Un uomo, in un bar, ogni giorno. Seduto in fondo alla
sala, una corposa agenda davanti, tante persone che lo cercano.
Tutto qui, per un film di stampo “teatrale”, con un
setting claustrofobico, dove nulla accade se non nei dialoghi.
Non un film passatempo, non un film che puoi vedere
chiacchierando in allegria.
E sono contento che anche un ragazzino come il
quattordicenne Lupo lo abbia apprezzato.
Un film che prende allo stomaco, che ti inchioda negli
angoli bui, che ti racconta l’Ombra dentro di te anche quando credi di non
averla o di averla sottomessa.
Proprio quella
parte che magari mai è venuta a galla, ma, ci hai mai pensato?, verrebbe fuori
in una situazione particolare, di tensione estrema o anche solo di aspirazione
minimalista.
Basta restare aperti alle influenze del film, ai dialoghi
degli attori, tutti eccellenti, e certamente una lacerazione interiore, una
serie di “montagne russe” dell’anima, ci investirebbe.
E chissà che chi non ha gradito la pellicola trovandola
noiosa o banale è proprio perché …. ha avuto paura di aprire quella porta?!?!
Sto scrivendo di
The
Place,
l’ultimo film di
Paolo Genovese ( il regista del brillante e dissacrante “Perfetti
sconosciuti”) che si ispira alla serie
U.S.A. “The Booth at the End”,
Il cuore del film è il dilemma, tradotto in atti
concreti, in azioni, mica in intellettualismi, in cui o si tacita la propria
coscienza, ci si toglie ogni maschera e ruolo di perbenismo e “politicamente
corretto”, o ci si ribella alla
richiesta ricevuta rinunciando al
proprio sogno, grande o piccolo che sia.
Il volto di Mastandrea , chiamato ad interpretare il
ruolo del misterioso uomo che tutto può, tutto può dare in cambio di un’azione
spesso disgustosa, crudele, è un volto di dolore e stanchezza quanto di ineluttabilità sul
percorso del destino che ognuno ha e si dà.
Straripano ovunque le paure, le angosce e le miserie di
tutti coloro che vogliono migliorare la propria vita, salvare altri od essere
salvati, trovare o ritrovare una (caduca) felicità.
Tutt’intorno, si muove asettico, come in un piccolo
acquario, un micro mondo di indistinti ed anonimi avventori. Inutili alla trama
del film quanto ignari spettatori delle tragedie altrui, mi chiedo se siano
solo tali o rappresentino quella folla indistinta, quelle persone (nel film c’è
chi lo dice esplicitamente) che di certi baratri nemmeno hanno sentore e
magari, magari??, così stanno bene nella loro beata ignoranza e superficialità.
O forse, così asettici e conformisti, semplicemente non
vivono davvero ma, per dirla alla Gurdjieff, “sopravvivono”.
Sempre che la modesta avventura della loro vita, del loro
tran tran, non abbia alle porte, anche per ognuno di loro, un incontro, un
incidente, con quella parte di sé dimenticata e terribile. Basta solo aspettare.
Infatti, c'è
una frase che, secondo me, svela un aspetto inquietante del film: “In ognuno di noi c'è una parte terribile,
chi non è costretto a scoprirla è fortunato”. Io penso che quell’Ombra
terribile dentro, per nessuno potrà restare sopita per sempre. Magari non si
avrà il coraggio di affrontarla, preferendo la fuga nella religiosità manichea
ed ossessiva o nel carrierismo sfrenato, in qualcuna delle antiche e moderne
dipendenze che, in forma grave o leggera, impregnano le persone, tra shopping
compulsivo e vigoressia, FOMO (la dipendenza dai social) ecc. Ma lei resterà
sempre dentro, minacciosa, incombente.
Personaggio ambiguo, dai contorni incerti, è la cameriera
del bar, interpretata da una brava Ferilli, il cui ruolo si scopre solo alla
fine in un trapasso inquietante.
Intrigante è il carosello di uomini e donne che si alternano
al tavolo, senza sapere però gli uni delle altre mentre il corso della vita degli
uni interferisce anche rocambolescamente con le altre, tra la richiesta di una
violenza sessuale, un infanticidio, una rapina… una suora alla ricerca della perduta presenza
di Dio, un uomo disposto a tutto per salvare il figlio dal cancro, un altro il
cui unico sogno è una notte di sesso con una starlette, un poliziotto alla
ricerca del figlio…
“Non ho tutto sotto
controllo, le cose non dipendono da me” e questo colpisce l’ansia di
certezza e de-responsabilità dei questuanti, perché il misterioso uomo ha
solamente ideato il meccanismo ma poi a
ciascuno di costoro spetta la decisione ultima: Nessun obbligo, ognuno ha la facoltà
di rescindere il contratto stipulato. Questa facoltà, sempre ricordata, sempre
sbattuta in faccia ai questuanti, non capisco se e quanto sia una speranza del
misterioso individuo o una perfida
provocazione.
Alcuni hanno scritto che The Place è un film sul libero
arbitrio, altri che è ha un’anima cattolica.
Io so solo che è un film sul vivere e sul come vivere,
autenticamente e drammaticamente vivere.
Pellicola stupendamente intrigante e violentemente
perturbante.
Come vivere, appunto.
"...un film che ti racconta l’Ombra dentro di te anche quando credi di non averla o di averla sottomessa."
RispondiEliminaUn film che mi ha tenuta avvinghiata ad ogni singola immagine, ogni espressione di ciascuno degli attori. E il tentativo, tipicamente umano, di trovare nell'altro la responsabilità di scelte non sempre politicamente corrette.
Grazie a te per la dritta. Come all'epoca fu per "Perfetti sconosciuti"...nei tempi che furono, quando la famiglia che stiamo costruendo ancora non era nei miei pensieri.