giovedì 13 settembre 2018

Una fatica gentile









Lo vedo sforzarsi. 
E’ abile, è iper concentrato, si muove con una buona dose di destrezza. Si sforza, attinge a tutta la sua energia nello scattare in avanti, nel resistere ad ogni pressione.
E’ giusto, è naturale, dopo, che si senta affaticato, che respiri affannosamente.

Ma quella non è la mia strada.
Io cerco serenità e calma nell’azione.

Certo, anche io dedico una parte di me alla concentrazione, al fare con uno scopo ben preciso.
Ma lascio sempre aperto l’orizzonte sulla creatività, sulla disponibilità al lasciarmi sorprendere, sull’intuizione.

Toh, l’aumento della concentrazione riduce l’attività della corteccia prefrontale, l’area del cervello strettamente connessa a tutti i sistemi sensoriali e motori, deputata alla gestione delle emozioni ed ai “rinforzi” positivi e negativi, alla gestione di azioni coordinate e strategiche, all’apprendimento di nuove esperienze, di nuovi comportamenti.

Una corteccia prefrontale attiva, invece, è proprio
- quel che occorre ad ogni valido combattente, di più, a chiunque voglia affrontare le “cose” della vita riconoscendole, imparando, selezionando quelle più consone a sé e prendendo, di conseguenza, le decisioni migliori, quelle vincenti.
- quel che mi invita a liberare il fluire di ogni movimento. Che mi invita a mantenere viva, desta, l’attenzione. Che mi rimanda all’istinto, all’animalità che cova in ognuno di noi.

Anche in questo, le moderne ricerche di neuroimaging, che permettono uno studio del cervello “in vivo”, coincidono con l’antica saggezza taoista !!

Lui è proprio affaticato: buon pro gli faccia. 
Sicuramente, lo sfogo motorio gli ha messo in circolo le endorfine adatte a dargli una sensazione di appagamento, di benessere. Poi, altrettanto certamente, arriverà la deprimente sensazione di spossatezza, l’imbarazzante carico di acido lattico e quei dolori muscolari conseguenza di microlacerazioni nei muscoli e di un aumento delle attività ematiche e linfatiche che incrementano, appunto, la sensibilità nelle fasce muscolari sottoposte a sforzo.

Lui ha utilizzato l’energia di scorta che ha nel corpo. 
Come gli sfoghi isterici, gli scatti di collera, le attività convulse: una prima sensazione di benessere e presenza, poi il crollo, mentre tutt’intorno nulla è cambiato.

Io, invece, scelgo la via dell’emozione, dell’ascolto, della consapevolezza 
che significa attingere alla muscolatura profonda, al lavoro articolare, alla presenza degli organi interni.
Abbraccio me-corpo rilasciato, consapevolmente fragile ed emotivo, sempre in ascolto: un aprirsi che costruisce forza flessibile e selvaggia, potere dolce e letale.
Imparo a vivere, imparo che è la serenità a guarire ogni malessere: sia che gli artigli siano a riposo, sia che siano ben sfoderati.

Uno sguardo reciproco, l’uno verso l’altro. Io e lui così vicini, tra gli alberi e il verde dei giardini, eppure così lontani, così distanti.

Chissà che un domani, superata l’età della sfrontatezza, quando saranno gli “anta” quelli da festeggiare al compleanno e i capelli si tingeranno di grigio, non scopra anche lui questo mio stupendo percorso.

Magari non un serio incidente al ginocchio o un continuo impedimento alla piena mobilità della schiena (gli intoppi più frequenti su quel percorso di sforzi e fatica) ma, piuttosto, l’accettazione dell’evidente trasformazione del corpo: pelle e muscoli e … rughe (!!) e dei tempi di recupero che, su quel percorso di sforzi e fatica, si sono fatti sempre più lunghi.

Magari non il senso di inutilità, i primi segnali di timore per il tempo che passa e non torna più o i primi sintomi di depressione, quanto piuttosto l’incontro con “uomini straordinari” (ovvero fuori dal conclamato piattume ginnico-motorio),  l’apparire, sebbene ancora confuso, indistinto, di un possibile rinnovato ed autentico senso della vita.

Ecco, gli auguro che siano la curiosità verso la consapevolezza fisicoemotiva, l’anelito alla vitalità, ad accompagnarlo verso una pratica olistica e aperta. Verso lo scoprire, lui “anta”, che può essere ben più efficace e “in forma” di quando aveva venti o trent’anni, e, soprattutto, ben più sereno, consapevole e… adulto autodiretto.

D’altronde, come scrive Alberto Oliverio, medico e psicobiologo, “in una collettività è importante che vi siano individui pronti a realizzare un’idea o un progetto con tutte le loro forze, sacrificando altri aspetti della vita di relazione”.
E’ altrettanto vitale, è sano, che vi sia chi resta aperto ad ogni orizzonte, chi, eretico e ribelle, flessibile ed emotivamente autentico, abiti strade inusuali, porti linfa nuova, una grande vitalità ed un grande erotismo.
Chi faccia di sé-corpo una presenza attenta ed empatica.

D’altronde, come scrissi decenni addietro, forte del mio confrontarmi con professionisti (medici, allenatori ed atleti) dello sport, per formare rapidamente un giovane a che abbia delle performance di alto livello , una preparazione fisica condita di sforzi e pesi è l’unica strada percorribile nel breve periodo.
Poi, per ben vivere e ben stare sé-corpo, con prestazioni non sportive ma fisicoemotive reali e non circoscritte ad una gara, di alto livello e che migliorino col passare dell’età, ci vuole altro!!

Questo è quanto io pratico, io propongo a chi mi accompagna qui, allo Spirito Ribelle Z.N.K.R.
Un praticare alla portata di tutti: nessuno è troppo vecchio o impacciato o timoroso.
Basta solo passare dall’idea di avere un corpo al sapere che siamo corpo; allora a chiunque è data la facoltà di scoprirlo / scoprirsi corpo, conquistando un’autentica salute psicofisica, un importante posto nella vita.




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