venerdì 17 giugno 2016

Il canto di ognuno


36° Gasshuku -  stage estivo
Giugno 2016
Agriturismo UNA. Monteprandone (AP)

 

Il mio canto di vita si è affievolito, forse, nel tempo.
O, semplicemente, ha mutato i toni, ammantandosi di una pervicace melanconia.
C’è stato un tempo lontano in cui a chi mi chiedeva “Quando vai in ferie?’” rispondevo “Io sono sempre in ferie, è la mia vita che è ‘ferie’ continua”. Testa alta, sfrontata, occhi già induriti ma pur sempre luminosi, con un mostro dentro che non volevo riconoscere e il cuore a scoppiare di irriverente vitalità.
E mi guardo, immerso nel sentimento affettuoso di allievi che sono anche amici, al nostro 36° Gasshuku, lo Stage Estivo della Scuola.

Danziamo Tai Chi Chuan, formando anelli e poi spirali; un corpo marziale denso e fluttuante, gesti sinuosi che si avvolgono e si srotolano senza sosta.
Nascondiamo le pieghe e gli angoli, perché il gesto, l’agire, scorra ora lento ora rapido, ma mai incagliato, mai spigoloso, sempre a fluire come un fiume dalla inarrestabile corrente.
Ispirarsi all’acqua, movimento mutevole; agli alberi, nel loro radicarsi dentro al suolo ed insieme estendersi verso l’alto.
Scopriamo, azione dopo azione, che tutto è compreso nel resto che sparisce, che è distanza e contatto. Ogni gesto “sbagliato” è un insegnamento, un ammonimento severo e paterno che nessuno è invincibile, che si torna vincenti solo attraversando l’arido e duro campo che è dei perdenti.
Una danza che senti dentro fino a spingerti a levarti in volo, certo che nessuno di noi sparirà mai senza aver lasciato un segno.

Sarà il Kenpo Taiki Ken a spargere voce sui gesti silenziosi. A scivolare guardinghi lungo le linee del triangolo o ad avvolgerci attorno ai semicerchi, falci nell’erba simili a spicchi di luna, che i nostri piedi disegnano rapidi.
Tutto ciò che nel Tai Chi Chuan è iniziato, si riversa nell’efficacia guerriera del Kenpo, masticato su pugni e bastoni, coltelli ed evitamenti. Nessuno fermo su quel che sembra, che mai è abbastanza, piuttosto tutti attenti, tutti predatori, che nessuna percossa conosce l’innocenza, nessun colpo può dirsi non colpevole.
Ora che il cemento e l’erba distesa si mostrano come fossero nebbia intagliata nel cielo, ora che nessuna impertinenza, nessun maramaldeggiare ci è consentito, ogni gesto ci appare semplice, persino fragile nella sua nuda essenza eppure … letale.

Ancor più quando è l’acciaio del katana, notte fonda alle spalle, a levarsi nell’aria, a falciare e sibilare ora a vuoto ora su stecche di bambù avvolte nella paglia intrisa d’acqua.

Poi, la mattina, il tempo offre sorrisi e volti tirati dalla fatica, attenzione guerriera catturata dentro ombre scure e luci tremule.
Mi ritrovo, canto di vita potente nella sua ritrosa malinconia, a danzare un secondo, un attimo solo. Un attimo per ripercorrere una vita, sessant’anni e più, la mia, e quarant’anni di Arti Marziali.
Davvero, può bastare un attimo, un secondo per scoprirsi innamorati, che il tuo mondo ora ti è sconosciuto e l’altro anche, o, forse, è solo diverso da prima, che sempre è diverso da prima.

Il cerchio del saluto, lo scurirsi ai fianchi della cintura di Francesco, gentile allievo del DAO. Le coccole a pranzo.

Il mio canto di vita, certo, non è più quello di una volta.
Ma lo canto con sentimento, riconoscente a chi mi sta accanto nella vita privata, a chi mi accompagna sulla Via che è del Guerriero.
Il 36° Gashuku, lo stage estivo della Scuola, volge al termine. Si chiudono le danze guerriere, la lotta, i pugni. Continua, nel cuore di ognuno, il proprio canto di vita. Un po’ più forte, un po’ più libero, dopo questi due giorni insieme, Jitakyoei.








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