mercoledì 8 gennaio 2014

In cammino, insieme.


Non mi interessa più di tanto
come cambia il tuo corpo mentre pratichi.
Quello che mi interessa
è come cambia il modo di trattare i tuoi figli
quando torni a casa.
( Baba Raba )


Spesso ho scritto del metodo con cui accompagno / guido i praticanti lungo il percorso marziale. Un metodo maieutico.
Niente apprendimento di tipo “scolastico”, dal detentore del sapere a colui che lo ignora; niente apprendimento nozionistico e ripetitivo, che si mostra come acquisizione di contenuti.
Piuttosto:
L’appello alla motivazione e alle risorse di ciascuno, come spinta alla scoperta, al superamento di ogni frontiera: “Ogni frontiera, per me, è come un coagulo in un’arteria”. ( M° Mochizuki Hiroo ).
La gradualità come aggregazione dialettica e insieme sostenibile di competenze e capacità.
Il gruppo come forma di espressione e, insieme, contenimento dell’agire di ciascuno. Infatti il gruppo mi accoglie e non mi giudica; nel gruppo vedo rispecchiate le mie stesse emozioni, i miei stessi turbamenti; il gruppo contiene ogni mio eccesso narcisistico, ogni mio delirio di onnipotenza.
E’ la domanda, il domandare, il cuore della nostra andragogia nella pratica marziale: “un laboratorio maieutico è un laboratorio educativo in cui si  valorizzano le esperienze e conoscenze insite in ciascuna persona. Esso favorisce un concepire più cosciente, ampio e profondo…, partendo dal presupposto che… ogni esprimersi dal profondo aiuta ad esplorare… Il coordinatore  di strutture maieutiche cura che l’insieme di tutti sappia comporre quanto ancora è ignoto, ancora inespresso su un problema, risolva un nodo..
Il processo strutturale maieutico è scienza-arte di interpretare e favorire il crescere dal profondo” ( Danilo Dolci ).
Solo così, il praticante diverrà consapevole dei suoi progressi nel combattimento, nello scontro. Progressi che significano tanto esportare tali progressi “guerrieri” mutandoli nella capacità di sostenere attivamente le relazioni, le “occasioni di incontro e scontro” della vita quotidiana in famiglia, sul lavoro, a scuola, quanto  valorizzare le differenze, le frizioni, le contrapposizioni insite in ogni relazione quotidiana facendone una ricchezza, una risorsa e non un ostacolo.
Certamente, al praticante viene chiesto di essere protagonista e non un vaso da riempire. Egli non è un cliente che ha pagato per avere un prodotto; egli è un individuo, in un gruppo e con la guida di un esperto che ha già mosso più di un passo lungo il viaggio, che sì ha pagato per essere in cammino ma starà a lui camminare con le proprie gambe !!
Accostarsi al sapere marziale, ereditarne la ricchezza e farla propria, non è un travaso di nozioni e tecniche. Essere “allievo di …”, “praticante di …” non è una garanzia sufficiente perché il percorso abbia successo. Questi è sia un processo singolare, del tutto estraneo a qualsiasi garanzia di successo, quanto un percorso che ci riporta alla nostra radice inconscia, alle nostre energie profonde e sopite. E’ un agire scoprendo ciò che sempre siamo stati e quanto …. vogliamo conoscerci per accettarci e trasformarci.
Nessun Maestro o Sifu, nessun’Arte o disciplina o sport potrà evitarti l’incertezza ed il pericolo del viaggio, né ti garantirà il risultato: più forte in combattimento, più saggio ed equilibrato, più in salute, più sereno, più assertivo, più coraggioso ed audace nelle scelte di vita, più felice …  
Starà a te che pratichi, col mio, col nostro aiuto, mettere le tue mani dentro di te per mostrarti nella tua nudità abbandonando maschere e ruoli;  per ri – conoscerti adulto guerriero; per decidere chi sei e come intendi agire nel tuo ambiente fuori dalla coazione a ripetere e dalla violenza crudele dell’anaffettività; per essere padrone di te stesso.
Se lo vorrai.

Se una persona fa una distinzione tra luogo pubblico e privato o tra campo di battaglia e tatami, quando arriva il momento di agire si troverà impreparata. Bisogna mantenere costantemente la consapevolezza. Se non ci fossero uomini che dimostrano il proprio valore sul tatami, non potremmo neppure trovarli sul campo di battaglia

(Tsunetomo Yamamoto )






1 commento:

  1. giorni tutti uguali, un fare meccanico atto a dei robot ma non a esseri umani, cercatori di se stessi che si trovano con e negli altri,attraverso il relazionarsi di ogni istante. Mi viene in mente quante persone cadono negli automatismi della vita, colazione,viaggio al lavoro, 8 /10 ore e poi altro viaggio e a casa.
    Quando la badante o la moglie non possono portare il figlio a scuola e si trovano ad accompagnarlo loro sovente se lo dimenticano in auto..
    A pugno x rispondo y, a calcio e proiezione z rispondo k, sempre.
    E l'imprevisto?
    In una società di calcolatori, dove il cervello logico, giovane sbarbatello ha la prevalenza sugli altri 2 ( mammifero e rettile,compagni sviluppatisi fin dalle nostre prime evoluzioni), non può che essere così. forse per questo spopolano corsi dove tutto resta in superficie, dove insegnano (? lo fanno?) a copia incollare movimenti creando guerrieri che, non sò quanto resisteranno ai primi venti emotivi che gli soffieranno dentro..
    ma lungi da me far polemica, sono ancora imberbe dal poter sentenziare l'operato altrui, ma abbastanza pregno da constatare ciò che io voglia per me stesso. Che mi importa di saper tirare un pugno al sacco o un calcio laterale seppoi, non conosco il mio corpo? se, in una situazione conflittuale ,con l'altro non sento quali emozioni entrano in gioco in me? mai le stesse poi..mai la stessa persona o dinanzi a me e mai, io sono uguale al momento prima ne l'altro lo è..ma pare vada di moda l'illusione della staticità.
    Paradossale,in un universo in cui tutto muta e scorre, pensare che ogni mossa sia sempre la stessa, che noi siamo imperturbabili alle forze che ruta attorno, e dentro. Pensare che non rimaniamo statici neppure quando dormiamo, il cuore batte, i muscoli pompano cmq e il sangue,continua a scorrere...eh la vita.

    Quando mi ritrovo in una situazione in cui "non ci sto bene" come mi muovo?che faccio per trasformarla? o aspetto che passi da sè? a scuola mi insegnavano a dirlo alla maestra se gli altri bimbi non ci lasciavano stare o ci facevano qualcosa che a noi non andava, nel lavoro dobbiamo dirlo ai superiori quando qualcosa non và, e non possiamo nemmeno agire in situazione di pericolo ma chiamare le autorità competenti(?). Ci sta che anche in una Scuola di Arti Marziali cerchiamo la soluzione nel Maestro di turno, che ci imbocchi, ci rassicuri, ci conduca mano nella mano sul sentiero che lui sceglierà per noi. una bella sindrome da peter pan no?
    e noi? quali scelte? facciamo scegliere gli altri cosìcchè non avremo alcuna responsabilità? comodo già..ma provare a prendere la nostra Ombra invece?o le nostre, che a seconda della luce, e dei punti di vista potrebbero essere infinite, poliedrici e complessi quanto siamo..

    Cosa imparo, se non vado io alla ricerca dei tesori? non avrò mai l'ebrezza del navigare in mari tempestosi, la dolce brezza salata,che irrora le narici e mi accarezza il volto..il canto incantatore di una sirena, saprò non sfracellarmi sugli scogli? e la mappa, che non mai come il territorio che incontreremo sotto i nostri passi, sarà una chimera?le gioie e le paure dell'arrembaggio..l'essere sfiancati dalla ricerca ma, continuare, madidi di sudore e pieni di terra, coi calli sanguinanti alle mani, dal troppo spalare..

    e se abbiamo paura degli squali ci perderemo le bellezze delle perle che si celano nelle profondità degl mare, e non si comprano al discount sotto casa..

    Quì, apprendiamo ogni giorno, ogni attimo a essere il capiatano del nostro vascello, a pensare ala ciruma, fratelli del viaggio..a gozzovigliare bevendo rum con altri viaggiatori in isole e porti di ogni sorta, ad assaporare ogni odore, ogni istante, consapevoli che non ritorneranno mai uguali..il quì e ora.

    "se pensi che l'avventura sia pericolosa, prova la routine..è letale.."
    P. Coelho

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