Un anonimo grigiore diffuso si stempera sui vetri della finestra. Sono uggiose giornate di pioggia che riportano alla memoria i primi, lontani, accadimenti del mio percorso marziale.
Così, rovistando tra i cassetti, mi ritrovo tra le mani la cartelletta di presentazione di un campionato del mondo IAKF (International Amateur Karate Federation), la potente organizzazione mondale di Karate che la FESIKA rappresentava in Italia: Invitato alla cerimonia di presentazione e al pranzo di gala. In mezzo a dirigenti internazionali, giornalisti e atleti pluridecorati, annuso l’aria delle competizioni di alto livello.
Sono gli anni in cui, accanto al karategi per praticare,
indosso le vesti del “dirigente sportivo” (1), il che mi consente di
organizzare, insieme a Giacomo Spartaco Bertoletti, il deus ex machina della
rivista Samurai e della “Pasqua del Budo” (2), intensi stage con Maestri
giapponesi di stili di Karate che non fosse lo Shotokan, allora l’unico praticato
in nord Italia, scoprendo così di persona la potenza e fluidità del Karate
Shito Ryu; di portare dalla Cina a Milano, per la prima volta in assoluto, i
monaci Shaolin e ricordo ancora come trafugai dalle rotaie di una linea
tramviaria il blocco di pietra che uno di loro avrebbe spezzato in occasione della
pubblica esibizione; di conoscere di persona, tentando una impossibile
mediazione, i maestri di Judo Tadashi Koike e Cesare Barioli, l’uno sostenitore
del Judo sportivo e l’altro del Judo Tradizionale, educativo; di organizzare
momenti di pratica e lunghe discussioni con Mario Bottoni, ortodosso Maestro di
Kendo, messo ai margini da chi fomentava il Kendo in versione sportiva; di
contattare ed organizzare incontri ed allenamenti con i due Maestri più
importanti del nascente movimento “Contact”, il Karate dove i colpi vengono
portati a contatto, ovvero Falsoni e Bellettini, in rapporti non proprio
amichevoli tra di loro, e poi con loro allievi prestigiosi e titolati come Jean
Marc Tonus, Isidoro La Spina, Federico Milani.
Sono solo alcuni gli episodi, le situazioni, che mi
attraversano ora la memoria; so che, se indugiassi dentro questo pigro mattino abitato
da una pioggia incessante, altri salirebbero in superficie.
Preferisco, però, lasciarmi
andare a pensieri sparsi, pensieri anche disordinati, su dove stia ora, dopo
quasi cinquant’anni di pratica attraverso diverse Arti e sport, asiatici quanto
“occidentali”, antichi quanto moderni, contemporanei, la qualità del mio essere
corpo, essere corpo in movimento.
Come molti, forse tutti, iniziai a praticare subendo che venissero stabiliti in partenza dei limiti strutturali e concettuali entro cui definire (imprigionare?) i principi del movimento, accettando che un “nome” definisse una costruzione tutto sommato limitata e tendenzialmente immutabile nel tempo.
Direzione prona alla corrente ancora predominante, in cui
corpo e movimento sono vissuti come Korper, corpo oggetto, dunque
merce e prodotto, e non area di scoperta e sperimentazione di corpo Leib,
corpo abitato, corpo vissuto, (3) e movimento studiato nelle sue diverse
possibilità e libertà di espressione.
Tante tecniche, tanti esercizi (nelle varie Arti Marziali
come nelle discipline di fitness che sempre più rapidamente cambiano di nome ad
ogni cambio di moda) che, di fatto, rappresentano solo versioni parzialmente difformi
degli stessi movimenti.
Negli anni, nei decenni, nella
pratica marziale passo dalla ricerca dell’Arte che sia la più completa ed
efficace, praticando continuativamente o saltuariamente diverse Arti, al
ritenere di superare le deficienze che scopro dell’una o dell’altra
mischiandole tra di loro, fino a comprendere che la soluzione non sta nella
mistura di tecniche e gesti ma nel movimento inteso come linfa del movimento
stesso, come pratica corporea esperienziale e consapevole.
Così, come “Spirito Ribelle”,
da alcuni anni propongo un habitat di cultura pratica, somatica, gestuale, in
cui ognuno, forte delle sue caratteristiche, della sua personale storia
fisicoemotiva, intraprenda il cammino per scoprire quale sia la miglior
versione di se stesso e lo faccia attraverso il movimento perché noi
siamo quello che agiamo e come lo agiamo, incontrandosi e anche scontrandosi
di corpo, nel solco del combattimento quale modalità di formazione ad ogni
tipo di scontro che il quotidiano ci ponga davanti o addirittura ci imponga.
Allora, pur consapevole che “la mappa non è il territorio”,
basta un’occhiata a come uno si siede o si alza dalla seggiola, a come sta in
piedi, a come avvia il primo passo, a come cambia direzione nello spazio, a
come respira quando sorpreso da mutamenti inaspettati, per capirne la qualità
del suo essere corpo, essere corpo in movimento, la qualità del suo studiare
e praticare di corpo in movimento.
1. 1. Erano
quelli anni in cui era considerato disdicevole, irrispettoso, praticare con
altri che non fosse il tuo ed unico Maestro. Ogni azione in tal senso era
sanzionata con la messa alla porta dal Dojo, sovente preceduta da un pestaggio
punitivo. Fu solo il mio carattere per così dire avventato e, soprattutto, il
mio ruolo dirigenziale nell’ambiente, che mi consentì di avvicinare, praticando
anche, Maestri diversi e di diverse Arti.
2. 2. Si
deve a GS Bertoletti la creazione e la ripetizione negli anni di un evento,
“Pasqua del Budo”, che offriva, in una unica lunga serata, esibizioni di
Maestri ed Arti provenienti prima da tutta Italia e poi dal mondo intero.
Occasione incredibile per vedere, apprezzando o meno, Maestri più o meno famosi
ed Arti di cui capitava di avere letto o sentito dire senza mai averle potuto
osservare in azione. Non erano ancora gli anni di you tube o dei social!!
3. 3. Ne
hanno scritto, tra gli altri e per restare all’interno del nostro alveo
culturale d’Occidente, Schopenhauer, Husserl, Merleau Ponty, Fuchs, Dagognet,
Carbone, Galimberti, Borgna.
4. 4. Ho
praticato, saltuariamente o continuativamente, Trager, Feldenkrais, Expression
Primitive, Danza sensibile. Da alcuni anni pratico Body Mind Centering, Danza
Terapia, Laban Movement Analysis.
Nessun commento:
Posta un commento