“Tutto
quello che affermiamo del mondo è imprescindibilmente legato, determinato, dal
nostro essere spazialmente, percettivamente, corpo”
(A.G.A.
Naccari ‘Persona e movimento. Per una pedagogia dell’incarnazione’)
Eco soffocato di un rumore lieve, la frattura sorda dei rami e l’erba schiacciata dai piedi. Il cuore batte nel petto, respiro lieve, i pantaloni sfiorano cespugli vigili a sorvegliare il giardino.
Mani danzano nell’aria, ghirigori e spirali, cerchi di
braccia e di piedi. Antico sapere taoista si esprime Tai Chi Chuan
e Pa Kwa.
Ho il mio respiro tra le mani e in qualche modo sento di
avere tutto me stesso raccolto lì dentro.
Da tempo ho scoperto che ci sono momenti in cui ci si sente
del tutto estranei al nostro corpo e da ciò che ci parla attorno; non solo
estranei a noi stessi, ma pure a chi e cosa, con la sua presenza, si fa unico
testimone del nostro esserci. Esserci davvero.
Ma se prestiamo attenzione al nostro respirare e a come esso
si coniughi ai gesti, lenti o rapidi, nello spazio, l’estraneità scema. Denti a
contatto lieve tra di loro, un minuscolo sorriso a increspare il volto, schiena
bene dritta percorsa da fremiti ed onde: L’aria viene risucchiata ed esce come riscaldata,
vitalizzata da noi e dal nostro esserci e muoverci in quel momento, dal nostro
corpo calato nel rimo dei gesti. L’aria, che è energia, si fa linguaggio tra
noi e l’ambiente.
Sono le mani che incantano e uccidono di Neri
e Yuri, sono gli evitamenti repentini di un corpo che scarta e
rientra tra angoli di 45° e cerchi sempre più piccoli, sempre più infidi.
“Avere
ginocchia flessibili è molto importante, ciò indica, infatti, simbolicamente,
l’opportunità di non irrigidirsi di fronte alle avversità”
(E.E.
De Miranda. ‘Il corpo territorio del sacro.)
Sono quello che sono, sono fatto così: nelle ginocchia che scricchiolano e sibilano ad ogni movimento in cui il bacino tenta una timida seduzione del terreno accostandosi più del dovuto, più dell’ordinario.
Ma inneggio alla fortuna ad ogni movimento, piccolo o
grande che sia, perché non sono costretto a stare fermo, perché, giorno dopo
giorno, Chi Kung / Kiko e pratiche motorie generaliste mi aprono
di corpo, mi permettono ampiezze e traiettorie impensabili prima, impensabili
nonostante l’avanzare inesorabile del tempo, l’accumularsi degli anni.
Le parole del Maestro sono sempre presenti nelle mie
orecchie là dove l’obiettivo è sì l’acqua e la sua duttilità, la sua adattabilità
tanto quanto il suo enorme potere travolgente. Ma poi l’acqua andrà a sparire,
divenendo vapore: L’obiettivo ultimo, supremo.
“La
chiave del Tai Chi è proteggere il chi nel corpo”
(L.
Reed. ‘ Il mio Tai Chi. L’arte dell’allineamento’)
Il corpo in avanti provo a flettere, oppure indietro, a
sinistra e a destra; poi alzo le braccia sopra il capo e con esse le mani, le
metto ovunque, curiose predatrici di spazio ancora sconosciuto.
Peng Lu Ji Han,
azione espansiva e di protezione, ritirata e squilibrio, pressione travolgente
e infine scardinare la resistenza sottraendole la certezza dell’appoggio sul
terreno.
Con il me - corpo mi posso spostare nello spazio attorno,
creare movimenti a piacere e un intero mondo andare a scoprire.
Respiro e sento un rumore perché dentro c’è il cuore che
batte, basculo il bacino e faccio la mia mossa e dentro sento le ossa, i femori
che scartano.
Fascino suadente del praticare Arti Marziali, del
praticare consapevole di corpo.
Come si può mai meravigliosamente
tremare dentro di incertezza e passione se non si percorre il fascino di sé –
corpo in movimento? Negli anni di pratica il fascino cresce, a volte appassisce
ma poi sempre ritorna grande e nel viaggio tutto si sublima, si espande fuori e
dentro. Ci si trova a guardarsi attoniti e sereni mentre si cammina, lenti o
spediti, dentro un viaggio senza meta.
“Non è
importante aggiungere anni alla vita ma vita agli anni”
(R.
Levi Montalcini)
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