giovedì 4 aprile 2013

Educazione siberiana


“ Un uomo è molto più raro di un uomo onesto”
(G. Simenon “il destino dei Malou “)

Da decenni sono refrattario ai romanzi, lettura che mi concedo solo nel canonico mese di “ferie estive”.
Ci furono, sì, gli anni in cui li “divoravo”. Nella mia adolescenza lessi di tutto, da Pasternak a Dos Passos, da Hemingway a Goethe. Poi, complice la “sbornia” politica, mi gettai sui saggi  e … non ho più smesso.
Eppure, stimolato da quanto ho letto attorno al film “Educazione siberiana” di Gabriele Salvatores ed in attesa di vederlo ( devo aspettare che Lupo sia via da Milano !), entro alla Feltrinelli così, per “kazzeggio”, e mi trovo a comperare il libro di Lilin (1) da cui è tratto il film.

Il mio "Lampo Nero", un UWK della Cold Steel
Lettura piena, coinvolgente.
La cui forza potente, a tratti prepotente,  dell’educazione maschile e al maschile, si mischia fino a confondersi, ad amalgamarsi, con la cultura e la pratica del delinquere.
Giovanissimi, bimbi, instradati sulla via della violenza e della delinquenza, in una cornice di valori, per me, totalmente condivisibili nell’essenza; in una trasmissione di saperi, dall’anziano al giovane, solida e maschia.
E’ questo che mi ha destabilizzato.

Ci può stare che oggi e nella società cosiddetta normale il passaggio di saperi, contrariamente a quanto avveniva una volta nella stessa o, come narrato nel romanzo, nella società criminale, sia ormai indebolito, quando non addirittura capovolto, a favore dei più giovani. L’evoluzione tecnologica pone inevitabilmente l’anziano in posizione down rispetto al giovane. Sono gli anni post 2.000 quelli in cui, per la prima volta, le parti si sono invertite: sono i giovani a saperne di più degli anziani, ad insegnare loro.
Ci può stare, certamente. Anche se il moloch tecnologico oscura, tra realtà virtuale, un vivere tutto “fast” ed una banalizzazione emotiva dilagante, proprio i valori, le radici, la Tradizione insomma.
Quel che più mi ha sconcertato è, tuttavia, il mio spontaneo riconoscermi in una sorta di educazione “alla siberiana” appunto, che, quando mi guardo attorno, trovo del tutto scomparsa nella società odierna.

Restiamo anche solo nell’alveo familiare.
E’ tramontata ( meglio così!) la figura del padre padrone, autoritario e completamente assente dal quotidiano educare, spettandogli solo il compito di punire il figlio.
Mi trovo personalmente distante da quello che il pedagogista Daniele Novara chiama il “padre pelouche”, tutto amico e complice del figlio. Con ciò incapace di mostrargli, a partire dall’esempio, obiettivi di vita e confini entro cui muoversi, di incoraggiarne coraggio ed audacia unitamente al senso di responsabilità e generosità.
Ecco, dove è, invece, il padre educatore, formatore ?
Il piccolo Lupo, in piena formazione marziale
Quello che sa spiegare e dare le regole invece di limitarsi agli ordini; capace di stare al fianco del figlio quanto di fargli da contenimento nei momenti estremi; capace di introdurre il figlio al senso della fatica e del dovere perché ogni ostacolo affrontato e superato è una prova di crescita e rafforzamento dell’autostima; una padre in costante tensione tra autonomia e rispetto.
Quanto sopra, senza spulciare  nella disastrata istituzione scolastica o nei grotteschi e cafoni messaggi televisivi. Ambedue complici nell’appiattimento culturale e valoriale, nel sostegno a questi eterni e nevrotici adolescenti, che restano tali anche a trenta o quarant’anni.

Libro intenso, appunto, letto in pochi giorni. Libro dai tratti, per me, inquietanti perché, fatte le debite proporzioni tra la Siberia e l’Italia, tra il mondo della delinquenza e quello della (apparente ?) normalità, prese le dovute precauzioni d’uso, mi ci ritrovo.
Perché non rinnego il mio profondo amore per i miei figli, il gusto di abbracciarli e baciarli, di non nascondere nulla dei miei sentimenti teneri nei loro confronti, come l’occuparmi quotidianamente di loro, sin dagli anni della nascita, col cambio del pannolino, il bagnetto, le visite dalla pediatra, il biberon notturno, poi la spesa al supermercato, la preparazione delle pappe e poi il colloquio con le maestre, ecc.
Il che, per altro, non mi impedisce di indicare loro una Via, di offrire loro prove di coraggio e maschia generosità, di contenerne gli esuberi disordinati mai sottraendomi al ruolo di padre.
Quanto c’è di “educazione siberiana” in tutto questo ?

“Un padre che, proprio perché ama i figli, ed è profondamente affettivo, non si sottrae alla sua funzione di fornire loro indicazioni, norme, visioni del mondo. Un materiale di conoscenze e valori che spesso i figli rifiuteranno, o accantoneranno per lungo tempo nella loro vita. Un dono paterno di cui hanno tuttavia assoluto bisogno, per costruire, nel confronto con esso, la propria sicurezza e la propria libertà”
(C. Risè “Il mestiere di padre”)

(1)   Lascio volentieri ad intellettuali nevrotici ed invidiosi ( toh, quante donne in questa fila di ipercritici e nei commenti acidi !!) la messa in discussione del libro  a partire dalla veridicità o meno di quanto narrato
Sarà perché non sono così ignorante da non conoscere Bettelheim, Propp, Demetrio e tutto il pensiero che sa attribuire senso psicologico o allegorico alle narrazioni. O semplicemente sarà perché sono padre. Così, il libro di Lilin mi permetto di consigliarlo non solo a tutti i padri, ma anche ai maschi adulti che padri non hanno voluto essere mancando una tappa fondamentale dell’adultità,  e pure a quelli che, nonostante l’età anagrafica, adulti, in personalità e registro emotivo, ancora non lo sono. Magari, magari, questi ultimi qualcosa imparano.



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