martedì 18 febbraio 2014

La parte degli angeli

Un altro fine settimana in acque agitate, tra una riunione di equipe in cui a malincuore mi sfilo da un progetto annusando pretese mammo-fagocitanti che fanno copia con un evidente stato di forclusione; la visita, sempre emotivamente intensa, a mia madre in casa di riposo; un turno di lavoro della serie “Che ci faccio qui ?”; la dolorosa rinuncia allo stage invernale causa adesioni insufficienti, che, di conseguenza, getta preoccupanti ombre sul futuro della Scuola; un raffreddore e dei brividi di freddo che mi debilitano il fisico; la letta di alcune voci la cui isteria e ipocrisia mi rammarica assai; la mia voglia di coccole e incoraggiamento che monta a dismisura e si guarda intorno, disorientata, ma evita di mostrarsi apertamente, di offrirsi.
Due le belle occasioni per chetare, almeno temporaneamente, le onde agitate.
Una è lo spettacolo di cabaret dedicato a Bertold Brecht che la “Dual Band” mette in scena proprio dietro casa mia. Momento non solo per Lupo di vedere nuovamente in azione i docenti da cui sta imparando a muoversi in scena, ma per me di ricordare canzoni e testi che hanno in parte accompagnato la mia adolescenza. Anni in cui, tra lotte sessantottine, feste e ragazze, scorribande in moto e partite a boccette, musica psichedelica e poesia beat, trovarono posto gli studi severi del pensiero marxista e l’incontro, appunto, con le opere di Brecht e Frank Wedekind.
L’altra è la visione del film “La parte degli Angeli”.
Pellicola che mi ero fatto registrare tempo addietro ed era in attesa di essere vista, è Claudio, in una telefonata, a dirmi che sta guardando, in TV, un gran bel film: “La parte degli angeli”, appunto.
Sùbito, scelta condivisa da Monica, ci accoccoliamo sul divano e … via alla visione !!
Film di impegno sociale, con alla regia lo spigoloso Ken Loach, narra di degrado e violenza, di riscatto sociale che però, per avviarsi, abbisogna di un espediente del tutto illegale.
Un mix di elementi che mi ha posto alcune domande.
Sì, perché nel film c’è la possibilità di un riscatto sociale che è offerta come necessaria in questi tempi in cui il dio Mercato fagocita quotidianamente uomini ed anime; il tramite occasionale  è l’alcool, bevanda abitualmente assimilata agli eccessi ed alle trasgressioni più che alla redenzione; la nascita di un figlio, concepito da un giovane delinquente e dalla figlia di un boss malavitoso, comunemente apre le porte ad una vita di degrado e non ad una vita di speranza e di inno al futuro; il protagonista si avvale di un reato per riscattarsi e prendere la “retta via”, reato che si attorciglia su un ipotetico reato ancor più grave messo in cantiere dagli adulti, adulti ricchi, potenti e rispettati, in una società in cui l’oppressione delle classi subalterne è la norma.
Lo stesso titolo, in originale “The Angels’ Share”, nel significare un momento del processo di invecchiamento del whisky, in realtà strizza maliziosamente l’occhio al ruolo destabilizzante, di cambiamento radicale, che può avere per ciascun individuo un incontro ( ogni incontro ?) se solo sappiamo coglierne l’essenza dietro l’apparenza.
Mi ha colpito, poi, l’approccio disinvolto e insieme responsabile di Robbie, il giovane protagonista, a quello che, di lì a poco, sarà solo il suo passato di violenza ed emarginazione. Una cicatrice che gli attraversa il volto tutto e che lo perseguita (segno e simbolo) da anni nelle sue relazioni, classificandolo come un poco di buono, inevitabilmente ricorderà a lui ed ai vecchi amici chi lui è stato.
Questo non gli impedirà di affrontare serenamente il futuro, ma gli impedirà, quando vorrà tornare “indietro” per rivisitare luoghi ed amici della giovinezza, di negare il suo passato come se per lui non fosse mai esistito, come se lui fosse sempre stato quella brava persona che ora è o vuole far sembrare che sia.
Io ho letto le ultime scene della pellicola come una reale svolta di Robbie verso un’adultità seria e coraggiosa. Ma … non lo saprò mai !!
Qui, ora, penso a come sia difficile, soprattutto se non hai una cicatrice indelebile a ricordartelo, essere onesti con se stessi assumendosi le responsabilità di un passato che, a volte, si vorrebbe essere stato diverso quando non mai esistito.
Leggo, incontro, a più riprese, goffi tentativi manipolatori di presentarsi “politically correct”, una brava  persona, proprio davanti a chi, invece, ha conosciuto, con le dovute differenze !!, il “Robbie” della situazione.
So che è difficile fare i conti col proprio passato, lo so bene io che “il sacco”, dopo anni ed anni di fatiche, ancora non l’ho svuotato del tutto. Ma un passo fondamentale per svuotarlo tutto è non fingere di non averlo avuto ben pieno. Altrimenti, e ne sono convinto, quella faccia da bravo ragazzo, da persona equilibrata, sarà solo una … facciata, un ruolo, una maschera per chi le palle di affrontarsi non le ha.
Beh, Robbie, comunque andrà il suo riscatto, questo problema non ce l’ha: con quella cicatrice, sembra volerci dire il regista, dovunque andrà, saprà sempre da dove è venuto. E forse questo, cicatrice o meno, vale per ognuno di noi, che il percorso lo si stia faticosamente ma sinceramente affrontando o che spudoratamente si finga di essere già arrivati senza aver avuto bisogno di partire.

“La parte degli angeli” non è un capolavoro, ma poco meno di due ore dedicate alla sua visione sono un bell’affare !! Soprattutto per chi, come me, volga il suo interesse al maschile, al disagio, al percorso di individuazione, alla paternità ed all’educazione / formazione in genere.


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