lunedì 15 ottobre 2018

Ti ho fatto un incantesimo





Kenshindo incontra il Judo
del Tokyokodokan Milano




Tutti i cinque sensi danzano dentro  la mia anima come la terra fa con il sole, e l'aria, che ad ogni respiro assaggio, ha preso il suo ritmo naturale.
Tutto quel che pensavo lei fosse, tutto, proprio tutto, esplode potente saturando di sé ogni particella attorno.
Sono, siamo, con gli allievi ed amici i Maestri Valerio e Giuseppe, gli yudansha shodan Donatella e Giovanni, ospiti presso il
Tokyokodokan Milano,
in via Lattanzio,
a proporre il nostro
Kenshindo
“la Via dello spirito della spada”,
ad un gruppo di judoka.

L’incantesimo del katana si ripete, sempre diverso eppur sempre affascinante.
Mai ho sognato che avrei incontrato qualcosa come te, mai ho mai sognato che avrei messo in conto di poter perdere qualcosa come te, te che sei arma regina, sei letale strumento di morte e, insieme, leggero strumento di passione.

Questo controverso sentimento guida i miei passi, i miei gesti, le mie proposte ora che sono a coinvolgere in Kenshindo chi mai ha incontrato il katana nel suo percorso.
Così creo un’atmosfera di incertezza, di stupore ( che sarà mail il burlaghé?) incamminandomi lungo un riscaldamento che sia realmente apertura verso la pratica vera e propria. Dunque, un riscaldamento che leghi indissolubilmente gli aspetti più evidentemente fisici ( bravissima la yudansha Emanuela ad elencarli) a quelli fisicoemotivi, che nessuno di noi è macchina ma tutti siamo individui.
Il riscaldamento, ogni BUON riscaldamento, sintonizza il circuito percettivo – motorio (che poggia abitualmente intorno all’asse visivo – verbale) sul canale sensoriale cinestesico – propriocettivo, a partire dal quale mutano conseguentemente anche le rappresentazioni del corpo – visto e del corpo – parlato.
In sintesi, questa è la funzione psicologica del riscaldamento: promuovere l’investimento soggettivo, personale,  del movimento.
Allora, poiché comunque l’apertura di ogni lezione, di ogni allenamento, agendo sul corpo, modifica lo stato psicologico dei praticanti, è fondamentale farlo facilitando il passaggio:
           dallo stato di coscienza ordinario a “stati di coscienza secondi”;
           dal linguaggio verbale al linguaggio non verbale;
           dal pensiero logico – analitico al pensiero analogico e associativo;
           dalla disposizione difensiva ordinaria a una maggiore disponibilità alla circolazione delle emozioni;
           dalla dimensione concreta – operativa alla dimensione immaginativa, espressiva e creativa;
           a un buon bilanciamento extra / intraintensivo.
(Dove danzavano gli sciamani di V. Bellia)

L’incontro entra nel vivo ed io parto valorizzando quel che già i judoka sanno, parto da loro, dal loro vissuto: è importante che Paolo, yudansha, ottimo nell’esecuzione della sua tecnica preferita, Morote seoi Nage, abbia la sensazione di essere capace di qualcosa, dunque della sua conoscenza judoistica, perché più facilmente e senza ostruzionismi si apra alla pratica col bokken. Starà poi a lui tradurre la sua proiezione al suolo preferita in un gesto, un taglio di spada.
E tutti a provare quanto lo stesso Paolo ci ha suggerito.
Starà poi a me, forte di un uso del corpo “interno” fatto di articolazioni leste e muscolatura profonda potente, migliorarne il gesto, mostrarne le lacune. Lasciar testare l’evidente differenza tra uno sforzo fisico ancora grezzo, fatto di muscolatura superficiale condotta da un sé corpo ancora sconosciuto a se stesso, ed il gesto in cui i movimenti invece fluiscano svelti e sinuosi perché  originati dall’ordine in cui le parti del corpo si mettono in movimento.
Infatti, quando il praticante sente dentro, “nelle ossa”, che ci sono più modi di fare, allora le cosiddette tecniche, i waza , a mano nuda o con armi, i pugni o le leve articolari, le schivate o le proiezioni al suolo, scaturiscono dalla totalità di se stesso. Questo poiché è attraverso l’immediata, dinamica consapevolezza di un’esperienza fisicoemotiva che il fare esperienza e le “tecniche” si coniugano spontaneamente, liberando il praticante in vista del disegno fluido e ininterrotto del fare marziale, dello scontro, del combattimento.
Continuiamo e sarà il giovane Lorenzo, sguardo sveglio e vispo, a proporre la sua risposta al suichokugiri (il fendente a spaccare il cranio) di Paolo.
E insieme lo lavoriamo, lo mondiamo dei gesti, degli atteggiamenti che ne frenano l’efficacia.
Lo stesso Lorenzo subito capisce che cosa sto chiedendo loro, dove sto andando con le movenze che siano agili e flessuose, semplici e … letali.
Ancora Emanuela, decisa nel suo voler imparare, curiosa nel suo interrogarsi in tutta onestà e Sebastiano, anche lui yudansha,sempre attento a voler capire.

Erano i primissimi anni del terzo millennio quando scoprivo  che mentre i movimenti degli animali sono istintivi e generalmente attuati in risposta a stimoli esterni, quelli dell’uomo sono intrinsechi di qualità umane, poiché ogni individuo, con i suoi movimenti, esprime se stesso e comunica  qualcosa del suo essere interiore.
 Allora l’individuo ha la possibilità e la capacità di prendere coscienza degli schemi creati dai suoi “impulsi di sforzo” (così li chiamava Laban) e di imparare a svilupparli, a rimodellarli e ad usarli.
Ne discuto, non certo oralmente ma agendo di bokken, con Ilaria, yudansha dal sorriso ampio e dalla fisicità prorompente, con Carlotta, con chiunque si presti a verificare su di sé la qualità di quanto vado proponendo ed i clima generale è davvero accogliente, ben predisposto a confrontarsi, a sperimentare. Segno che il Dojo e la cultura che vi regnano è sincero e aperto, autentico Budo ricco di umanità.

Arriva il momento dell’acciaio, dell’estrazione e dei fendenti che, lame affilate, non permettono inganni, ritrosie o menzogne: Vivi o muori.
Eppure non serve aver paura della direzione verso cui ci guida il tagliente affilato: ognuno sarà in grado di scoprire (e poi fare?) ciò che vuole nella profondità delle sue emozioni. Tutto andrà per il meglio affidandosi a ventre e cuore, a quella misteriosa gioia combattente che ogni individuo ha in sé.
Allora Laura, Maestra yondan, attenta a capire come estrarre rapidamente. E i tentativi di tutti di trovare in sé quelle movenze che consentano di sopravvivere ad una attacco portato  al nostro lato: Non possiamo certo girarci e poi estrarre, e nemmeno estrarre da fermi e poi girarci….
Ed io a proporre il sorgere delle spirali, autentico potente innesto per onde e torsioni del corpo perché questi risponda vincente all’aggressione.

Ci avviamo alla conclusione.
Lavoro con il vivace Paolo, mostrando come l’affidarmi all’elemento Terra, corpo rilasciato in armonia con la forza di gravità, mi consenta di eludere lo squilibrio del suo Morote seoi Nage.

Poi, davvero, ci avviamo al tramonto della mattinata: Movimenti liberi, in cui reverie, il fantasticare, divenga corpo fisicoemotivo capace di esprimersi traducendo nello spazio quel che ognuno identifica come flusso e fluire, ognuno a suo modo, chi serpente, chi acqua che scorre …

In cerchio, mano nella mano, respiriamo e ci ascoltiamo, pelle su pelle, contatto su contatto. La mano di Emanuela e quella di Ilaria nelle mie. Contatti diversi, che sanno di forza e tenerezza, di dolce abbandono e apparente ritrosia. Contatti che subiscono inevitabilmente l’influenza di chi, a sua volta, con loro intrattiene la mano e a sua volta è influenzato dai compagni accanto, dalle loro di mani strette l’una nelle altre, in un cerchio che, figura geometrica perfetta, non ha inizio né fine; in un cerchio che è ed è stato, per un momento lungo attimi o ore, una comunità di intenti, di uomini e donne insieme per divertirsi, conoscersi e progredire. Attraverso l’Arte, non importa quale, progredire verso la conoscenza di sé e dell’altro, di come ognuno sta con se stesso e nelle relazioni che va costruendo.

Un sentito grazie a tutti loro. Un grazie particolare al Maestro, hachidan, Francesco Zaccheo che in pedana si è lasciato coinvolgere partecipando con la totale voglia di esserci, e che, insieme a  tutto lo staff del TokyoKodokan, ci ha cortesemente permesso di portare il nostro Kenshindo fuori dal nostro Dojo. Tra nuovi amici.
I Shin Den Shin
















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