venerdì 15 gennaio 2016

Alla ricerca delle coccole perdute


“se non dà non è un genitore
se non prende non è un adulto
se non prende e non dà ma chiede
è soltanto un bambino”
(GC. Giacobbe)

 
Finalmente, e non è poco, un “saggio” agile, divertente, piacevole da leggersi senza, per questo, svilire la qualità dei contenuti.
D’altronde, l’autore, psicologo e psicoterapeuta, mi aveva già ampiamente soddisfatto negli anni passati con il suo “Come smettere di farsi le seghe mentali  e godersi la vita”.
Qui, in “Alla ricerca delle coccole perdute”, Giacobbe prende in mano l’analisi transazionale di Eric Berne per portarci a capire come

-       essere bambino, che non è autosufficiente ed ha sempre bisogno degli  altri, imparando a farsi umili e a saper chiedere;

-       divenire adulto imparando ad essere autosufficienti ma capendo, con la forza, anche i limiti del dedicarsi solo a se stessi;

-       diventare genitore, imparando ad amare e a dedicarsi agli altri.

Sull'equilibrio e lo sviluppo di queste tre personalità, che coesistono in noi, sul loro esprimersi nelle situazioni adatte, ovvero senza coazioni a ripetere, senza quella nevrosi che esprime o personalità inadatte alla situazione del momento o un’unica personalità, ripetitiva e coatta, in ogni situazione , si giocano il nostro star bene e il nostro rapporto con gli altri.

Mentre in natura, in noi e negli animali, le tre personalità si sviluppano armoniosamente e in tempi precisi, nelle società industrializzate, pasciute e iperprotette, l'evoluzione naturale non avviene o avviene solo in parte, facendoci restare eterni bambini. Nella nostra società, complice anche la sparizione della lotta per la sopravvivenza, l’eccesso di protezione di padri e madri non consente ai figli di crescere, facendone quindi bambini camuffati da adulti anche quando hanno “dieci centimetri di pelo sotto le ascelle”, bambini in quanto mantengono un'immagine infantile di sé a livello inconscio.
Così, paure, fobie, panico, ansia, tendenza a colpevolizzare gli altri, depressione, sono le manifestazioni di una personalità infantile non evoluta, sempre alla spasmodica ricerca di amore, di sicurezza, di coccole, anche quando si travesta da adulto o da genitore,
Questa, secondo l’autore, è la base di tutte le nostre nevrosi.

E mi vien da pensare a tutti quei quarantenni / cinquantenni, incontrati in questi anni come counselor o come docente di Arti Marziali, con la casa comprata dai genitori, studi e poi un lavoro scelti sotto la pressione dei genitori quando, quest’ultimo, non procurato direttamente dal genitore e, sovente, squalificante rispetto ai propri desideri, che, a loro volta, progettano la vita dei loro figli sempre e comunque fungendo da protettori, mentre, invece, Giacobbe scrive: “ il compito del genitore non è quello di proteggere e tenere vicino a sé il più a lungo possibile i propri figli ma quello di portarli il più presto possibile ad essere autonomi e capaci di affrontare da soli le difficoltà della vita cioè di lasciarli andare” ed anche “ (…) è mille volte meglio , per la sua felicità, che faccia l’idraulico o la parrucchiera (mestieri per altro dignitosissimi e remunerativi) e diventi un adulto, che non prenda una laurea in ingegneria o in medicina e rimanga un bambino per tutta la vita”.
Sono quelli che, nel panorama marziale, si affidano ciecamente al Maestro, come a dire che se è bravo lui lo sono automaticamente anch’io; sono quelli mascherati da machoman, tatuaggi, spalle larghe ed andatura alla John Wayne, tutti coinvolti da pratiche di cazzottoni e scontri fisici che è comunque sempre un gioco, tra amici, con le sue regole, che finisce lì, tra le mura della palestra, scansando una vita vera che è una giungla senza regole vissuta tra sconosciuti, agita da … adulti.

Giacobbe ci propone, in un modo che sa ben coniugare   autorevolezza scientifica e linguaggio ilare,  una serie di esempi e di prove per comprendersi e migliorare le relazioni con noi stessi e con chi ci sta accanto. Inoltre, il libro è un invito al recupero dell’equilibrio essenziale per potere usufruire in toto, e a seconda delle circostanze,  delle tre personalità che la natura ci mette a disposizione, imparando, a seconda dell’occasione,  a fare il bambino giocando, chiedendo aiuto e sapendosi scusare, a fare l’adulto autoaffermandosi nell’ambiente, a fare il genitore, donandosi e dedicandosi agli altri.

Nell’ultima parte del libro, l’autore  amplia la sua teoria aggiungendo una quarta personalità: la coscienza, o buddhità intesa come stato di consapevolezza, cioè la capacità  di autosservarci, guardandoci nel nostro essere fisicoemotivo come osservatori esterni, “osservatori di noi stessi”.
La grande forza della  personalità del buddha risiede nel potere di indirizzare consapevolmente e intenzionalmente la nostra vita. Essa, secondo l’autore che fa ampi riferimenti al pensiero orientale, è poi il culmine della nostra evoluzione psicologica, quella a cui tutti dobbiamo (!?) tendere e che ci distingue dagli animali.

Un libro che consiglio a tutti  i “guerrieri”, a coloro i quali non si accontentano e vogliono capire di sé e del mondo che hanno accanto. Un libro inutile, invece, a chi fugge o si sfoga in palestra o nella “settimana bianca”, nello shopping compulsivo o nel consumo senza uso, nel reiterato mostrarsi su face book o nell’assillante cinguettare su WhatsApp.
Ah, dimenticavo, da maneggiare con cura anche da parte dei proprietari di cani: Giacobbe non ci va leggero con loro e con le torture che infliggono ai loro piccoli amici a quattro zampe.

 “Perché i giovani si sposano non per amare ma per essere amati.
Entrano nel matrimonio per prendere e non per dare.
Entrano cioè nel matrimonio con una personalità infantile e la convinzione assurda che nel matrimonio possano trovare conforto, assistenza, protezione, difesa, compagnia, amore.
Questo accade soprattutto alle donne, perché la loro maggiore aspettativa sono la protezione e le coccole.
L’uomo, più materialista, si aspetta un pasto caldo ben cucinato, una casetta sempre in ordine, una donna calda nel letto a sua disposizione e una madre efficiente per i propri figli che gli risolva anche il problema di allevarli lasciandogli la libertà di occuparsi della sua carriera”
(GC. Giacobbe)

 

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