lunedì 7 novembre 2016

Odisseo


Il mio nome è Nessuno
Vol. 1: Il giuramento. Vol. 2: Il ritorno

 

 

Come sa chi mi conosce, io sono un “divoratore” di libri di saggistica, poco avvezzo a cimentarmi con i romanzi. Lo so, Giorgio Amendola, uno dei più fini politici ed intellettuali del fu PCI, si rivolterebbe nella tomba, lui che ammoniva a leggere le cose della vita proprio attraverso i romanzi, ma io amo studiare i “saggi”, concedendo poco spazio alla narrativa.

Eppure… ho preso una “cotta” per i due volumi che Valerio Massimo Manfredi ha dedicato alle vicende di Odisseo, il “suscitatore di odio”, uno degli erodi dell’Iliade e il personaggio principale del libro omerico che da lui prende il nome.

Lettura agile e piacevole, mi ha indotto a diverse riflessioni, tutte, ma guarda un po’ !! legate alla mia pratica marziale che, lo sapete, per me è a sua volta chiave di interpretazione del vivere e delle entità tutte del mondo.

Una prima cosa che mi ha colpito è la sua capacità di vivere in fondo ed appieno le sue emozioni, senza farsene travolgere. Io che, in tempi giovanili ed estremamente … vivaci, mi innamorai del Pelìde Achille dalla “ira funesta” e dalle passioni travolgenti, del gigantesco e focoso Aiace Telamonio, ho imparato ad apprezzare la capacità di agire e non reagire.
Laddove la nostra pratica marziale ci guida ad accettare fino in fondo pulsioni ed istinto di morte, la ferocia che origina dal predare per non essere predati, però anche a ri-conoscerla e ad agirla secondo un alveo tanto efficace ed efficiente quanto guidato da ampia apertura sensomotoria, da una motricità dotata di sviluppo ritmico, per niente affidata al guizzare dei muscoli superficiali e ad un superficiale reagire di stampo macho-ginnico. La nostra, è raffinata e letale arte taoista di caccia e morte che coglie il bersaglio, la preda, nei modi e tempi che noi vogliamo, che noi scegliamo. E’ arte che né subisce né però incolpa altri o altro di ciò che ci accade. E’ arte della responsabilità.

Poi, Odisseo, “polimete” (“colui che pensa molto”) si contrappone a Polifemo (“colui che parla tanto”). Che trovo ridicoli tutti quei bulli, da strada o da palestra ma anche da … politica, che cianciano e minacciano “spacco questo e spacco quello” per poi restare mano in mano o allearsi con l’identico bullo che prima li fronteggiava, alleanza tra grotteschi capitan Fracassa, che si fanno forti di una paternità divina (Il Maestro dagli occhi a mandorla, il Maestro cazzuto e muscoloso che lui sì mena tutti, anche quando in ciabatte – non sto scherzando, dalla parte burina di Roma è arrivata anche questa !! -).
Inoltre, Il gigantesco Polifemo è un essere primitivo, dominato dagli istinti, dal sentire di “pancia”, dotato di un solo occhio a simboleggiare proprio questo: il vedere tutto piatto, non oltre le apparenze. Mentre Odisseo ha due occhi, ovvero ha una visione tridimensionale di ciò che lo circonda, ha il senso della profondità. Il che, in chiave allegorica, significa capire le cose in profondità, oltre la superficie, ovvero superare l’apparenza  per indagare ciò che vi è dietro.
E bravo il nostro Odisseo che parla poco e agisce tanto e bene, liberandosi dalla prigionia e storpiando a vita il gigante sbruffone. Peccato, allontanandosi, quel rivelare a gran voce la sua identità che permetterà a Poseidone di sapere chi egli sia e tormentarlo per anni ed anni: va beh, nemmeno Odisseo è perfetto, poi, lui non pratica allo Z.N.K.R. !!

Altro elemento fondamentale per la mia “cotta” è l’identificare Odisseo con una caratteristica importante, per come io intendo il praticare le Arti Marziali, e necessaria perché il praticante sia davvero tale.
Nel senso che ad un certo punto della sua vita, sente la necessità di conoscersi, nelle sue capacità come nei suoi limiti, nella sua parte più luminosa come nella sua ombra, in quel lato oscuro che le convenzioni sociali e probabilmente lui stesso non accettano. Il praticare marziale, come io lo intendo, come io lo propongo, è una sorta di terapia, di “simulata”, profondamente fisicoemotiva, una formazione a saper stare nel confliggere, di più, a fare di ogni conflitto un prezioso alleato per migliorarsi.
Relazionarsi con il proprio malessere, le proprie ansie e paure, viaggiare dentro di sé, non solo forma un individuo migliore perché consapevole, ma vuol dire anche indurlo a comprendere in modo più adeguato il “viaggio dell’altro” quanto la paura di viaggiare, di lasciare la propria calda e rassicurante merda dell’altro.
Ad accettarne la passività e l’eterna sconfitta, che non tutti sono eroi !!

Ogni incontro e ogni scontro, nella finzione narrativa come nel vivere reale di ognuno, è un viaggio verso la scoperta di una parte di sé. Il viaggio di Odisseo è il viaggio della vita di ogni uomo. Le sfide che dovrà affrontare sono gli scogli che si interpongono tra un uomo e il suo progetto di vita. Come per tutti noi, non sono spesso gli ostacoli esterni a impedirci il raggiungimento della nostra meta, quanto siamo noi con le nostre paure, le nostre fragilità, il nostro proiettare su altri o altro (i genitori, la moglie / il marito, il capo ufficio, il destino, la sfiga ecc.).

Tutti questi incontri e scontri di Odisseo rimandano alle dispute psicologiche, e non solo, a cui ogni individuo va incontro: Calipso, donando l'immortalità, evita di assumersi le responsabilità della vita; la maga Circe è la lussuria e l'abbraccio mortale di una presenza totalizzante; la terra dei Lotofagi è il luogo dell’oblio e dell’alessitimia, la privazione di ogni sentimento (ieri l’istupidimento da droga, oggi il mondo virtuale, il consumo senza uso)
Ma è proprio affrontando, come fece Odisseo, le difficoltà della propria conoscenza e trasformazione che si può arrivare, se non a completare il proprio progetto di vita, almeno a sapere come e dove andare.

Odisseo, poi, proprio perché aperto al suo mondo emozionale, non è immune ai disturbi dell’umore, ai pericoli dell’ansia, che siano sconforto quando preso dalla pura di fallire, senso di colpa quando si sente colpevole di aver lasciato la famiglia per una guerra insulsa, poi pianto irrefrenabile, crisi nervose, ecc.

Insomma, è uno di noi, nelle fragilità e nelle insicurezze, per niente bullo o macho man; ma è uno di noi proprio perché queste fragilità ed insicurezze, che lui sa accettare, non gli impediscono di lottare e viaggiare. Viaggiare che prima ancora che curiosità per ciò che sta fuori è scoperta di e dell’altro per scoprire se stessi.

Praticare Arti Marziali allo Z.N.K.R.

 

è questo viaggiare.

 

E tu, a che punto sei del tuo viaggio? O non hai ancora iniziato il tuo viaggio?

 
“Qual è il vero significato della parola viaggiare? Cambiare località? Assolutamente no! Viaggiare è cambiare opinioni e pregiudizi”
(Anatole France)

 

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