mercoledì 19 settembre 2018

The place



Un uomo, in un bar, ogni giorno. Seduto in fondo alla sala, una corposa agenda davanti, tante persone che lo cercano.
Tutto qui, per un film di stampo “teatrale”, con un setting claustrofobico, dove nulla accade se non nei dialoghi.
Non un film passatempo, non un film che puoi vedere chiacchierando in allegria.
E sono contento che anche un ragazzino come il quattordicenne Lupo lo abbia apprezzato.
Un film che prende allo stomaco, che ti inchioda negli angoli bui, che ti racconta l’Ombra dentro di te anche quando credi di non averla o di averla sottomessa.
Proprio  quella parte che magari mai è venuta a galla, ma, ci hai mai pensato?, verrebbe fuori in una situazione particolare, di tensione estrema o anche solo di aspirazione minimalista.
Basta restare aperti alle influenze del film, ai dialoghi degli attori, tutti eccellenti, e certamente una lacerazione interiore, una serie di “montagne russe” dell’anima, ci investirebbe.
E chissà che chi non ha gradito la pellicola trovandola noiosa o banale è proprio perché …. ha avuto paura di aprire quella porta?!?!
Sto scrivendo di
The Place,

 l’ultimo film di Paolo Genovese ( il regista del brillante e dissacrante “Perfetti sconosciuti”)  che si ispira alla serie U.S.A. “The Booth at the End”,
Il cuore del film è il dilemma, tradotto in atti concreti, in azioni, mica in intellettualismi, in cui o si tacita la propria coscienza, ci si toglie ogni maschera e ruolo di perbenismo e “politicamente corretto”,  o ci si ribella alla richiesta ricevuta  rinunciando al proprio sogno, grande o piccolo che sia.
Il volto di Mastandrea , chiamato ad interpretare il ruolo del misterioso uomo che tutto può, tutto può dare in cambio di un’azione spesso disgustosa, crudele, è un volto di dolore e  stanchezza quanto di ineluttabilità sul percorso del destino che ognuno ha e si dà.
Straripano ovunque le paure, le angosce e le miserie di tutti coloro che vogliono migliorare la propria vita, salvare altri od essere salvati, trovare o ritrovare una (caduca) felicità.
Tutt’intorno, si muove asettico, come in un piccolo acquario, un micro mondo di indistinti ed anonimi avventori. Inutili alla trama del film quanto ignari spettatori delle tragedie altrui, mi chiedo se siano solo tali o rappresentino quella folla indistinta, quelle persone (nel film c’è chi lo dice esplicitamente) che di certi baratri nemmeno hanno sentore e magari, magari??, così stanno bene nella loro beata ignoranza e superficialità.
O forse, così asettici e conformisti, semplicemente non vivono davvero ma, per dirla alla Gurdjieff, “sopravvivono”.
Sempre che la modesta avventura della loro vita, del loro tran tran, non abbia alle porte, anche per ognuno di loro, un incontro, un incidente, con quella parte di sé dimenticata e terribile. Basta solo aspettare.
Infatti, c'è una frase che, secondo me, svela un aspetto inquietante del film: “In ognuno di noi c'è una parte terribile, chi non è costretto a scoprirla è fortunato”. Io penso che quell’Ombra terribile dentro, per nessuno potrà restare sopita per sempre. Magari non si avrà il coraggio di affrontarla, preferendo la fuga nella religiosità manichea ed ossessiva o nel carrierismo sfrenato, in qualcuna delle antiche e moderne dipendenze che, in forma grave o leggera, impregnano le persone, tra shopping compulsivo e vigoressia, FOMO (la dipendenza dai social) ecc. Ma lei resterà sempre dentro, minacciosa, incombente.
Personaggio ambiguo, dai contorni incerti, è la cameriera del bar, interpretata da una brava Ferilli, il cui ruolo si scopre solo alla fine in un trapasso inquietante.
Intrigante è il carosello di uomini e donne che si alternano al tavolo, senza sapere però gli uni delle altre mentre il corso della vita degli uni interferisce anche rocambolescamente con le altre, tra la richiesta di una violenza sessuale, un infanticidio, una rapina…  una suora alla ricerca della perduta presenza di Dio, un uomo disposto a tutto per salvare il figlio dal cancro, un altro il cui unico sogno è una notte di sesso con una starlette, un poliziotto alla ricerca del figlio…
Non ho tutto sotto controllo, le cose non dipendono da me” e questo colpisce l’ansia di certezza e de-responsabilità dei questuanti, perché il misterioso uomo ha solamente  ideato il meccanismo ma poi a ciascuno di costoro spetta la decisione ultima: Nessun obbligo, ognuno ha la facoltà di rescindere il contratto stipulato. Questa facoltà, sempre ricordata, sempre sbattuta in faccia ai questuanti, non capisco se e quanto sia una speranza del misterioso individuo  o una perfida provocazione.
Alcuni hanno scritto che The Place è un film sul libero arbitrio, altri che è ha un’anima cattolica.
Io so solo che è un film sul vivere e sul come vivere, autenticamente e drammaticamente vivere.
Pellicola stupendamente intrigante e violentemente perturbante.
Come vivere, appunto.



1 commento:

  1. "...un film che ti racconta l’Ombra dentro di te anche quando credi di non averla o di averla sottomessa."
    Un film che mi ha tenuta avvinghiata ad ogni singola immagine, ogni espressione di ciascuno degli attori. E il tentativo, tipicamente umano, di trovare nell'altro la responsabilità di scelte non sempre politicamente corrette.
    Grazie a te per la dritta. Come all'epoca fu per "Perfetti sconosciuti"...nei tempi che furono, quando la famiglia che stiamo costruendo ancora non era nei miei pensieri.

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