venerdì 18 settembre 2015

L’energia artistica


1° gruppo esperienziale Wing Chun Boxing, Ottobre 2012
Parafrasando  Eugenio Barba, regista teatrale, potremmo dire  che le Arti Marziali, come le intendiamo noi, s’intende, ovvero come erano alle origini:
Bujutsu (1), metodo con cui uccidere per non essere uccisi,
e poi
Budo, La Via, processo di conoscenza, crescita ed individuazione, terapia fisicoemotiva,
sono “un’isola galleggiante, un’isola di libertà. Derisoria, perché sono un granello di sabbia nel vortice della storia e non cambiano il mondo. Sacra, perché cambiano noi.”

Cambiano noi”, ecco il senso profondo del Budo. Ecco perché noi pratichiamo e proponiamo l’Arte del lottare, del confliggere, distanti da chi ha ridotto le Arti Marziali a un fare semplicemente fisico, ginnico, di tecniche e posizioni, uccidendone le radici soteriologiche, la passione trasformatrice; ovvero distanti da chi, in esse, abbia tranciato sia l’attitudine sia lo scopo di accompagnare il praticante  fuori, oltre, il malessere, il disagio, le nevrosi che, latenti o meno, sono compagne di ogni vivere umano.
Insomma, costoro praticano un Bujutsu di dubbia efficacia combattiva e di nessuno spessore in quanto a crescita e conoscenza di sé, dunque del tutto privo dello stato di Budo.
Due calci, due pugni, una proiezione al suolo, qualche gesto a vuoto e poi tutti in doccia !! Qualcuno pure convinto di essere un combattente e / o un saggio per il semplice aver fatto quanto sopra !!
Il riposo dei guerrieri dopo la Festa di via Cadore, 2011

Perché si pratichi un Bujutsu efficace e perché, tramite esso, ci si addentri nel bosco profondo delle pulsioni e delle emozioni in cui agire Budo, occorre ben altro.
Su questo blog, ne ho già scritto diverse volte e in vario modo, sia con un linguaggio rigoroso (“Andragogia marziale e non solo” Maggio 2013; “Io ci sto e tu?” Dicembre 2013), sia utilizzando metafore e racconti di stampo “leggero” (“Di una bella, dei suoi cortigiani e dei suoi possenti amanti” Giugno 2013; “Perché scegliere me” Settembre 2011; “Del dare la morte” Febbraio 2014)
Qui voglio solo ricordare che praticare, fare esperienza di sé corpo è sempre, sempre, indissolubilmente legato a un fare /trasformare olistico: Fare e soprattutto come fare, ti cambia anche gli aspetti psichici, ti cambia come individuo, come persona. Per questo è hon (fondamentale), essere cosciente di come agisci corpo, come ti  muovi corpo, perché, che tu ne sia consapevole o meno, questo induce dei cambiamenti in quel che sei.

Allora, così, anche in forma disordinata, mi preme scrivere che una sana pratica marziale

dal punto di vista dei contenuti:
Seminario Kenshindo 2008
- mette in secondo piano potenziamento e condizionamento muscolare, lavorando invece sugli organi interni e sulla consapevolezza  corporea, fino ad affinare propriocezione e viscerocezione, a modulare l’attività endocrina;
- limita sforzo e contrazione muscolare, privilegiando la distensione muscolare e l’affidarsi alla muscolatura profonda;
- mira a non spezzettare l’attenzione sul proprio gesto o sull’altro da me, come a non finalizzare il “voler fare” (intenzione ?) sull’altro, quanto a riunirle in un’unica grande apertura in cui intuito e senso del predare, senso dello spazio, del ritmo e della relazione (yomi e yoshi) giochino un’unica danza armoniosa;

dal punto di vista della didattica e dell’andragogia
- afferma che il sapere del docente, il Maestro o come lo si  voglia chiamare, “non è mai ciò che colma la mancanza, quanto ciò che la preserva” (M. Recalcati), perché il sapere (qui marziale, ma per me vale per ogni sapere autenticamente tale) si costruisce attraverso un percorso individuale, proprio di ogni singolo praticante, senza che esista a garantirne l’acquisizione, un tracciato definito a priori, un modello da imitare, una sorta di “foglio delle istruzioni” per montare il mobile Ikea;
- sostiene non solo che l’allievo non è un vuoto da riempire, quanto un vuoto da aprire, uno spazio per aperture impensate prima, e anche che ogni allievo abbia già in sé le risorse e le energie per apprendere il sapere;
Stage Estivo 2010
- incoraggia l’espressione fisica delle emozioni (emos – azioni), accogliendo turbamenti e resistenze nel processo di pratica che è crescita e trasformazione, ben sapendo che: “La terapia è come sputare nella minestra di qualcuno. Può continuare a mangiarla, ma non può più gustarla”. (A. Adler);
- utilizza un metodo maieutico, ovvero l’apprendimento come comprensione individuale e non supino adeguamento a modelli e contenuti esterni: niente imitatori ma solo attori, protagonisti. Il tutto avvalendosi di domande, Koan zen fisicoemotivi ed eleggendo l’errore a strumento di comprensione invece che farne un atto da biasimare, perché solo errando si scopre consapevolmente il “giusto”. Solo sbattendo ripetutamente contro un vetro dopo l’altro, troviamo la strada per uscire dal labirinto.

Proprio poche ore or sono, avvicinato dal solito fanatico da palestra, ossessivo consumatore di tapis rulant e supino ripetitore di balzi e slanci nell’ora di zumba, mi scusavo con lui perché, avendo io una particolare idea del movimento e delle pratiche corporee, totalmente critica verso quelle infauste e stupide pratiche, conscio per altro di essere del tutto “fuori dal coro”, preferivo evitare di affrontare una discussione sull’argomento. “Non sono un venditore di saponette”, gli dicevo, cioè non sono qui per convincere nessuno. Ecco, nel mentre, giungeva una mia collega, praticante di Arti Marziali, le solite, che si chiamino Judo o Viet Vo Dao, Karate o Aikido, che siano “antiche” come il Ju Jitsu o moderne creazioni come il Krav Maga, insomma, non importa quale.  Ebbene, mi sono immediatamente defilato per evitare che la fanciulla mi presentasse come un insegnante di Arti Marziali. Non voglio assolutamente essere scambiato per un ammaestratore da circo, per una signorina Rottermaier il cui modello di insegnamento è tutto correttivo – repressivo, in cui l’allievo va istruito (riempito) ed educato come fosse creta da plasmare. Non voglio assolutamente che si scambi il mio, il nostro praticare, con le goffe pantomime presenti nelle palestre e nei Dojo, con le convulse e tracotanti scazzottate di giovani ( e meno giovani !!) tatuati da ring.

E come fare,
- ad un edonista – consumista che si spompa e suda su una bici sempre ferma (spinning) o che solletica i suoi tratti ossessivo- compulsivi spostando lo stesso peso su e giù per decine e decine di volte allo scopo di “farsi il fisico”, sviluppare una muscolatura (superficiale) ben evidente o, l’ultima sentita: “Se voglio, faccio le scale di casa salendo i gradini quattro a quattro” (bella performance, ma, a che pro ?);
- ad una coriaca imitatrice di gesti, assolutamente priva di sensibilità fisicoemotiva, illusa di essere una buona combattente perché in pedana imita il Maestro / modello e lancia gambe e braccia contro un sacco prima e contro un'altra fanciulla, altrettanto povera di intelligenza e sensibilità fisicoemotiva e motoria, dopo (2);
come fare ad instillare loro un benché minimo dubbio ?

Come fare a parlargli, perché ascoltino (3), di praticare del confliggere corpo a corpo (Bujiutsu) come metafora e metonimia del confliggere con sé e con l’ambiente (Budo) ?

Stage Invernale 2013
Lascia stare Tiziano, che “La maggior parte delle discipline nascondono effetti negativi, essendo concepite non per liberare, bensì per limitare. Non chiedete ‘perché?’ e siate cauti col ‘come?’. ‘Perché?’ conduce inesorabilmente al paradosso. ‘Come?’ v’intrappola in un universo di causa ed effetto. Entrambi negano l’infinito”. (F. Herbert).

 

 

 

1. Uso qui termini giapponesi in omaggio alle mie origini marziali, ma andrebbero bene anche termini presi da arti cinesi, vietnamite, coreane e di combattimento e lotta in genere.

 

2. In effetti, la fanciulla, in difficoltà nel saper calciare forte e in equilibrio, a sua richiesta, la coinvolsi, mesi addietro, nel retro del suo ufficio, in un breve, brevissimo viaggio di dieci minuti nell’affascinante mondo del praticare come noi facciamo. Risultati immediatamente eccellenti, espressione stupefatta sul viso, poi più niente. No, non è che io immaginassi di vederla varcare la soglia del nostro Dojo, ma almeno  chiedersi che cosa le aveva dato praticare due volte la settimana per anni, fino alle soglie della cintura nera, se poi era bastato un anzianotto, con tanto di pancetta da bevitore di birra, e soli dieci minuti di tempo rubati in un angolo, a farla progredire in quel modo. Niente, è passato quasi un anno ed ancora oggi mi narra estasiata di aver imparato la forma del “drago”, di come si applichi faticosamente nel maneggio del bastone, del bel livido che ha rimediato sotto l’occhio.

 

3. Beh, se poi uno pratica per “pettinare bambole” (rubo l’espressione al buon Bersani) o esplicitamente per sfogarsi, allora tutto quanto ho scritto non vale. Io mi rivolgo ad adulti o a chi cerchi di essere adulto, “guerriero” ( colui che sa stare nel conflitto), consapevole, a chi scelga una forte e sana pratica fisicoemotiva  che, attraverso il  Ridare all’uomo il senso del corpo come luogo delle nostre dipendenze e come luogo della nostra potenza come ricettacolo del mondo reale attraverso i sensi, come proiezione del mondo possibile attraverso l’azione” (R. Garaudy) lo accompagni dentro se stesso, lo accompagni a vivere coraggiosamente e autenticamente.





 

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