Pratico e pratichiamo con
spirito tanto appassionato quanto col sorriso che, nel mentre illumina il
volto, rinfresca il cuore.
Proprio perché concentrati sul “qui ed ora” e sempre
consapevoli di simulare (non fingere: Simulare) uno scontro distruttivo,
ciò non esclude che il pensiero sappia che si muore. Si muore per diverse
circostanze, per imprevedibili calamità, per atroci percorsi di malattia, per
caso e per vecchiaia. Comunque si muore.
Ma è proprio la pratica marziale, con le sue radici taoiste
che la cultura buddista non evita di bagnare, ad insegnarci che prima di morire
tutti hanno diritto ad un momento di bene. E’ la pratica marziale ad invitarci
a non galleggiare, ma a scendere fin nel profondo anche quando il respiro ti si
strozza in gola e sai che stai per annegare. Nonostante questo, non ci
dimentichiamo mai di sorridere del nostro essere umani fragili e ritorti su noi
stessi e il momento di bene emerge in figura lasciando miserie e piccolezze
sullo sfondo.
Pare proprio che come
comportamento collettivo la specie umana, a differenza delle altre specie
animali, abbia una componente autodistruttiva, di tensione pessimista e suicida
a cui fa da contraltare una sfrenata voglia di dissipazione e crapula smodata.
In questo margine, chi si ispira al senso del confliggere,
chi cerca radici nella bellezza dell’essere corpo, corpo Leib, e
nell’accettazione del buio e della luce, dello Yin e dello Yang
senza preclusione alcuna, sceglie una strada non comune: la strada dell’essere
artisti marziali.
Chi lo fa, si avvia per strade apparentemente sicure che
però costeggiano e poi attraversano la foresta, questo luogo selvatico, non civilizzato,
che separa un luogo civile da un altro, dove vivono i mostri, che sono poi i
nostri stessi mostri.
“Oggi essere rivoluzionari significa togliere più che
aggiungere, rallentare più che accelerare, significa dare valore al silenzio,
alla luce, alla fragilità, alla dolcezza” scrive il poeta Franco Arminio.
Significa, per noi artisti dell’Arte Marziale, camminatori
sulla via del Budo, accostarci al contatto fisico perché
dischiuda un senso profondo di noi, consentendoci di conoscere spazi (momenti?)
di quiete e vuoto (sarà mica il “vuoto fertile” di stampo gestaltico?) come di
esuberanza ed espansione. Significa conoscere il confine tra me e l’altro e
scegliere se e come varcarlo.
Significa vivere.
Chi creda che le Arti Marziali
siano palcoscenico di solerti muscolosi picchiatori o salotto di rigidi
intellettuali della forma, del dogma e della dottrina, è in errore.
Esse sono elisir di vita. Vita vera.