giovedì 1 ottobre 2015

Il segreto del buon apprendimento



1998 Teatro Marziale
Pare che il fondatore  del coaching (1), così come arrivato ai giorni nostri, sia stato Tim Gallwey, istruttore di tennis degli anni '70, il quale si chiese cosa accadeva nella mente dell'atleta quando la palla non era in gioco e come quei pensieri avrebbero influito  sulla sua prestazione. Egli Individua così un “gioco  esterno”, quello che si vede, e un “gioco interno”, quello della mente, sviluppando delle tecniche “non direttive” che hanno lo scopo di portare  consapevolezza sul gioco interiore e affidare la responsabilità della crescita prestazionale all'atleta stesso.
Sono passati più di quarant’anni, e 2.500 circa dalla nascita di Socrate a cui dobbiamo la maieutica (2), e ancora siamo, nelle Scuola di ogni ordine e grado, nelle pratiche sportive fitness o agonistiche, nel sentire generale, a dare modelli da imitare, a considerare l’allievo come un contenitore da riempire, in un’ottica che, in linea con la società capitalista, privilegia efficienza e prestazione, l’acquisizione delle competenze come “indici subordinati al criterio acefalo della produttività” (M. Recalcati): numeri e quantità, sono i termini di paragone.

Cominciamo  con lo scrivere che, in qualsiasi ambito del sapere ci si muova, non vi sono cose come la “storia”, bensì solo storie. Che non c’è una cosa come l’ “oggettività”, bensì solo gradi diversi di soggettività; che qualsiasi cosa diciate che una certa cosa è, non lo è; che le definizioni, gli assunti, e le metafore di un individuo determinano i fatti che scoprirà; che il mondo vive un costante processo di cambiamento e che non possiamo mai “vederlo” né comprenderlo tutto; che ognuno dei nostri sensi è … un censore, e così anche ciascuna delle nostre frasi e interpretazioni.
Banalmente, consumo e di nuovo consumo tempo ed energie per spiegare, ogni volta, a mio figlio Lupo che non esistono i valori assoluti: “Torino è distante da Milano ?  Dipende. Lo è più di Abbiategrasso ma meno di Parigi. Se ci vai in Mercedes, con accanto un paio di amici, mentre guida un autista, lungo un’autostrada sgombra è ben poco distante rispetto a raggiungerla pedalando in bicicletta in un giorno di vento e pioggia”; che tutto muta, basta guardare le teorie nutrizioniste o quelle sulla materia; che ogni mutamento o “scoperta”, in qualsiasi campo, si accompagna sempre a “poteri forti” che lo indirizzano in una direzione piuttosto che nell’altra a seconda di interessi economici e di potere, altro che verità ed oggettività !!
2006 La Notte del Guerriero

Purtroppo, vigono ancora, e sono generalmente condivisi, concetti del tutto fallaci:

·         il concetto di “verità” assoluta, fissata, immutabile, in particolare da una prospettiva dualistica di buono/cattivo.

·         Il concetto di certezza. C’è sempre una e una sola risposta “giusta” e questa è assolutamente “giusta”.

·         Il concetto dell’identità isolata, l’idea che “A è A”, semplicemente e una volta per tutte.

·         Il concetto di stati e “cose” fissati, con l’idea implicita che se si conosce il nome si conosce anche la “cosa”.

·         Il concetto della causalità semplice, singola, meccanica; l’idea che ogni effetto è il risultato di una causa unica, facilmente identificabile.

·         Il concetto che le differenze  esistono solamente sotto forma di paralleli e di opposti: buono – cattivo, giusto – sbagliato, sì – no, corto – lungo, sopra – sotto, ecc.

·         Il concetto che la conoscenza è “data”, ovvero che essa emana da un’autorità superiore e che dev’essere accettata senza dubbi né discussioni.

2006 Stage Estivo
Del tutto in modo antagonista, scrivo pure “alternativo”, la nostra Scuola, lo Z.N.K.R. è una fucina, un laboratorio, in cui proporre e sperimentare, attraverso didattica e pedagogia / andragogia di stampo maieutico. Ovvero un metodo che ponga l’allievo al centro di ogni pratica,  cominciando da quello che egli sente, quello che teme, per cui si commuove, quello a cui aspira, quello che più lo emoziona .Perché egli è individuo fisicoemotivo e nella forma visibile del corpo si traduce sia il modo di essere che il modo di agire, poiché l’unità psicofisica collega le tre componenti, vita psichica, vita vegetativa inconscia e vita tonico – motoria, sia cosciente che riflessa: “La struttura delle tensioni muscolari determina i movimenti, il portamento, e la caratterialità” (S. Guerra Lisi)
Il continuum che le tiene insieme è il movimento. Infatti, qualunque essere vivente, anche se apparentemente statico, è in movimento: non solo respirazione e pulsazione cardiaca ma i moti d’animo, l’imago – azione, sia pure in stati alterati di coscienza fino al coma stesso. (3)
Dunque, noi allo Z.N.K.R., proponiamo una pratica esperienziale che si proponga di sviluppare un individuo “guerriero” (colui che sa stare nei conflitti), capace di agire flessibile, creativo, innovatore, tanto tollerante quanto assertivo, in grado di affrontare incertezza e ambiguità con coraggio ed audacia.
2011 Kenshindo, M° Valerio ed Angelica

Noi allo Z.N.K.R. siamo consci di una cosa tanto ovvia ma che nessuno ricorda più, ovvero che “ La funzione fondamentale di ogni tipo di istruzione, anche quella più tradizionale, consiste nel fatto di aumentare le prospettive di sopravvivenza del gruppo. Se questa funzione viene svolta, il gruppo sopravvive. Se no, esso muore” (N. Postman).
E non sono i valori assoluti o le certezze dogmatiche, le tecniche o le tecnologie, a stabilire chi sopravvive e chi muore, ma è la persona dietro a queste tecniche e tecnologie e come le impara e le gestisce e cosa e come si spinge oltre, verso nuove scoperte, verso nuove … incertezze !! (4)

2012 Festa in Dojo
Attenzione al rischio paventato dalle menti più attente: “Nello scientismo, di cui l’ideologia delle competenze è un’espressione attualissima, il sapere anonimo e robotizzato dell’Altro domina senza limiti e riduce il soggetto a un contenitore passivo, da riempire  di contenuti. Nella psicosi come nello scientismo non c’è posto per la singolarità” (M. Recalcati).
Per restare nel nostro ambito, le Arti Marziali e parenti prossimi, andate a vedere ( e a praticare, se vi regge lo stomaco !!)  là dove l’insegnante detta ordini, mostra gesti da copiare, movimenti da imitare mentre la pletora di juodoka, karateka, kick boxers, tai chi chuanisti ecc. si forza di memorizzare e copiare la sospirata e “pagata” verità che viene loro elargita e li renderà più sani, belli e forti. A furia di imitazioni, premiando chi ripete al meglio, chi riduce l’apprendimento alla riproduzione più fedele: massima valutazione all’allievo che sa ripetere  il più esattamente possibile gesti e movenze che gli sono stati impartiti. Schiera di modesti cloni in preda ad una diffusa anoressia fisicoemotiva, psicomotoria.
E mi spingo fino all’audacia di sostenere che il sapere è quanto ognuno scopre lungo un percorso autonomo, magari fatto in gruppo e sotto l’accompagnamento di chi ha più esperienza ( il Sensei, “colui che è nato prima”), ma senza alcun foglio delle istruzioni, senza un tracciato definito a priori. Perché questo sentiero si traccia solo percorrendolo, dunque si fa solo nel movimento e nell’agire di chi lo percorre, perché non esiste prima di esso.
Un sapere, non solo del tutto personale, ma sempre in mutamento, sorta di “vuoto fertile” (5), per usare un’espressione cara alla Gestalt, in grado di mostrare nuovi non saperi cui anelare. Porte che si aprono su altre porte da aprire.

Da un lato, nella pratica marziale ma anche nell’istruzione scolastica di ogni ordine e grado, nella pratica sportiva ma anche nella trasmissione educativa familiare, domina l’illusione di raggiungere il sapere come supremazia, come riempimento certo ed assoluto di una mancanza, un sapere che  pretende di estromettere incertezza ed errore.
Nel nostro lato ( e di pochi altri 6), c’è lo sforzo per tenere sempre accesa la passione dell’imparare; l’errore come “maestro” insostituibile e fondamentale per farci procedere; la consapevolezza che ogni cosa ne significa un’altra che conduce ad un’altra ancora, svelando tutto il limite di un sapere che non è in grado mai di  chiudersi e consistere in se stesso; il docente come testimone appassionato di un suo personale viaggio che tale passione mette a disposizione degli allievi, alimentando in loro il desiderio di viaggiare a loro volta.

D’altronde, nei mesi scorsi, quando mi capitava di parlare con qualche mamma ( i papà no. Mai. E chissà perché in questa, come in altre occasioni, semplicemente non ci sono, latitano, delegano… avranno da occuparsi di qualcosa di più importante che il “viaggio nella vita” dei propri figli ?) sulla scuola “media” in cui mandare i figli, gli elementi in base a cui scegliere erano la vicinanza a casa / comodità di trasporto, l’assenza / riduzione di elementi considerati destabilizzanti ( soprattutto episodi di bullismo, presenza di extracomunitari), la scelta condivisa con qualche compagno di scuola elementare. Come a dire la comodità, che il pargolo va tenuto comodo e noi genitori pure; le diversità e le difficoltà della vita e del sociale fuori dalle palle; l’evitare che affronti da solo i cambiamenti, le nuove relazioni, rinviandoli il più avanti possibile.
Mi viene il sospetto che abbia ragione Neill, quando scrive: “Gli adulti danno per scontato che si debba insegnare al bambino a comportarsi in modo che disturbi la loro vita il meno possibile. Ecco perché si dà tanta importanza all’obbedienza, alle buone maniere, alla docilità”.

 
2011 Stage Estivo

 

1.“Lo scopo del coaching è di eliminare ogni ostacolo, esterno e interno, che impedisca il raggiungimento di un obiettivo”.
“Essere consapevoli, in generale, significa percepire le cose come effettivamente sono, mentre essere consapevoli di se stessi significa riconoscere anche i fattori interni che possono distorcere la nostra percezione della realtà”
(J. Whitmore: Coaching)

 2.“Da questo punto di vista ( approccio maieutico ) i bambini non imparano dall’educatore, piuttosto dalla capacità dell’educatore di predisporre delle situazioni in cui essi possano imparare da soli”
“La maieutica, come ci ricorda Socrate, è un approccio basato sul chiedere, sul fare domande”
(D. Novara: Litigare per crescere)

2013 Silvano
 3.“Nella misura in cui il movimento si accompagna nuovamente ai contenuti emozionali ai quali in origine era legato, esso torna a esprimersi come movimento primitivo.
E’ allora chiaro che possiamo introdurre il movimento costruito, cioè una tecnica che funga da catalizzatore e canalizzatore dell’energia, che aiuti ad approdare a un percorso nuovo dell’espressione psicomotoria”
(V. Bellia: Danzare le origini)

 4.Come a dire, permettetemi lo schematismo, che il “pensiero unico”, quello intollerante nella sua prepotente ignoranza, impera stritolando ogni opposizione, fino a che quest’ultima, eretici ed indipendenti, liberi pensatori e creativi, pur esile minoranza, scuote e disgrega il potere del “pensiero unico” tanto da indurlo ad una mutazione che tenga conto di questi elementi innovativi, rivoluzionari. Questo nuovo “pensiero unico”, arricchito e mutato, prosegue nella strada dell’intolleranza e delle verità assolute, mentre altri piccoli nuclei di uomini indipendenti ed audaci lo combattono, fino ad una nuova disgregazione e mutazione, e così via all’infinito ( o … a finire a sbattere in un Armageddon apocalittico).
Un avanzare dialettico, a suo modo “taoista” nel tenere insieme gli opposti, in cui ognuno può scegliere da che parte stare, nella vita pubblica come in quella sua intima e privata.
Io, sin dall’adolescenza, la mia scelta l’ho fatta. Costa fatica, amarezza, ferite sempre sanguinanti e cicatrici che dolorano ai cambi di stagione, ma ha il sapore dell’errare da solo, in piena autonomia, come del conoscere e gustare sprazzi di libertà e profondità umana inauditi; dell’incontrare, per un giorno solo o per anni, uomini e donne eccezionali, famosi o meno, eccezionali anche nella loro debolezza perché autentica, spesso strambi, folli di quella follia che nella sua anima più oscura è una possibilità umana, con le sue note più o meno dolorose e con le sue penombre, con le sue inquietudini del cuore.
“Ho iniziato a capire che un guerriero deve dare prova di sé non solo in battaglia ma anche nella vita. Vive in nome di un codice (…) Il combattimento è un’estensione di quel codice, non la sua fonte.
(…)
Il suo codice in tempo di pace è lo stesso che in servizio: fa il tuo dovere, proteggi il debole e la comunità, affronta il prepotente, sii sempre pronto e vigile, sii leale, evita l’aggressività, se possibile, ma quando non lo è vinci, e vinci pienamente. Il rispetto e l’onore si guadagnano con le proprie azioni, non sono acquisiti alla nascita”
(colonnello D. Grossman: On Combat)

2014 Giovanni e Roberto
 5.“L’individuo capace di tollerare l’esperienza del vuoto fertile, sperimentando fino in fondo la propria confusione e che riesce a diventare consapevole di tutto quanto richiama la sua attenzione (allucinazioni, frasi interrotte, sentimenti vaghi, strani) avrà una grande sorpresa, vivrà probabilmente un’esperienza “Ah, ah!”; all’improvviso apparirà una soluzione, un insight fin ad ora inesistente, un lampo di comprensione o percezione”.
(F. Perls, R. Hefferline, P. Goodman: Teoria e pratica della terapia della Gestalt)

 6.Pochi, ma agguerriti di pratica e di studio e di riflessione su quanto fatto, per poi gettarsi in una nuova pratica un nuovo studio …
Penso a Daniele Novara e al suo “Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti”, alle elaborazioni teoriche ed alle buone pratiche che diffonde nella scuola dell’obbligo, sperimentando in tutta la Lombardia, là dove incontra dirigenti scolastici e personale docente attento ed aperto. O alle caratteristiche pedagogiche e didattiche delle Scuole “private” Steiner o della media “pubblica” Rinascita.
Penso, nel campo più propriamente motorio, a chi ha raccolto l’eredità di Moshe Feldenkrais e del suo stupefacente metodo. Alla “Danza Sensibile” di Claude Coldy, che in Milano vive soprattutto grazie all’opera di un’eccezionale Roberta Claren.
Cito quanto sopra perché è stato ed è  parte del personale percorso mio o dei miei figli, ma ho sentore di “altro” che circola nella nostra città e dintorni. Basta cercarlo !!
Dubito che ci sia qualcosa di simile nel campo marziale: quasi quarant’anni di pratica e di scambi, mi portano a credere che qui, nelle Arti Marziali e dintorni, regni la prassi del modello e dell’obbedienza, dell’unica risposta certa già data dal Maestro / Sifu /allenatore, dove imprevedibilità, incertezza ed autentica ricerca, siano banditi. E non parliamo di pratica come terapia di individuazione e crescita, che qui il nulla regna sovrano.
Massa di anoressici o disturbati fisicoemotivi. I quali  non sapranno mai, né vogliono sapere, che “I nostri soli maestri sono quelli che ci dicono di fare con loro e che, anziché proporci gesti da riprodurre, hanno saputo trasmettere dei segni da sviluppare nell’eterogeneo( G. Deleuze: Differenza e ripetizione)

 








4 commenti:

  1. 1 - “Là dove vai non c'è alcun limite,
    a te affideremo la morte e la vita”
    Du Fu

    Quante volte, anche scambiando pareri con gli altri praticanti, mi trovo a dire e/o sentir dire che appena riesco a imparare quel tale movimento, come lo “sento”, già devo dimenticarlo. e quando imparerò quello che ora sto inseguendo dovrò poi passare ad altro, ma per farlo, per imparare appunto, devo prima scoprire quella consapevolezza.
    Così il vivere, fucina di incertezze, per niente diffferisce da questo “praticare”, devi prima imparare l'ABC per scrivere,e non sarai in grado di comporre granchè all'inizio..pratica, mista alla passione dell'apprendere..e tante le letture da cui attingere e sviluppare un tuo modo di scrivere, sempre differente.

    Così nelle relazioni di ogni giorno, ogni innamoramento, ogni rapporto di coppia ci insegna qualcosa di noi e dell'altro, del nostro stare nelle relazioni ,si aprono porte su alcuni lati di noi che non conosciamo mai abbastanza e che continuano a mutare per il semplice fatto di essere vivi, di mettersi o meno in gioco..infinite porte dentro noi stessi,dalle cantine alle soffitte, alla zona notte, alla cucina dove il calderone delle emozioni ribolle di continuo.

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  2. 2
    Mi sono trovato a discutere su alcune “stili” di Tai Chi Chuan con persone che non lo praticano, e ai loro occhi il mio dire sul Tai Chi di Tizio o Caio, è apparso come se io fossi il portatore dell'unica verità e Tizio e Caio appunto, che praticano e insegnano con passione da molti anni più di me, gli utimi dei cialtroni. Ammetto che mi pongo spesso sopra le righe,anche un po' arrogante ma disposto a mettermi in gioco ( e ne ho dovute aprire porte e portoni, e piccole fessure da cui passavo a fatica, perchè un tempo il mio punto di vista era ferreo e se per me una cosa non era buona mi tenevo alla larga, come dire che quella pastasciutta fatta così fa schifo ma senza mai averla nemmeno assaggiata). Ebbene io porto le mie verità, discutibili e sempre in mutamento, frutto della mia esperienza e del mio praticare Tai Chi Chuan, (ma non solo)conscio di quanto noi siamo corpomentespirito, che secondo me,nulla cambia imparando tante formine tutte uguali, certo magari agirà in un determinato modo sul corpo, alla psiche come insegna Maslow necessita sentirsi “gruppo” che è un bisogno fondamentale ma per me, quello non è Tai Chi Chuan. Per me, ovvio che perchi lo pratica (ovvio?) lo sia.

    Ma benchè conscio di questo mio radicato lato,dagli aromi “stalinisti” sono propenso al conflitto come fonte risolutoria, ma non trovo poi differenze di quei discorsi che tu fai con le mamme sull'istruzione dei pargoli. Parlando delle teorie sul cervello rettile e sull'animalità mi sono sentito etichettare come nazista, senza ulteriori discussioni ma proprio perchè fa comodo dire “queste teorie le avevano i nazisti” e non andare a fondo. Perchè l'andar a fondo, il cercare mette in discussione quello in cui si crede, l'immagine di sé e degli altri che ci si è creati..tu stesso Tizi raccontavi che alle riunioni in cui si discuteva di fascismo guardacaso eran tutti di sinistra, nemmeno qualcuno di destra in maniera da non minare comode verità, che a parlare da soli abbiamo sempre ragione.
    Alla festa dello sport, parlan perchè do con alcuni padri, fieri che il figlio/a andasse a far Karate o simili insegnava loro, obbedienza e disciplina..come dar torto a Neil? Quando vedo che troppi sono i genitori che impongono ordini ai loro figli, senza far capire loro il perchè delle varie motivazioni, perchè non puoi andare là, perchè non puoi giocare, perchè devi mangiare...per una propria tranquillità e perchè ci vuole un sacco di pazienza a crescere dei pargoli. Proprio ieri cercavo di far capire a mia nipote perchè dopo aver giocato per ore era tempo di smettere, cosa che lei non capiva poiché lei voleva ancora giocare e io dovevo fare ciò che diceva lei...e lo ha capito,dove un abbondante lascia e tira, tira e molla ..poi è arrivato suo padre imponendosi a voce alta e dura e facendogli paura e sì con effetto immediato si è andata a sedere, ma cosa ha imparato? Troppo facile così e non insegni niente, anzi, il pargolo impara che sei più grosso e fai la voce cattiva vieni ascoltato dal più debole? E io che cercavo di farle capire che siamo in due a giocare, che deve imparare ad accettare ciò che vuole l'altro, non solo ad assecondare ciò che vuole lei.....

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  3. 3
    Sì perchè, come tu scrivi,e ne sono pienamente d'accordo, un copia incolla, un lezioncina imparata a memoria, tecniche imparate e ripetute non servono a granchè, magari sarà roba da più o meno abili commercianti ma non sono utili al nostro Maestro Interiore, al nostro apprendimento.
    Ho imparato che il fuoco brucia, scottandomi; ho imparato a camminare cadendo e gestendo il mio corpo in maniera da avere sempre un migliore equilibrio; imparo a scegliere nelle relazioni non senza ferite sul cuore; a combattere attraverso errori,lividi e qualche frattura anche.
    Tutte cose che se non siamo noi a “sentirle” ce le possono dire e ridire ma non le capiremo..ah quel piatto è davvero ottimo, e predicheremo a giro che sia davvero ottimo solo perchè ce lo hanno detto tutti e quindi sarà vero..mah?e se mi fa cagare invece?se ha un sapore orribile per me? Non lo saprò mai se non lo assaggio. Sempre che lo voglia assaggiare, che non devo mica assaggiare tutto in questa vita.

    Io sono cocciuto, e anche orgoglioso, queste sono armi con un doppio tagliente, a volte come un caprone sbatto a ripetizione la testa contro e mi faccio male, ma poi insisto e trovo un modo, un mio modo per raggiungere quell'obiettivo. Sto notando da tempo che inconsciamente faccio l'esatto contrario di quello che il “Sensei” mi propone di fare per sviluppare determinati movimenti. E questo è il mio modo, ostinato e contrario, a volte stupidamente ripetitivo, continuo a sbattere contro la stessa parete del labirinto poi provo a sbagliare, a esagerare il movimento anche a cadere rovinosamente per trovare un altra strada. E scopro sempre più su me stesso, attraverso il “come” mi muovo, il come combatto e nuove porte si aprono, altre si chiudono altre vi ripasserò un giorno o forse mai e non le chiudo. Interminabili sudate, a masticare anche merda, la mia, poi scopro che quanto cercavo era l'opposto di quel che facevo, e giunge spontaneo “mah? È tutto qui? Era questo?” ma poi tempo di svilupparlo e quello non è più quello, ciò che era non è più...e altri bocconi amari, altre gustose cucchiaiate di ambrosia,quando nutrendo e quando tenendo a bada questa mia Tarasque.



    “è sopratutto nella dimensione che i greci chiamavano poiein, che significa fare nel senso della poiesi, la creazione. E' attraverso questo fare creativo, attraverso il lavoro in vista di una realizzazione, che l'uomo dà senso alla sua vita, che diventa il poeta della sua vita. E' questa la sua vocazione, ciò a cui è chiamato”

    François Cheng
    Cinque meditazioni sulla morte
    ovvero sulla vita

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  4. Non ardisco ad aggiungere nulla ad un argomento tanto profondamente e dettagliatamente sviscerato. In fondo, il dibattito tra innatisti e empiristi ha tenuto banco per secoli negli ambienti filosofici, finché Kant ha messo tutti d'accordo, con una serie di libri che nessuno ha avuto il coraggio di leggere, e quindi di contestare.
    Già l'etimologia di "in-segnare" non mi convince, perché formalmente nessuno può segnare, scrivere, marcare qualsivoglia credenza dentro, "in" una mente che non sia la propria, e questo per la natura sfuggente ed evanescente del pensiero (e di questa evanescenza, io smemorato, ne so qualcosa); tuttavia, in pratica, accade, lo si vede negli altri come in noi stessi, quei "segni dentro" li portiamo, e non sono la parte migliore di noi.
    Fui colpito, un giorno, dalla strenua difesa che eresse un mio amico, a favore dell'istituto presso cui si era laureato, nota fucina di ignoranti boriosi. Di fronte a considerazioni inconfutabili disse: si, ma se uno vuole imparare, in Bocconi può farlo. Al di là dello stupore nel sapere che, lì dentro, l'apprendimento era tollerato, o quantomeno non vietato, ho avuto ben presente, in quel momento, ciò che già sapevo ma mai ben formulato, ovvero che l'apprendere, il cosa ed il come, sono responsabilità personale.
    Detto ciò, arrivo al nocciolo della questione: perché tanti oggi sentono l'afflato dell'insegnamento? Farsi pagare per far lavorare gli altri? beh, ormai c'è inflazione, sono pochi quelli che ci guadagnano; la necessità di colmare l'insicurezza di una formazione inconcludente e frettolosa, con la confortante sensazione di essere seguito da masse di buoi? più plausibile; o magari sono ormai buoi anche gli insegnanti, coatti a ripetere quello che hanno sentito, senza capirlo, insegnanti da batteria?
    Guardo la nostra scuola, leggo questo blog e Shirò, e mi convinco che è un posto atipico, in cui si mantiene una sostanziale coerenza tra princìpi enunciati ed il fare in pedana; ma vedo anche che molti che venivano non ci son più, e di nuovi innesti nemmeno se ne parla, se non come di figure fantastiche, come i due leocorni. La risposta è lì, tra le righe di ciò che ha scritto Tiziano: se dopo 2500 anni da Socrate non lo abbiamo capito (ma quanti si sono riempiti la bocca col suo nome!), se dopo 2000 anni pensiamo che un galileo si è fatto appendere ad un legno, per indurci a succhiare pane azimo la domenica (farà bene al colesterolo ....) e tanti altri esempi si potrebbero citare, tutti andati a vuoto, allora appare evidente che non c'è partita contro pigrizia e compiaciuto conformismo, se non ci sono riusciti loro a far ragionare le persone, a risvegliare in esse senso critico e individualità, allora i nostri sforzi sono meglio diretti a migliorare noi stessi, il nostro mondo, che anche se è solo il nostro, è comunque un mondo. Ci vuole un po'di cinico egoismo, è legittimo, se è vero che ognuno è responsabile di ciò che apprende.

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