“Mi ha
colpito” disse, quando riuscì a mettersi seduto.
Il
vecchio era nell’angolo del ring, appoggiato alle corde.“Non ascoltare mai stronzate come uno che ti dice ‘Attaccami’. E’ da idioti. Rischi di finire in una situazione che potrebbe non piacerti. Fai il tuo gioco”.
“Ma me l’ha detto lei”.
“Giusto, ragazzo, te l’avevo detto io. Questa è la prima lezione. Pensa con la tua testa e non ascoltare un coglione che ti dà consigli; e, come ho detto, fai il tuo gioco”.
(J.R. Lansdale)
La
fortuna guadagnata in ore ed ore di fatica e sudore e tempo e soldi spesi ed energie profuse a tutto corpo, mi dona il
privilegio di guardare cialtroni e disgraziati come da una balconata.
Se
mi volto indietro, quarant’anni di distanza, ero un “pischello” di vent’anni e
poco più, armato solo di tanta rabbia e violenza, giocata per strada, tra
pestaggi di gruppo e corpo a corpo, sprangate date e prese, un coltello in
tasca qualche volta in mano, la cariche della “pula” e gli agguati ai “fasci”.
E’ andata come è andata, altre volte l’ho, in qualche modo, raccontata. Poco dotato alla motricità, progressi lenti, quanto lenti, mai mollato un allenamento o una gara, mai tiratomi indietro dal fare un’esperienza nuova che mi facesse intravedere una possibilità di migliorare, di imparare sui pugni o sui calci, sulle schivate e sulla potenza nel colpire.
E’ andata come è andata, altre volte l’ho, in qualche modo, raccontata. Poco dotato alla motricità, progressi lenti, quanto lenti, mai mollato un allenamento o una gara, mai tiratomi indietro dal fare un’esperienza nuova che mi facesse intravedere una possibilità di migliorare, di imparare sui pugni o sui calci, sulle schivate e sulla potenza nel colpire.
E
le soddisfazioni, quelle nascoste dietro le ore in cui ero messo a rifare forme
e gesti già imparati, come fossi uno scolaro ripetente, un po’ più tardo degli
altri, per poi trovarmi davanti il Maestro che mi chiede di insegnare ai corsi
nei giorni in cui lui non c’è. Ecco cos’era quel purgatorio di ripetizioni
della “scuola dell’obbligo”, era il viatico, la formazione per accedere
all’insegnamento al posto del Maestro.
Quella
dell’altro Maestro che, a cena a casa mia, semplicemente mi chiede di insegnare
a mia volta, ai miei allievi, quanto lui va diffondendo, di abbracciare il suo
stile la sua Arte perché, correggendomi nel portare l’onda, vede che il mio
praticare è proprio come e quel che lui vuole.
Quella
degli occhi stupiti, e se ne accorge Monica mentre duetta con me, di chi mi sta
attorno, in una palestrina sperduta in terra d’Emilia, poi viene a chiedermi
dove e come ho imparato e se può raggiungermi a Milano per imparare a sua
volta.
Quella
degli scambi con atleti campioni, di molto a me superiori, che vogliono da me
quello sparring deciso e senza fronzoli che altri non sanno loro dare.
Queste
e altre, poche ma sentite, le soddisfazioni. Tutte strappate a forza, a fatica,
da me che resto ancora oggi ospite poco desiderato tra gli invitati alla festa
della buona motricità, che resto ancora a faticare e penare per carpire e
capire un movimento e come meglio fare.
Soddisfazioni,
queste sì tante, nel proporre, nel guidare chi entra allo Z.N.K.R., digiuno di
qualsiasi pugno o leva articolare o già messosi alla prova da anni con i guantoni del Full Contact o gli stili
di questo o quel Karate.
Forse,
l’allievo arriva solo per quella che altri chiamano fortuna ma io sto con chi
ne nega l’esistenza, affermando invece che non è “fortuna” bensì è l’intuito che incontra l’occasione, forse è
la voglia di uscire dal gregge, forse è una banale paura di chissà quale
aggressione, comunque ci godiamo il percorso, il momento di anni o di pochi
mesi. Ci godiamo tutto ciò che lasciamo
e lasceremo ancora , e anche quel poco, ma così prezioso, che tra un pugno ed
una bastonata, le sere nel chiuso del Dojo e quelle a praticare sulla neve o
sulla spiaggia, una cena in massa e due chiacchiere tra pochi, schizzati sotto
un cielo nero d’inchiostro, andiamo ad incontrare.
Perché
non basta essere un buon praticante per essere anche un buon docente e ancor
più complesso è essere un buon conduttore di un gruppo. Così mi beo, praticante
concedetemi almeno discreto se non eccelso, di aver saputo trovare, tra errori
e cadute, un modo così prezioso ed efficace per capire chi ho davanti ed
accompagnarlo nel sapere delle Arti; di più, mi beo di aver saputo, con il
contributo di tutti, ma proprio tutti, costruire un gruppo che è clan, che è
famiglia allargata, in un posto che è sì Scuola e non solo palestra o club. Una
Scuola di vita.
E
vedo gli allievi, negli anni, crescere e molti altrove andare. Ma ovunque,
resta loro addosso quell’imprinting, quel tocco che sa ed odora di Z.N.K.R.,
che, poco o tanto che sia, resta loro dentro e contribuisce a farli ovunque apprezzare.
Ora,
tra maestri e docenti e professori e guru di ogni specie, guardo chi si
arrampica sugli specchi, incauto esegeta di un parkour minore; chi, praticante
magari ottimo, non ha niente di meglio da dare, agli allievi, che il suo
sarcasmo e la sua boria a coprire l’incapacità di accettare il proprio
malessere invece vomitandolo su chi davvero in lui crede e si affida per
imparare, se tempo, energia e .. soldi gli va a dare; chi ripete monotono
formule vecchie e vecchie panzane per continuare un tempo che è morto e sepolto
e non ha più niente da dare; chi inventa, fa e disfa, apprendista stregone
di formule e pozioni che promettono ai
calvi la ricrescita miracolosa dei capelli e ai grassi di dimagrire in un
giorno solo.
Lo
so, sarà che me ne sbatto della gloria, della fama e della riverenza di
maniera; sarà che, scegliendo di non fare della docenza la mia professione,
ovvero quel che da cui dipenderei per portare la “pagnotta” a casa, sono del
tutto libero di scegliere sempre e comunque il meglio per i miei allievi, pochi
o tanti che siano; sarà che di cialtroni, disgraziati, apprendisti stregoni,
maestri italiani che parlano coi verbi all’infinito per sembrare giap,
energumeni in tenuta militare che il militare nemmeno l’hanno fatto o se
l’hanno fatto erano di presenza in fureria
o a marciare, campioni di un titolo guadagnato in mezzo ad altri tre
concorrenti, se c’erano e quando c’erano questi tre, ne ho incontrati tanti;
sarà che, come mi disse, più o meno, un amico ed allora allievo “Non è che sono diventato acido, è che, con
gli anni che sono passati, non ho più tempo da buttare per le stronzate”;
sarà per tutto questo ed altro ancora, che ai cialtroni e ai disgraziati, anche
comprendendo che dietro la maschera da duro, magari portano un bambino ferito
nell’orgoglio, forse da un padre assente o squalificante, portano una debolezza
che fa quasi ( quasi) tenerezza, non ho più niente da dare. O poco, e in cambio
di quel poco, ora sono io a volere molto.
“per il
bambino gli adulti sono degli stronzi
per
l’adulto i bambini sono delle piaghe
Per il
genitore i bambini e gli adulti
sono
dei disgraziati che devono crescere”
(G.C. Giacobbe)
Post illustrato con
immagini del mio attuale ufficio
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