domenica 16 gennaio 2022

La palestra di Platone

Ormai da oltre vent’anni hanno preso piena diffusione, anche nel nostro paese, testi che smentiscono la separazione mente  - corpo, l’ambiguo e fuorviante “mens san in corpore sano”, fino a mostrare che tutto di noi è corpo: “essere fisicoemotivo, come lo chiama Stefania Guerra Lisi, artista, formatrice, esperta della riabilitazione di disabili sensoriali, motori e psichici,  nel suo ottimo “Il corpo matrice di segni”,  del Settembre 2010.

Eppure Simone Regazzoni in

La palestra di Platone

riesce a dare un ulteriore contributo, di estrema qualità, alle teorie che dichiarano, senza mezzi termini, che “La mente è incorporata, nel senso più pieno del termine, non soltanto intrisa nel cervello” (Antonio Damasio, neurologo, neuroscienziato e psicologo, nel suo “L’errore di Cartesio”, testo del 1995!!)

Regazzoni lo fa partendo dal pensiero e dal praticare di Platone, rivelando alle origini della filosofia greca lo stretto nesso, di più, l’indissolubile unica radice tra il filosofare e il lottare, il combattere.

Da buon filosofo, Regazzoni ripercorre attentamente il pensiero di Platone, e con lui di Epitteto spingendosi fino a Friedrich Nietzsche e Paul-Michel Foucault, mostrando un Platone “filosofo – atleta che fa della lotta il cuore dell’allenamento filosofico”, e lo fa citando passi di opere quali Fedro, Repubblica, Simposio ecc.

Pagine intense sono dedicate alla critica della filosofia come astratta forma mentale, così come alla critica di quei filosofi che, disdegnando il loro essere corpo, sono tutto raziocinio, pensiero, ovvero elaborano, a loro insaputa (!!), pensieri da e di corpo asfittico, debole, dunque incompleti. Quello che sempre Derrida chiamava logocentrismo. (1)

Pagine in cui campeggia l’askesis che è “cura e allenamento integrale di sé, come trasformazione della vita”; in cui l’autore pigia forte sul concetto di “pensare attraverso il corpo e di “cominciare a filosofare a partire da e attraverso la carne del corpo”.

Regazzoni, filosofo praticante Arti Marziali, scrive un libro denso, stimolante, profondo, quanto di agile e coinvolgente lettura.

Libro ottimo, non privo, per me di alcune pecche.

Soprassiedo su una certa vena narcisistica che lo vede campeggiare in numerose fotografie, scrivere delle sue imprese muscolari fino a citare una serata di 300 combattimenti di tre minuti l’uno: tre minuti per 300 incontri = 900 minuti. Come a dire 15 ore di combattimento ininterrotto.  Io che ho guidato più volte quella che chiamavo “La Notte del Guerriero”, ovvero otto ore di formazione marziale all’aperto, dalla mezzanotte all’alba, con soste di 10 minuti ogni due ore, in cui il combattimento era solo una parte, posso dire tranquillamente che non lo credo possibile e, comunque, una sera di 15 ore la si trova, che so, in Norvegia dove la notte dura anche 24 ore.

Mi importa, invece, sottolineare che Regazzoni conserva del corpo e dell’allenamento (termine che io aborro, sostituendolo con “formazione”) una visione ancora meccanicistica, come assemblaggio di più parti, in cui domina l’aspetto muscolare (e le fasce? e i tendini? di più: e gli organi?) e relativo potenziamento, in cui, inoltre, manca l’aspetto energetico interno, l’intelligenza interiore. Perché:

“Il nostro corpo è animato (animale) e al contempo spirituale: si comporta secondo pensiero, con senso, o come preferiamo dire. Il corpo non è ‘altro’ rispetto alla persona o al soggetto: è l’essere – al mondo della persona o del soggetto. L’anima, o qualsivoglia dire lo spirito, è il rapporto del corpo con se stesso” (Intervista a Jean Luc Nancy in “La chiave di Sophia” Giugno – Settembre 2020)

“Il nostro corpo è abitato: sangue, ossa, organi, muscoli segnalano una vita interna che non si esaurisce nella sua fisiologia, ma che produce intrecci, sovrapposizioni e risonanze nella nostra esperienza emozionale, affettiva, psichica.” (Ivano Gamelli “La pedagogia del corpo”)

 Riferendomi ad alcune sue frasi sul dialogo (pg. 115) che l’autore giustamente critica perché spesso inteso come semplice scambio pacifico di opinioni, mi preme rilevare che da oltre un decennio c’è chi ha ben letto il dialogo invece come confronto conflittuale (vedi il pensiero e le proposte pratiche di Daniele Novara, pedagogista e scrittore). Aggiungo che, per me, la stessa lotta, il corpo a corpo non è scontro di muscoli e supremazia di tecniche. Essa, come in ogni relazione sentimentale, famigliare, di lavoro, è contemporaneamente: Io so cosa e come faccio, capisco cosa e come fa il mio contendente e cerco di intuire cosa lui ha capito di me e del mio fare. Il nostro modo di intendere Chi Sao (mani appiccicate) potrebbe essere terreno di buona pratica e buone scoperte per Regazzoni, come filosofo – lottatore; potrebbe essere un ottimo viatico per qualsiasi filosofo – lottatore nel suo vivere quotidiano, nelle sue relazioni quotidiane. Che è, per me, l’autentico insegnamento delle Arti Marziali.

Credo che l’uomo rinascimentale, quello del libro e spada, come il samurai del bun bu ryodo, la doppia Via del sapere e del combattere, siano un buon esempio per ogni odierno filosofo – lottatore, per riprendere la felice espressione di Regazzoni.

Auguro, altresì, a Regazzoni di incontrare, nella sua pratica, una qualche forma di espressione corporea che lo stimoli a capirsi corpo fisicoemotivo consapevole e olistico, oltre il semplice potenziamento muscolare: che abbia alle spalle a sua volta un combattente, come è per il metodo Feldenkrais o il Trager, o semplicemente una intelligente e audace ricercatrice come Bonnie Bainbridge Cohen con il suo Body Mind Centering, sarà per lui senz’altro un punto di svolta radicale.

Per questo mi permetto di cogliere nella sua visione e nel suo “allenamento” una certa mancanza del sé fisicoemotivo e delle sue possibilità di cedevolezza e flessibilità. Di queste fondamentali “armi” ho scritto già troppe volte per tornarci qui.

Queste sono righe dedicate all’ottimo libro di Simone Regazzoni, la cui lettura consiglio a tutti quelli che ancora credono mente e corpo separati, credono ad un pensiero possibile avulso dal corpo come, viceversa, al primato del fisico muscolare e possente; ma anche a tutti quelli che già studiano e praticano nel solco del sé integrale e vogliono altri stimoli e altre conferme al loro percorso. Il libro vale!!

Concludo, a mò di sollecitazione per chi non li conoscesse e fosse interessato all’argomento, quattro libri che si muovono nel solco indicato da Regazzoni. Ne scelgo due “datati” e due più recenti, due italiani e due in lingua straniera:

Pensare col corpo, di Tolja e Speciani (prima edizione a. 2003)

Body process – il lavoro con il corpo in psicoterapia, di J.K. Kepner (prima edizione italiana a. 2005)

La pedagogia del corpo, di I. Gamelli (prima edizione a. 2011)

Sensazione, Emozione, Azione, di B. Bainbridge Cohen (prima edizione italiana a. 2011)

 

“L’essere umano è una unità psicofisica (UP) indissolubile, pur nell’articolazione delle funzioni vitali. Il corpo è un’unità inscindibile che genera in se stessa il proprio ‘senso’” (S. Guerra Lisi & G. Stefani)

 

1. E se estendessimo questa critica a tutte le terapie psicologiche fondate sul rapporto verbale, sulle associazioni mentali? Terapie in cui poco, pochissimo, c’è di corpo e, soprattutto, nessuno, terapeuta e cliente, del “corpo” è consapevole. Critica che farebbe crollare il castello…

 

 

 

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