Ormai da oltre vent’anni hanno preso piena diffusione, anche nel nostro paese, testi che smentiscono la separazione mente - corpo, l’ambiguo e fuorviante “mens san in corpore sano”, fino a mostrare che tutto di noi è corpo: “essere fisicoemotivo”, come lo chiama Stefania Guerra Lisi, artista, formatrice, esperta della riabilitazione di disabili sensoriali, motori e psichici, nel suo ottimo “Il corpo matrice di segni”, del Settembre 2010.
Eppure Simone Regazzoni in
La
palestra di Platone
Regazzoni lo fa partendo dal pensiero e dal praticare di
Platone, rivelando alle origini della filosofia greca lo stretto nesso, di più,
l’indissolubile unica radice tra il filosofare e il lottare, il
combattere.
Da buon filosofo, Regazzoni ripercorre attentamente il
pensiero di Platone, e con lui di Epitteto spingendosi fino a Friedrich Nietzsche
e Paul-Michel
Foucault, mostrando un Platone “filosofo – atleta che fa della lotta il
cuore dell’allenamento filosofico”, e lo fa citando passi di opere
quali Fedro, Repubblica, Simposio ecc.
Pagine intense sono dedicate alla critica della filosofia
come astratta forma mentale, così come alla critica di quei filosofi che,
disdegnando il loro essere corpo, sono tutto raziocinio, pensiero, ovvero
elaborano, a loro insaputa (!!), pensieri da e di corpo asfittico, debole,
dunque incompleti. Quello che sempre Derrida chiamava logocentrismo. (1)
Pagine in cui campeggia l’askesis che è “cura
e allenamento integrale di sé, come trasformazione della vita”; in cui
l’autore pigia forte sul concetto di “pensare attraverso il corpo
e di “cominciare a filosofare a partire da e attraverso la carne del
corpo”.
Regazzoni, filosofo praticante Arti Marziali, scrive un
libro denso, stimolante, profondo, quanto di agile e coinvolgente lettura.
Libro ottimo, non privo, per me di alcune pecche.
Soprassiedo su una certa vena narcisistica che lo vede
campeggiare in numerose fotografie, scrivere delle sue imprese muscolari fino a
citare una serata di 300 combattimenti di tre minuti l’uno: tre minuti per 300
incontri = 900 minuti. Come a dire 15 ore di combattimento ininterrotto. Io che ho guidato più volte quella che chiamavo
“La Notte del Guerriero”, ovvero otto ore di formazione marziale
all’aperto, dalla mezzanotte all’alba, con soste di 10 minuti ogni due ore, in
cui il combattimento era solo una parte, posso dire tranquillamente che non lo
credo possibile e, comunque, una sera di 15 ore la si trova, che so, in
Norvegia dove la notte dura anche 24 ore.
Mi importa, invece, sottolineare che Regazzoni conserva del
corpo e dell’allenamento (termine che io aborro, sostituendolo con
“formazione”) una visione ancora meccanicistica, come assemblaggio
di più parti, in cui domina l’aspetto muscolare (e le fasce? e i tendini? di
più: e gli organi?) e relativo potenziamento, in cui, inoltre, manca l’aspetto
energetico interno, l’intelligenza interiore. Perché:
“Il nostro corpo è animato (animale) e al
contempo spirituale: si comporta secondo pensiero, con senso, o come preferiamo
dire. Il corpo non è ‘altro’ rispetto alla persona o al soggetto: è l’essere –
al mondo della persona o del soggetto. L’anima, o qualsivoglia dire lo spirito,
è il rapporto del corpo con se stesso” (Intervista a Jean Luc
Nancy in “La chiave di Sophia” Giugno – Settembre 2020)
“Il nostro corpo è abitato: sangue, ossa,
organi, muscoli segnalano una vita interna che non si esaurisce nella sua fisiologia,
ma che produce intrecci, sovrapposizioni e risonanze nella nostra esperienza
emozionale, affettiva, psichica.” (Ivano Gamelli “La
pedagogia del corpo”)
Credo che l’uomo rinascimentale, quello del libro e spada,
come il samurai del bun bu ryodo, la doppia Via del sapere e del
combattere, siano un buon esempio per ogni odierno filosofo – lottatore, per riprendere
la felice espressione di Regazzoni.
Auguro, altresì, a Regazzoni di incontrare, nella sua
pratica, una qualche forma di espressione corporea che lo stimoli a capirsi
corpo fisicoemotivo consapevole e olistico, oltre il semplice potenziamento
muscolare: che abbia alle spalle a sua volta un combattente, come è per il
metodo Feldenkrais o il Trager, o semplicemente una intelligente e audace ricercatrice
come Bonnie
Bainbridge Cohen con il suo Body Mind Centering, sarà per lui senz’altro un
punto di svolta radicale.
Per questo mi permetto di cogliere nella sua visione e nel
suo “allenamento” una certa mancanza del sé fisicoemotivo e delle sue possibilità
di cedevolezza e flessibilità. Di queste fondamentali “armi” ho scritto già
troppe volte per tornarci qui.
Queste sono righe dedicate all’ottimo libro di Simone
Regazzoni, la cui lettura consiglio a tutti quelli che ancora credono mente
e corpo separati, credono ad un pensiero possibile avulso dal corpo come,
viceversa, al primato del fisico muscolare e possente; ma anche a tutti quelli
che già studiano e praticano nel solco del sé integrale e vogliono altri
stimoli e altre conferme al loro percorso. Il libro vale!!
Concludo, a mò di sollecitazione per chi non li conoscesse
e fosse interessato all’argomento, quattro libri che si muovono nel solco
indicato da Regazzoni. Ne scelgo due “datati” e due più recenti, due italiani e
due in lingua straniera:
Pensare col corpo, di Tolja e Speciani (prima edizione a.
2003)
Body process – il lavoro con il corpo in psicoterapia, di J.K.
Kepner (prima edizione italiana a. 2005)
La pedagogia del corpo, di I. Gamelli (prima edizione a.
2011)
Sensazione, Emozione, Azione, di B. Bainbridge Cohen (prima
edizione italiana a. 2011)
“L’essere umano è una unità psicofisica (UP)
indissolubile, pur nell’articolazione delle funzioni vitali. Il corpo è
un’unità inscindibile che genera in se stessa il proprio ‘senso’” (S.
Guerra Lisi & G. Stefani)
1. E se estendessimo questa critica a tutte le terapie psicologiche
fondate sul rapporto verbale, sulle associazioni mentali? Terapie in cui poco,
pochissimo, c’è di corpo e, soprattutto, nessuno, terapeuta e cliente, del “corpo”
è consapevole. Critica che farebbe crollare il castello…
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