mercoledì 8 marzo 2017

Il cerchio della spirale. Cap. 4. Elevarsi e stare in equilibrio


Elevarsi e stare in equilibrio

La gravità, il contatto tonico col terreno. E ci si alza in piedi.
Mi ascolto, accordo le diverse emozioni che risuonano nel petto, le esprimo. Mi piego, mi fletto, mi estendo …. ogni azione , attraverso le emozioni ed i gesti che le esprimono, le interpretano, le offrono agli occhi esterni, è azione viva, vitale, eroticamente intensa.

Il corpo è andato in guerra, ha ingaggiato il pesante e le tensioni e le forze motorie del corpo; ha spinto verso l’alto, anelando all’altezza, barattando la sicurezza dei quattro arti per l’incertezza dello stare su due piedi. Ora esplora le loro direzioni ed espansione nello spazio. Lo fa attingendo ai principi naturali dell’espressione gestuale e con ritmi che mescolano energia, vitalità e spazio.
Nutrito dai ricordi di acqua e di terra, di sforzo e di scoperta della spirale come forza potente e dalle immagini che furono, ora l’agire è il risultato della tensione verso un oggetto a cui si dà valore, oppure di uno stato fisicoemotivo.

Il mio corpo è il mio punto di vista sul mondo”, scriveva Maurice Merleau Ponty.
Ci fu tanto, tanto amore, quanto tanto sforzo, per passare dalla terra alla via di mezzo, per permettere che ora il gesto emergente scopra il modo più funzionale ed efficace per organizzare la propria   identità spazio-temporale all’interno del flusso dinamico del movimento.

Sarà che il tempo corre senza sosta e il mondo intorno esplode in un pianto di gesti legnosi e ripetuti all’infinito; sarà che lo stare in piedi mi fa uscire allo scoperto e dimenticare ogni stanchezza depositata nel cuore e nel respirare; ma ogni contatto, ogni slancio, ha a che fare con me, è qualcosa che ha a che fare con me. Perché, storia di terra e di via di mezzo alle spalle, non è né la meccanica asettica dei movimenti né la ginnastica dell’obbedienza, né la pretesa di uniformarsi all’estetica del bello ed appariscente né la sodomia di una salute mercante, no, niente di tutto questo può toglierci piedi per camminare ed ali per volare.
Questa storia passata, questo presente finalmente in piedi, è conoscere, riconoscere e gestire i fattori che regolano il movimento, significa armonizzare e ottimizzare i propri impulsi interiori, migliorando, così, la propria qualità di vita. Perché no, non è la vita a toglierci piedi ed ali, siamo noi.  
Questo modo di muoverci, ci dice che non esiste un unico senso, non esiste un valore univocamente  classificabile  nei  confronti  di  un  asserto motorio, se non nei termini relativi alla cornice di riferimento entro cui questo viene  agito, viene espresso.  Dunque, che nel muoverci, è la dimensione relazionale più che  quella antropocentrica  a  sostenere  il  senso dell’esprimere, dell’interpretare e comprendere: Arte dell’individuazione quanto arte della relazione.

Ora, in piedi, il gesto, l’agire si è arrotondato, ha smussato gli angoli, ha tolto qualche asperità.
Se Il tempo, il mio tempo, che è pure quel “Confesso che ho vissuto” di nerudiana memoria, ha lasciato sdrucita qualche ferita e sottratto ai muscoli un po’ di elasticità, resta la voglia, l’istinto della sfida.

Allora tendo a cercare equilibri sempre più precari. Non per infedeltà alla stazione eretta, non perché l’atavico sogno di volare mi abbia preso cuore e mano. Solamente un'esigenza, il sapere che vivere è sempre equilibrarsi tra mille squilibri e spinte e strattoni contrapposti, equilibrarsi sovente su strisce sempre più sottili di certezze, sapendo incontrare insidiose e fragili incertezze.
Non è per il bisogno di una novità, è l’attitudine alla lotta per la sopravvivenza, è l’appassionarsi alle Arti del combattere, del confliggere; è non accontentarmi mai di vivere alla periferia di quel che sento dentro e vorrei essere, che mi spinge ad esplorare il cuore, il centro, di ogni mistero.

E quale insondabile e oscuro mistero è mai l’incertezza dell’equilibrio?!?!

 
“Per me esiste solo il cammino lungo sentieri che hanno un cuore, lungo qualsiasi sentiero che abbia un cuore. Lungo questo io cammino, e la sola prova che vale è attraversarlo in tutta la sua lunghezza. E qui io cammino guardando, guardando, senza fiato”.
(C. Castaneda)

 

Chiudo questa tetralogia di post dedicati al nostro modo di essere e fare ”movimento”, con una intensa frase di Carlos Castaneda, che trovo perfettamente calzante all’argomento. Per altro, è la stessa frase che, insieme ad altre di autori diversi, componeva il testo del nostro primo spettacolo di “Teatro Marziale”, ai primi anni ’80. E nulla avviene per caso.

 



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