lunedì 22 giugno 2015

Lo spadaccino e il demone muto


Montedinove (AP): Seminario Kenshindo
Mercoledì 17 Giugno

 Acciaio letale. Delirio guerriero.
Ci prepariamo con i bokken, spostamenti repentini.
L’avversario di fronte, poi alle spalle.
Tracciamo il percorso dei fendenti seguendo la linea dettata dal bokken dell’altro, posto di traverso, tra collo ed anca.
Delirio di scontro e confronto.
Suburbia di rancori e pietà. Come una periferia malfamata, da tempo abbandonata al suo rovinoso destino. Intrisa di strade strette e strette, strettissime, prospettive di emancipazione. Lì covano energie dissennate, umori repressi, miscuglio di violenze e fratellanza di strada, prevaricazioni di banda e complicità nascoste.

Ti vorrei qui, accanto a me. Se non a praticare acciaio, a condividere l’aria impregnata di emozioni profonde, di me che mi disvelo ai muti mostri famelici che mi divorano dentro. Che io sono anche questo.

La Via dello spirito della spada”, Kenshindo. Siamo in cinque. Figuri in blu e nero a stagliarsi nel paesaggio maturo delle colline marchigiane, sotto un cielo striato di blu e di viola.
L’acciaio dei katana ingaggia i colori caldi del posto, marroni dalle venature di porpora e verdi mossi come acqua di mare.
L’acciaio straccia l’aria, volti tesi nello spasmo dell’uccisione.
Quanti figuri di blu e di nero ho visto passare.
Chi a scivolare lieve nell’apatia e nella noia che dà brandire una spada come morto oggetto di trastullo, passatempo superficiale, fuori moda.
Chi a fuggire spaventato dopo aver incontrato gli occhi del demonio, il suo demonio, subendo la sconfitta, precipitandosi in ritirata, per salvarsi il culo e non giocare da protagonista il proprio vivere, che la comparsa, in scena, non ha responsabilità.
Chi a lottare, a straziarsi il cuore in una pratica, in un amore enorme e totalizzante, spada sempre con sé, finché arriva il momento che tutta la legna si è esaurita nel bruciare alta, ancora più alta, la fiamma della passione e allora il fuoco muore e ci si accontenta del caldo della cenere, finché dura. Perché poi, il morso del gelido inverno come la banalità del mediocre quotidiano, hanno il sopravvento. E di quella passione, di quell’amore enorme, non resta che uno sbiadito ricordo ed un katana impolverato ad intristirsi inutile su di un mobile in salotto.

Siamo in cinque, solo in cinque e così tanti in cinque, per un fare d’acciaio che divide e sconquassa e rivolta, dentro prima ancora che fuori.
I fasci di bambù ora incombono.
Se le misure contano, 20 centimetri circa di circonferenza, abbiamo pure da fare i conti con la mobilità stessa insita in sei, sette canne tenute insieme da degli elastici: un colpo, un impatto impreciso o grossolano, tagliente malamente a dilaniare il fascio, e le canne si smuovono, creando spazi e fratture imprevedibili.
Le lame calano e ascendono in un susseguirsi cadenzato da movimenti e sbuffi e grida di guerra.
Poi … quel che è stato è stato.
Ognuno di noi cinque sa.

A tavola, coccolati dalla gentilezza di Graziella, la padrona di casa, tra vino forte e liquoroso e la ricchezza stupefacente della cucina marchigiana, le parole del cuore scorrono fluenti.
Fuori, il cielo nero si trapunta di mille e mille stelle.

 “Tra vent’anni non sarete delusi delle cose che avete fatto ma da quelle che non avete fatto. Allora levate l’ancora, abbandonate i porti sicuri, catturate il vento nelle vostre vele. Esplorate. Sognate Scoprite”
(M. Twain)
 





Tutto ciò che veramente vuoi


13 e 14 Giugno
Country House UNA. Cupra Marittima (AP)

 Il sole  e le nuvole, l’azzurro del cielo che poi si sfalda nel grigio minaccioso. Ovunque verde e verde e verde.
Trentacinquesimo Gasshuku, Stage Estivo.

Il corpo interno, bacino calmo e insieme oceano profondo, dalle enormi masse nere, oscure.
La pratica del Tai Chi Chuan, la costruzione di un corpo marziale. Gettiamo le basi poi … ci sarà ancora da “lavorare” lungo una strada che non ha fine. Lo sa bene Giuseppe, amico, allievo e a sua volta Maestro, anche lui a cavalcare le forme, i dossi, gli avvallamenti del fare marziale da più di trent’anni, come lo sta imparando Francesco, praticamente un “neonato” ma comunque attento e desideroso di imparare.

Gli spostamenti ed i colpi del Kenpo. Occupare lo spazio, più gioco e strategia del go che gioco e strategia degli scacchi.
Armi naturali, gambe e braccia, che investono il campo, il territorio avversario.
Occupazione totale che non lascia via di scampo.

La sera, il combattimento libero armato.
Si va di scudo, spada corta, coltello, spada lunga. Ognuno sceglie le sue armi.
Davide duetta con le doppie spade corte, Giovanni si arrangia di scudo e spada corta.
Argisa, il riposo dell'infortunata
Poi sperimentiamo armi scelte da altri, che altri ci impongono. Duelliamo ancora.
Argisa incespica e crolla al suolo: dolore lancinante che le impedisce di proseguire.

I praticanti Kenshindo, la “Via dello spirito della spada”, impugnano i loro katana.
Le prime quattro sequenze del Tameshigiri.
Ora, i fasci di canne di bambù si ergono davanti al praticante.
Un taglio, un fendente dopo l’altro.
Falciata calante, sibilo lugubre attraversa la notte nera, malamente lacerata da un paio di lampade fievoli.
Falciata ascendente, “crack”, qualcosa di verde si rompe, altro resta, pencolante lembo di fusto ferito, disperatamente attaccato al suo centro.
Falciata orizzontale, a volte le canne si schiantano, un’altra vengono scagliate, blocco inerte e compatto, ad almeno dieci metri oltre il trespolo di sostegno.
L’acciaio balugina nella notte. Il macabro rito dell’uccisione si ripete incessante.
Sono quasi le 02.00 quando l’acciaio torna a sonnecchiare nei foderi. Bestia mai del tutto sopita.

Visi assonnati, a colazione. Il profilo elegante di Simona e l’intenso sguardo di Tina.
Ancora pratica marziale, tra i movimenti sotterranei, nascosti, del Tai Chi Chuan e gli scontri ruvidi del Kenpo.
I guantoni si abbattono sui visi sudati, risuonano secchi su costole e ventri.
Fa caldo, accanto alla piscina, lei sì silenziosa e tranquilla.
il bel sorriso di Francesco

Il saluto finale, quello che chiude la dozzina di ore di pratica tra Sabato e Domenica.
Simona anche questa volta con noi
Gli occhi belli, semplicemente, belli, di tutti.
E su tutti, per questa volta, gli occhi chiari, luminosi, di Stefano a ricevere la cintura nera dalle mani dal suo Maestro Valerio, poi il diploma, shodan, dalle mie.
Gli abbracci, le fotografie, le lacrime di commozione.

Lo stage finisce qui. La festa, il viaggio, lo stare insieme, no. Questo continua, qui e altrove, fino a che ognuno lo vorrà.






Clan di guerrieri e ... amici




Matteo ed una piscina solo per lui


Simona G. alle prese con il bokken


Lo sguardo intenso di Tina



 

Sensei Tiziano

venerdì 5 giugno 2015

Whiplash


“Per favore, togli quel sangue dalla mia batteria”
(dal film Whiplash)

La locandina del film
 Piero, carissimo amico sin dai miei diciott’anni, mi suggerisce la visione di  Whiplash”,insistendo sulle caratteristiche di passione ed elogio della fatica nell’imparare che il film mostra.
Ed arriva la sera che, approfittando dell’assenza di Lupo, io e Monica ci sediamo sul divano per goderci il film.

In sintesi, la pellicola, del 2014, (apprezzata e premiata la notte degli Oscar), narra di un giovane aspirante batterista, al suo primo anno in una delle più prestigiose scuole di musica jazz neworkesi, e del tormentato rapporto con un docente esigentissimo verso i suoi allievi, violento fisicamente e psicologicamente, fino ai confini del sadismo. (1)
Il nocciolo della trama, in perfetto quanto monolitico stile U.S.A. è: solo uno su mille merita di farcela e per farcela deve penare e soffrire oltre ogni limite.
Così, l’apprendistato alla batteria di Andrew, il giovane batterista, prende le forme di uno scontro senza esclusione di colpi, una guerra a tutto campo.

In Whiplash, fedeli allo logica proposta che travalica il classico “no pain, no gain” per abbracciare il parossistico “more pain, more gain”, troviamo dei riferimenti espliciti al cinema, sia quello supinamente prono sia quello  critico verso questa logica: gli insulti, a sfondo omofobo-xenofobo, di Fletcher (il docente) ai suoi allievi, riecheggiano quelli del sergente Hartman in Full Metal Jacket, mentre in più di un’inquadratura si potrebbe scambiare il viso tumefatto e sudato di Andrew con quello di Robert De Niro in Toro Scatenato o di Silvester Stallone nei vari Rocky. Il musicista jazz come soldato e come pugile, dunque, perché la relazione docente / allievo è tutta fondata sull’assolutismo, sulla prevaricazione per stimolare una reazione , reazione che nell’allievo dotato, geniale, lo porterà al successo altrettanto totale, assoluto.
E gli altri ? Due lacrime sul giovane trombettista che pareva ce l’avesse fatta, poi “un incidente” (dice Flechter, il docente) ne ha spezzato il cammino, e .. “the show must go on”, via con la musica e le prove dell’orchestra.  Ah, “l’incidente” è il suicido del trombettista, che non ha retto lo stress.
Il film, in parte autobiografico perché il regista ha un passato da batterista, ha generalmente riscosso successo per la trama avvincente, le intense interpretazioni dei due protagonisti, le musiche jazz sconosciute ai più, dunque senza nessun ammiccamento all’udito delle masse, ma davvero godibili.

Poche le voci dissonanti, tra cui quella di Goffredo Fofi, critico verso questo modello U.S.A. tanto da definire il film “una favola per gonzi di destra”.
Quel che mi ha sorpreso, nelle recensioni “ufficiali” come nel “sentito” di chi lo ha visto, è la mancanza di alcuna riflessione sulla didattica e pedagogia / andragogia che il film sostiene.

by roboticdesign
Per restare nel campo “Arti Marziali”, io ho iniziato con un Maestro che, in perfetta sintonia con l’ambiente Karate degli anni ’70, insegnava senza ammettere repliche, colpendo fisicamente gli allievi immobili sulle ginocchia o sul tronco per correggere “posizioni” non adeguate, colpendoli verbalmente nei sentimenti. Il locale, come molti di voi sanno, era privo di luce elettrica, riscaldamento e servizi igienici. Il combattimento “controllato”, veniva fatto senza protezione alcuna, per cui gli incidenti, in allenamento o in gara, erano all’ordine del giorno. Unica protezione consentita la “conchiglia”, che mi fu spezzata con un calcio frontale.
Io stesso, per anni, riprodussi quella logica.
Io che venivo dalle logiche ( e pratiche !) rivoltose ed anti potere del ’68, che sfidavo l’opinione pubblica con i capelli lunghi fino alle spalle e i foulard portati ai polsi ed alle caviglie, che mi scontravo ripetutamente con l’ordine costituito ed i suoi rappresentanti.

Insomma, per dirla sul “generale”, nel corso degli anni abbiamo assistito alla realizzazione democratica della scuola di massa, obbligatoria e dunque aperta a tutti, che ha però anche significato appiattimento culturale e perdita di ogni risorsa individuale; all’estensione di internet e social network che ha permesso di diffondere conoscenze e contatti virtuali, uccidendo, al contempo, le relazioni reali ed il sapere realmente studiato, masticato e digerito; la flessibilità lavorativa che, con la perdita del “posto fisso”, ha portato con sé la precarietà emotiva del soggetto lavoratore.

Dunque, da un lato trovo disumana la pedagogia / andragogia esaltata nel film, dall’altro, nel mio personale di uomo, padre, counselor e docente di Arti Marziali, non posso non notare i danni provocati dal lassismo, dall’appiattimento culturale, ormai sovrano.

Eppure, una “terza Via” c’è, eccome.
Tra il bambino cresciuto in mezzo a capricci eternamente soddisfatti, regole poco indicate e mai rispettate, coccolato e protetto fino ai quaranta e magari oltre, casa comperata dai genitori e lavoro procurato dagli stessi, ed il bambino cresciuto da chi sia convinto che questi, per imparare, debba essere umiliato, che crescerlo a urla e sgridate quando non a ceffoni gli faccia solo bene, che  il ricatto “se prendi un brutto voto salti la gita con gli amici”, sia un metodo educativo vincente, si è fatta largo, negli anni, una terza prassi educativa e formativa.
Quella esposta dai vari Neill, Rodari, Steiner, don Milani, Dolci, Oliverio, Novara.

Quella che, nel nostro piccolo, da alcuni decenni proponiamo ad adulti e ragazzi e bambini, lavorando in primis sull’esempio e sul linguaggio analogico del facilitatore, di chi il gruppo conduce; poi su una didattica, un’andragogia e pedagogia maieutica in cui sia l’allievo, piccolo o grande non importa, a cercare la sua strada nel bosco, la sua uscita dal labirinto, a conoscere le sue emozioni, le sue parti oscure, ad accettare la vulnerabilità come area di forza, a stare nel confliggere come luogo di crescita.
Lo facciamo ogni sera in pedana, ma anche in occasioni ad hoc, che sia la Notte del Guerriero ( otto ore non stop di pratica marziale, dalla mezzanotte alle otto del mattino) o la Stille Nacht ( due ore di pratica marziale al buio ed in assoluto silenzio) o il recente Raduno dei Bambini e Ragazzi con formazione marziale e “dormita” all’aperto ( qui accanto, in SHIRO, potete leggere i commenti di tutti gli undici giovanissimi protagonisti. Alcune frasi, nella loro poesia, nella loro innocenza, racchiudono un mondo !!). Occasioni in cui stimolare ed incuriosire ad ingaggiare se stessi e le proprie paure, a darsi fiducia nelle piccole cose manuali come nelle progettazioni teoriche più complesse, ad accettare il confronto.
Non sempre, anzi, privi di errore nel nostro proporre e fare, ma consapevoli che anche errare può e deve essere un momento di confronto e crescita. Insieme.

by idanuphotography
 “Se c’è qualcosa che vorremmo cambiare in un bambino, dovremmo prima esaminarla e vedere se non è qualcosa che faremmo meglio a cambiare in noi stessi”
(C.G. Jung)

 (1) Mi sorge un dubbio: Che trattino di musica / spettacolo o di ristorazione, quale è il motivo per cui hanno così tanto successo i vari “talent” in cui il giudice o il cuoco di fama maltratta esplicitamente il candidato  ? Di più, perché i  docenti sadici arrivano alle vette della notorietà anche ben oltre i confini  del talent in cui appaiono ? Perché vederli tormentare le loro vittime è per molti uno spettacolo assolutamente imperdibile ?
 


 

 

lunedì 1 giugno 2015

La spada dell’avventura


“Odio la guerra, detesto gli eserciti, amo combattere”
(anonimo)

Il mio katana
 Ruoto il katana, acciaio lesto nell’aria, l’arco cala, devastante lacerazione muta, a tranciare di netto immaginari avversari.
Precisione chirurgica, assoluta. Che il tagliente non è fatto per scontrarsi ottuso con il bersaglio, bensì per dividerlo, separarlo senza sfilacciamenti, senza avanzi sbocconcellati: tagliare è operazione divisoria senza resti.

Agriturismo "Mondo Antico"
Il verde, immenso, chiazze di colori chiaroscuri che si fondono e si sovrappongono tutt’intorno. La strada sale incontro al “Mondo Antico”, l’agriturismo che oggi raggiungiamo per visionarlo: sarà lui la sede del raduno residenziale Kenshindo ?
L’accoglienza è piacevole, sana e semplice. Vediamo tre spiazzi erbosi tra cui scegliere e Dario, il “capo”, ci accompagna attraverso vigneti, il biolago e le stalle che racchiudono i cavalli.
Ottimo vino bianco
Lo seguiamo volentieri, con Kali al guinzaglio di Monica, Lupo che sgambetta sudato, Giuseppe e Donatella sempre più spesso a collaborare, a sostenere le attività della Scuola.

Gokudo, duro, teso, irriducibile. La pratica del katana non può essere altrimenti. Perché l’acciaio è comunque pesante; perché la scelta è quella tremenda di uccidere per non essere uccisi; perché il lavoro fisico è tutto di bacino e respiro, di  struttura articolare e muscolatura profonda in azione, lasciando alle braccia ed alla muscolatura superficiale il solo compito di traduttore, di traghettatore dell’energia profonda del corpo dentro; perché lo scavo emotivo, perturbante, finanche angosciante, non si ferma mai, taglio dopo taglio, esso è scavare dentro l’Ombra, dentro i miasmi della palude che si affacciano al naso, è repellente rettile che ci lacera il cuore.

Un piccolo aperitivo, e che vino bianco forte e profumato !, poi tutti a tavola. Beh, qui al nord, fatico a ricordare un agriturismo dove io abbia mangiato altrettanto bene.
La scelta è facile: Sì, sarà questo il posto per il nostro Seminario Kenshindo di Luglio.
Gli ultimi dettagli organizzativi con la coriacea moglie del titolare, le chiacchiere affacciati sulla valle e per me pure un rumoroso russare !!

Tengu by nydwyngreendragon
Accovacciato in pedana, pulisco la lama. Lingue di luce fievole, simili a Tengu disorientati e lascivi, si allungano sulle pareti del Dojo. Tengu, creature fantastiche che, lentamente muoiono negli angoli bui del locale, come muoiono i palpiti e le lacerazioni del mio animo in feroce subbuglio. Scema la pratica dell’acciaio assassino e, con essa, scemano i fremiti nel cuore. Alla prossima.

 “Non amo la spada per la sua lama tagliente, né la freccia per la sua rapidità, né il guerriero per la sua gloria. Amo solo ciò che difendo”
(J.R.R. Tolkien)


Solo quindici giorni di vita



Monica e l'inseparabile Kalì

Scorcio sulla valle


 

martedì 26 maggio 2015

Il seme inquieto


Raduno ed Esami Kenpo Bimbi – Ragazzi
23 e 24 Maggio 2015

Agriturismo Il Bivacco
 Sono proprio loro, gli stessi, eppur così diversi.
Diversi, perché strappi, capricci, boriosi atteggiamenti, ansie che si fanno scatti d’ira, noia che diviene piattume intellettuale, nel gruppo scompaiono da subito.
Qualcosa, inquieto e sotterraneo, ora viene alla luce, nel verde dell’accogliente Agriturismo “Il Bivacco”, che ci ospita per questo evento.
Qualcosa, uno spirito di gruppo, quel JITAKYOEI che è “io insieme agli altri in armonia”, “amicizia e mutua prosperità”, si fa largo a spallate.

Costruiamo le tende
Si mostra mentre il Maestro Giuseppe li guida nella costruzione delle tende, ponendoli ogni volta di fronte a problemi concreti, al necessario connubio tra progetto teorico e realizzazione materiale, al dover lavorare in gruppo perché solo in gruppo, insieme, la genialità di uno acquista maggior vigore con l’intuizione dell’altro, perché solo dieci, dodici mani  insieme possono sostenere e manovrare aste di tre metri o rotoli di venti metri.

Piccoli boscaioli crescono
Si mostra mentre Giovanni li guida a far legna, in una solida catena umana, poi a manovrar di accetta perché i ceppi più grossi si spacchino divenendo utili al fuoco. Manualità antica, probabilmente persa ai più, anche tra gli adulti, che nei cuori di questi bambini non può che risvegliare l’eco del selvatico, dell’uomo che doveva, per sopravvivere, misurarsi ogni giorno con la potenza, questa sì sovraumana, delle Natura.

La curiosità dei bastoncini da sfilare dalle mani del Maestro Giuseppe. E il risultato sono i gruppi che faranno i turni di notte a guardia dei compagni che dormono.
Insieme, tutti, a preparare i giacigli sotto la tettoia, mentre il cielo nero versa in terra le prime gocce d’acqua.
La sorpresa ...
Cartoni che vengono stesi, a ripararsi dall’umidità, i sacchi a pelo e gli spontanei gesti d’aiuto a chi ha meno, a chi manca del k way o di un maglione pesante, che, fuori, la notte si è fatta fredda e la pioggia scrosciante.

Il saluto e via: l’Insegnante Celso e il Maestro Giuseppe a guidare giovani ombre guerriere.
Due ore di formazione marziale. Alla mezzanotte, chi è di guardia accende il fuoco nel braciere. Lingue rossastre lottano per distinguersi dal nero della notte.
Generazioni e generazioni di uomini e donne si sono scaldate, per non morire, al fuoco della legna. Antichi echi di un mondo lontano che siamo pur sempre noi. Ancora gesti sconosciuti ai bambini e ai ragazzi e la magia, potente e pericolosa, del fuoco e delle fiamme.

Accendere un fuoco
I gruppi di guardia si susseguono regolari. Rumori, fruscii, ombre distorte … in lontananza, versi animali, forse l’ululato del lupo, forse il bramire di un cervide, la vista lunga interminabili secondi di un coniglio selvatico. Brandelli d’autentica paura e semplici giochi di bimbo attorno al fuoco.

Giovani guerrieri dormono
Il chiassoso vociare delle tortore accompagna la sveglia. Questa volta il sole regna incontrastato nel cielo azzurro.
La colazione, e che colazione di dolci e dolcetti fatti in casa, di latte questo sì cremoso e denso !!
Poi, a smontare i giacigli, ad accatastare i cartoni, a smontare le tende e a mettere al riparo ciò che resta del fuoco.

Due ore di formazione marziale mentre arrivano i primi genitori, nonni e parenti.
La  veglia attorno al fuoco
I colpi secchi dei guantoni e lo sfilare rapido dei calci. Così insisto, ben coadiuvato da Donatella, perché la “guardia” non sia la goffa imitazione di un nerd incollato al telefono cellulare, di un modesto pugile dei giorni nostri, ma disveli il coraggio degli artigli mostrati all’avversario, dello spazio occupato ad affermare “io ci sono”.
Le combinazioni, l’attività multipla e simultanea, tra chi cede alle primi crisi pavide e chi getta il cuore oltre l’ostacolo.
Intanto gli altri giocano e lottano, con l’Insegnante Celso e il Maestro Giuseppe ripercorrendo quanto tracciato la notte prima.
Sveglia !!
Poi, tutti insieme, a praticare di Ju, la cedevolezza, la flessibilità, a smussare spigoli caratteriali, paure che sono duro quanto fragile vetro, gesti irosi che sono altrettante paure annidate dentro il cuore, dentro la pancia.
Di pugni e di calci
Perché noi siamo la Scuola della vulnerabilità, del mostrarsi nudi in quanto consapevoli della stupidità e dell’autentica sofferenza che ci infliggiamo attraverso maschere e ruoli con cui ci proteggiamo e ci mostriamo agli altri; delle resistenze di ognuno qui accettate e trasformate, a fatica certo, a tentoni, in risorse eccezionali.
Perché, allo Z.N.K.R., praticare Arti Marziali è praticare di sé per conoscersi e crescere .

Lo sguardo sornione del Sensei
Il saluto finale.
Io ripeto, ancora una volta, che “Ogni nostro gesto, qualsiasi esso sia, nel giocare come nello stringere amicizie, nel lottare, nello scegliere, nel lasciare, nell’allacciarsi le stringhe delle scarpe, nel cucinare, nel leggere un libro, in ogni gesto grande o piccolo che sia, portiamo sempre la nostra firma. Per questo, in esso, noi abbiamo il dovere di dare sempre  il meglio, il massimo, perché esso ci rappresenta, esso parla di noi”.
Darle e ... prenderle
L’Insegnate Celso consegna le cinture, consapevolezza ed orgoglio dei propri progressi quanto orizzonte sulle prossime sfide, le prossime avventure, che ci attendono.
Abbracci, pacche sulle spalle, sorrisi.

Ancora darle e ... prenderle
Una gran tavolata, siamo quasi una trentina, a chiacchiere, cibo e vino.
Io mi concedo, con Donatella preziosa risorsa, poi coinvolgendo Annalisa, Monica, Rossana, di rovinare l’aria e le orecchie di chi mi sta accanto, stonando a squarciagola le canzoni degli anni ’60: karaoke per tutti sotto la regia di Mario, gestore dell’Agriturismo.

Lentamente il gruppo si scioglie, non prima che genitori e nonni contattino chi ha guidato bimbi e ragazzi in quest’evento. Perché se è vero che il gruppo è stato magnifico, è stato davvero un clan vincente, qua e là  sono emerse le smagliature, le malevole ombre acide del carattere ( della personalità ?) di alcuni.
Immancabili, le mamme
Ma, tutti insieme, JITAKYOEI, ci si può lavorare.
I nonni e anche un paio di papà
I genitori soprattutto, perché loro è la presenza quotidiana come la responsabilità prima verso i propri figli, contando, se lo vorranno, sulle competenze della nostra Scuola. Perché, pur nel risicato tempo a disposizione, possiamo dare il nostro contributo alla crescita di questi giovanissimi “guerrieri”. Perché, allo Z.N.K.R., praticare Arti Marziali è sana e coinvolgente terapia, è cammino, BUDO, di lotta e di trasformazione, di vita da vivere

 Ah, un enorme grazie a Teresa ed alla sua famiglia tutta, per la calda accoglienza: come essere a  casa !!

 “I desideri dei bambini, danno ordini al futuro”
(E. De Luca)
 













 

martedì 12 maggio 2015

I guerrieri del blu e del nero


Kenpo Raduno
Milano 9 Maggio

 Diciotto i colori del blu e del nero.
Il blu dell’acqua, che sempre muta e si trasforma, si adatta ad ogni recipiente ma anche rompe, travolge, ogni argine, ogni limite. Acqua che è insieme calma e violenza, superficie e profondità. Acqua che si trasforma per divenire vapore e poi tornare liquido. Acqua di cui è composto in gran parte il nostro corpo.
Il nero che è oscurità delle origini, dei primordi, informe “buco nero” da cui tutto origina: “degli occultamenti nella loro fase germinale, precedente l’esplosione luminosa della nascita” (G.G. Jung). Nero che è inconscio e tenebre, che è arte dell’occulto, del subdolo e dell’agguato improvviso.
Il blu e il nero che erano i colori del clan del Maestro Yamazaki Ansai.

Kenpoka alla luce del sole, nei timidi giardini di una piazza milanese, caos e traffico intorno, e cemento e case. Luogo di mai rassegnata resa al groviglio  meccanico della metropoli.

Sono mani che danzano l’una dentro e contro l’altra, in una distanza che respira sul volto di chi ci sta di fronte. Sorta di Chi Sao a briglia sciolta, di relazione in cui io e te diveniamo noi.

Un noi necessario per percorrere gli  squilibri (Kuzushi) che sono il preludio alle proiezioni al suolo, Nage Waza, di fattezze ruvide e potenti.
Il manto erboso accoglie corpi in caduta libera. Insieme terra d’origine ed odore del cemento urbano.

Gli spostamenti a vuoto sfruttando gli angoli (Sumi) ad occupare spazio, a saccheggiare territori altrui e poi ritrarsi, predoni lesti e feroci.

Le combinazioni di pugni e calci e proiezioni al suolo, scorrere di violenze mute e rapaci.

I cerchi nell’aria, l’accoglienza profonda, irreale, del bacino: luogo sacro di pulsioni e selvaggia natura umana.

In Dojo, sudati e stravolti, la consegna delle cinture  per i kenpoka che hanno fatto un altro passo nel loro personale percorso guerriero.
Il saluto e poi, ma dai !?!?, pizza e birra per tutti !!

 “Conoscere non è abbastanza: dobbiamo applicare. La volontà non è abbastanza: ci vuole azione”
( Bruce Lee )

 Prossimamente, su SHIRO Aprile – Maggio, altre foto ed i commenti di alcuni dei partecipanti.