martedì 4 febbraio 2020

Jo Jo Rabbit




Io e Monica sprofondiamo nelle poltrone del cinema Anteo: ci attende la proiezione di

Jo Jo Rabbit
regista Taika Waititi

Ci ha incuriosito un trailer divertente che lasciava intravedere note di profondità; ci ha ulteriormente spinto il gradimento espresso da una coppia di amici.
E la pellicola non delude le nostre aspettative, anzi.

E’ un film che danza spericolato in bilico tra il dramma e la commedia, il grottesco e l’umoristico, senza mai perdere un colpo di autenticità, senza mai smettere di farti riflettere mentre ridi di gusto o le lacrime della commozione (almeno a me) invadono gli occhi. Dunque, una storia intensamente umana dal sapore agrodolce e dalle tinte surreali.

Non è che la sua realizzazione sia sta cosa semplice.
Osteggiato dalle case di produzione, con una sceneggiatura realizzata già nel 2011, ci sono voluti ben sei anni perché si trovassero i finanziatori disposti a mettere in scena una parodia del regime nazista.
Perché di questo, e altro, tratta il film.
Esso è una delicata ma irriverente satira anti-militaristica, che prende lo spunto dal contesto della Germania nazista; un fluire di ironia dissacrante ed irriverente che si fa surreale e investe i temi della diversità, del condizionamento delle masse, dell’attitudine tutta umana, ma necessaria alla sopravvivenza, di “salire sul carro dei vincitori”.
Possibile che il timore di ritorsioni nel trattare un tema così spinoso quanto drammaticamente attuale o di un flop economico proprio per la “pesantezza” dei temi trattati, abbia giocato nel ritardare la realizzazione di questa stupenda pellicola?

Sì perché il film è una autentica meraviglia per il cuore, per le emozioni, inducendo a severe riflessioni tra uno scoppio di risa e una carezza ruvida sul volto.
Metafore e metonimie si intrecciano l’una all’altra, conducendo per mano lo spettatore dentro un mondo di sogni e preconcetti, di soprusi e tenerezze, in una girandola che non conosce soste.
- La musica dei Beatles che accompagna le scene di supina isteria di massa del popolo tedesco ai piedi del Fuhrer, o sullo schermo scorrevano le scene di supina isteria di massa dei fans del gruppo britannico?
- Il ballo come luogo neutrale di convivenza, come luogo di libertà per corpi e cuori martoriati e offesi.
- Quei lacci delle scarpe come vincolo necessario purché stretto per andare avanti e non per impedire di andare.
- L’intreccio tra le credenze instillate dal regime e la genuina curiosità di un ragazzino che, tutto preso dalla convinzione che gli ebrei abbiano le corna e sappiano manipolare la mente degli indifesi ariani, si trova costretto a misurarsi con una realtà ben diversa, con una ricchezza ed una disperazione umana che non può non sentire anche sue.

Film profondamente satirico,  in grado di sgretolare il linguaggio dell’odio a colpi di sorrisi ed incanti emozionali, si chiude con un poetico danzare tra le macerie di un mondo, di una società sconfitta sì ma che, purtroppo, ha ancora oggi la forza di rialzare la testa. Non solo riproponendo gli stessi pregiudizi, le stesse porcherie ideologiche, le stesse violenze di nero vestite, quanto, in modo subdolo e di una violenza ancora più letale, costruendo una dittatura della finanza e dei mercati che, a braccetto di costumi sociali beceri, superficiali e ignoranti, ci sta facendo marciare con lo stesso passo dell’oca verso un nuovo mattatoio.

“Gli idoli dell'uomo moderno avido, alienato sono la produzione, il consumo, la tecnologia, lo sfruttamento della natura. (...) Quanto più ricchi sono i suoi idoli, tanto più l'uomo si impoverisce. Invece della gioia egli va in cerca di piacere e di eccitamento; invece di crescere cerca possesso e potere; invece di essere, egli persegue avere e sfruttamento; invece di ciò che è vivo sceglie ciò che è morto.”
(E. Fromm)


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