giovedì 5 febbraio 2015

Il furto delle pensioni


Perché uno Stato, a parole e per Costituzione, particolarmente vicino ai cittadini, agisce così poco per sostenerne le difficoltà e così tanto per rapinarne le risorse ?
Questo attraverso manovre ed interventi di ogni genere, infatti, da Monti a Letta, da Fornero a Renzi, ci hanno privato delle certezze pensionistiche, come dello scudo dell’articolo 18.
by ataud
Raccapricciante la manovra Fornero, che in una asettica operazione di divisione, si trovò un “resto”, tipo 22 : 4 = 5, col resto di 2, che non turbò affatto la sua soddisfazione per la riuscita numerica dell’operazione. Peccato che quel resto di 2 corrispondesse a migliaia e migliaia di  essere umani che, nella voce “resto”, trovavano sia l’impossibilità di andare in pensione (già concordata con l’azienda) che quella di rientrare al lavoro. Esseri umani, cuori ed emozioni, buttati nel cestino della matematica. Disoccupati senza una via d’uscita.  Complimenti professoressa Fornero e complimenti a tuti i partiti politici che l’appoggiarono: Uomini e donne trattati come numeri.

Quel che mi colpisce, poi, è l’inganno ideologico che la casta politica ed i potentati economici e finanziari che serve, hanno costruito sul tema delle pensioni.
Per chi non lo sapesse, le “pensioni” presero vita con il governo Giolitti (siamo ai primi del ‘900). In quel periodo furono varate norme a tutela del lavoro infantile e femminile, sulla vecchiaia, sull’invalidità e sugli infortuni. Anche se, di fatto, il sistema italiano della previdenza sociale nacque ancor prima, nel 1898, Lg. del 17 luglio, n. 350,  con la costituzione della Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai (CNAS).
Questa, però, era una assicurazione volontaria, finanziata dai contributi pagati dai dipendenti, ed integrata dallo stato come da versamenti volontari dei datori di lavoro. Come tale, ovvero facoltativa, per anni raccolse un consenso ridotto. Occorre aspettare i primi del ‘900 perché lo stato ne introduca  l’obbligatorietà per i dipendenti pubblici e il 1919 (D.l.lgt. 21 aprile 1919, n. 603) per vederne coinvolti anche tutti i dipendenti privati, quando nacque la “Cassa Nazionale per le Assicurazioni Sociali”, ovvero la CNAS, sotto il governo Orlando, che assicurava pensioni di vecchiaia e di invalidità. Nel 1924 furono poste le basi per il TFR (Trattamento di fine rapporto), ovvero un’indennità da concedere, in questo caso, solamente al lavoratore licenziato. Indennità che, nel periodo bellico, venne invece trasformata in indennità di anzianità da riconoscere al lavoratore in rapporto al salario e agli anni di servizio.

Questo breve, brevissimo excursus storico, per mostrare come la previdenza abbia una natura privatistica perché fatta dal versamento e accumulazione, negli anni di lavoro, di contributi personali. Ne consegue che la pensione è una sorta di salario differito, cioè l’accumulazione di risorse a sostegno del lavoratore una volta concluso il ciclo lavorativo. Un’accumulazione che il lavoratore costruisce  con soldi propri e che sostanzia perciò, a fine rapporto, quel “pieno diritto di proprietà sulla propria pensione che eticamente, socialmente e giuridicamente legittima il lavoratore” (E. Marino), lo toglie dalla dipendenza del datore di lavoro e lo sottrae all’ingerenza del potere.
Ma i governi succedutisi dopo la fine della guerra, ed in particolar modo questi ultimi nostri, hanno instillato l’idea che il sistema previdenziale ed assistenziale siano espressione della funzione pubblica statalista e, pertanto, siano assimilabili e interscambiabili in funzione redistributiva della ricchezza.
Pensiamo a come l’INPS sia stato ampiamente saccheggiato utilizzando i fondi provenienti dal versamento dei contributi dei lavoratori,  per assolvere bisogni che dovrebbero essere invece soddisfatti ricorrendo alla fiscalità generale.
Dunque, è passata l’idea che previdenza e assistenza siano  la stessa cosa, cosicché la pensione, costruita sui soldi prelevati dallo stato ovvero non dati in busta paga al lavoratore, non sia un diritto di proprietà del lavoratore, ma una variabile del sistema di redistribuzione della ricchezza che lo Stato, toglie arbitrariamente a un pensionato, “rubandogli” con ciò una sua proprietà, per concederla ad altri, per destinarla ad altri scopi.

Se questo non è furto, se questa non è dittatura …


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