Non so ancora bene con chi, dei “vecchi” e “meno vecchi”, non so ancora se qualcuno di “nuovo” verrà a rimpinguare il clan Z.N.K.R.
Perché le Arti Marziali non
tirano più come una volta, soppiantate da pratiche edonistiche più in linea con
il narcisismo e l’estetismo dominante, tra l’ossessivo anelare ad un corpo
scolpito come un bronzo di Riace, le agitazioni frenetiche dello Zumba e le varie
tecniche corporee che gli U.S.A. smerciano in tutto il mondo.
Perché noi abbiamo
rinunciato alla pratica sportivo – agonistica, che potrebbe attirare i giovani
col miraggio di un trofeo o di una medaglia.
Perché, per come noi le
proponiamo, prive di machismo muscolare, di riferimenti totalizzanti alla forza
del fisico (1) ed alla preparazione
atletica, affidandoci invece all’ascolto
corporeo, al fare fisicoemotivo, al lavoro di muscolatura profonda ed
articolazioni, esse sono un rebus da affrontare, una provocazione
all’immagine generalmente conosciuta e condivisa del praticante di Arti
Marziali, atletico e “fisicato”.
Perché comunque noi “ci
meniamo”, lo scontro fisico c’è, eccome, il che tiene lontani gli
“intellettuali” della pratica misticheggiante o le fanciulle, generalmente poco
propense al sudore e ai corpi che si incontrano, si toccano.
Perché praticare Arti
Marziali come Budo, ovvero terapia di
conoscenza e individuazione, destabilizza, scuote forte il cuore, apre alle
pulsioni profonde e istintive. Per molti, meglio scegliere un posto dove sudare
e sfogarsi e stordirsi senza pensare, senza fare i conti con se stessi; anche
se poi si torna, sfiniti nel corpo, a quella medesima vita, incontri, lavoro,
affetti e relazioni, che è sempre lì a presentarci il suo conto e il suo
pesante malessere (2), in attesa
delle prossime ore di evasione in palestra. Un paio d’ore d’aria, prima di
tornare in cella ? Una tirata di droga, di sostanza eccitante, del tutto
consentita, anzi incoraggiata, dalla società del consumismo e del “giù la testa,
prima di tornare nella palude ?
Perché se io, il docente,
il Sensei, mi rifiuto di ridurre la passione per la conoscenza marziale a
semplice amministrazione di un sapere che non riserva più alcuna sorpresa in
quanto “E’ uno dei nemici acerrimi del
lavoro dell’insegnante: la tendenza al riciclo e alla riproduzione di un sapere
sempre uguale a se stesso” (M. Recalcati), l’allievo si disorienta, a volte
si spaventa. Lui paga e vuole “il servizio”, vuole le istruzioni, passo dopo
passo, che lo conducano alla perfetta padronanza dell’Arte per cui ha pagato,
che gli svelino il segreto per diventare Rambo o Bruce Lee, che scaccino le sue
paure umane, così umane, per farne un robot, un individuo “senza macchia e
senza paura”: patetico superuomo da fumetto.
E siamo ancora qua, a più di trentacinque
anni dalla fondazione dello Z.N.K.R., da più di trent’anni in via Simone
d’Orsenigo.
Allora, un grazie enorme al prezioso Giovanni
e con lui a Giuseppe, Celso, Gianluca, Lupo, Roberto, Luigi, Marco, Monica, e
mi scuso con chi ho dimenticato.A loro che, venendo a sistemare e pulire il Dojo, oggi permettono anche a chi si è chiamato fuori, si è tenuto alla larga, di ricominciare il viaggio d’avventura insieme.
Viaggio di scoperta ed emozioni, di conflitto come linguaggio, di pugni e sudore e sorrisi.
Ricominciamo !!
2. “Nel
2011 il 27% della popolazione europea ha sofferto di almeno un tipo di disturbo
mentale “ (C. Risé)
“Il
38,2 % della popolazione europea soffre nel corso della vita, di almeno un
disturbo psichico” (C. Mencacci).Questi sono dati che, ovviamente, si riferiscono solo ai casi conclamati e da cui restano, in genere, escluse tutte le forme di nevrosi di cui l’individuo soffre ma preferisce evitare di affrontare, ovvero quegli stati che non compromettono stabilmente l’adattamento sociale e la capacità di distinguere tra realtà esterna e realtà interna. La nevrosi nelle sue diverse manifestazioni (fobie, atteggiamento ossessivo compulsivo, continui stati d’ansia, umore tendente alla depressione, stress post-traumatico,reiterati sentimenti di inadeguatezza e insoddisfazione, ecc. ) è pertanto una modalità di relazione disturbata del soggetto con l’ambiente, per un modo di porsi della persona stessa che complica e depaupera la sua capacità di relazionarsi con gli altri e l’ambiente che lo circonda, inducendolo ad azioni e stati d’animo a loro volta insoddisfacenti, portatori di malessere e di fuga dal prendere nelle proprie mani il proprio destino.
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