed olandesi, ho da tempo scartato la parola “intenzione”, nel descrivere il fare del nostro Kenpo, preferendole “intuito”.
Attingere all’intuizione, all’istintualità, mi pare in perfetto accordo con le caratteristiche predatorie di un’Arte Marziale, qualsiasi essa sia, proprio perché il confliggere è atto fisicoemotivo antico, arcaico, dunque che si rifà al “profondo” di ogni essere umano.

Restando sul tema dell’immaginare, Gaston Bachelard,  scavava ancora più a fondo evidenziando le caratteristiche dell’immaginazione formale e di quella materiale.
La prima per agire abbisogna della vista: prima le cose le vedi poi le immagini. Attraverso di essa si mescolano parti del reale percepito e ricordi del reale vissuto. Come a dire che essa copia, non rielabora, somma più o meno esattamente quanto immagazzinato nella memoria. Essa, per così dire, riproduce.
La seconda, l’immaginazione materiale, vuole l’individuo sentire la materia, entrare in simpatia (a) con quanto gli appare. Essa vive l’esperienza del reale mettendo in gioco sentimenti e pulsioni. Empatia che diviene simpatia, partecipazione fisicoemotiva totale.
“Non è la forma dell’albero che fa immagine, quanto piuttosto la forza di torsione e questa forza implica una materia dura, una materia che si indurisce nella torsione” (G. Bachelard).
Come scriveva il M° Wang Xiangzai, immaginiamo oltre la forma, l’apparenza, per cogliere il dinamismo delle forze in campo, la loro essenza e la loro direzione.
Questo sì è immaginare.

“l’albero ritorto è il fulcro di un incrocio di vettori tensivi, per ‘capirlo’ il corpo si fa albero e l’albero si presenta come un corpo contorto. La materia ‘dura’ che risulta da questa immagine non è altro che la contrazione muscolare che essa determina in chi la interpreta ‘rivivendola’.” Così scrive Francesco Spampinato nel suo “Immaginazione materiale e corporeità”.
Di conseguenza , la vista che dà un nome alle forme, resta nei confini rigidi della parola “albero”, nel riconoscimento cognitivo agito a distanza e scevro di coinvolgimenti fisicoemotivi.
Una gran differenza ! Tanto più se, come iniziai a scrivere più di dieci anni or sono forte delle letture di Alberto Oliverio ( da tempo raggiungibili anche sul suo sito: http://www.oliverio.it/ ) e, in anni recenti, delle ricerche nel campo delle neuroscienze, il collegamento mente / corpo (volendo ancora una volta disgiungere i due, che sono in realtà un tutt’uono !) è ampiamente dimostrato anche dalle scienze moderne e contemporanee.

Allora, un conto è immaginare / pensare l’albero ( ritsu zen), separare le acque, camminare nel fango, ecc un conto è immaginare / “simpatizzare” l’albero, separare le acque, camminare nel fango, ecc. Processi mentali / fisici diversi per risultati ben diversi.
Dentro qui nascono e si sviluppano  due importanti filoni di pratica e pensiero.
Uno relativo ad un’interpretazione psicofisiologica che collega l’immaginare siffatto a processi protomentali.
L’altro che, immaginando, per così dire, “di materia” più che “la materia”, scopre le sostanze chiave della cosmogonia taoista, i cui archetipi psichici  svelano chi è “dentro” il praticante e le sue relazioni.

Quanto, e di più, nella pratica del nostro Kenpo !!
Basta solo essere aperti, ricettivi. Quello che, in lingua giapponese è uke, contrazione di ukeru, ovvero accettare.
Alla faccia dei kazzutissimi guerrieri inkazzosi che, volti truci e modi spicci, spopolano nel mondo marziale, anche quando fotografati in casa o a passeggio, anche quando dialogano del proprio praticare, insomma, sempre e comunque http://www.youtube.com/watch?v=wCK3RQyBUxs&feature=related


Yi si può tradurre con volontà e spirito” ( M° Guo Gui Zhi )


(a)   L’empatia è la capacità di comprendere cosa un’altra persona sta provando, Vi è comprensione ma non necessariamente partecipazione emotiva. Simpatia è lo stato in cui condividiamo le emozioni dell’altro, a nostra volta emozionandoci




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