lunedì 4 aprile 2016

Ma è sempre colpa del papà ?


“Allo stesso modo non basta migliorare le storie che ti racconti: devi vivere una storia migliore”
(E. Greitens)

 

by M. Sikorskaia
 L’impostazione culturale dello Z.N.K.R., il pathos che si vive dentro, il praticare stesso che è percorso di individuazione e crescita, il tessuto delle relazioni che si vanno costruendo, portano con sé alcuni tratti distintivi.
Così come il mio pormi quale Sensei (“colui che è nato prima”) ovvero sorta di mentore, che, sommariamente, è una persona capace di guardare te e la sfida che ti si pone davanti vedendo oltre le apparenze e le stesse motivazioni che tu esibisci al momento di entrare in dojo. Perché il mentore è colui che è in grado, con l’esperienza che ha, cadute e fallimenti compresi, di accompagnarti a decidere dove davvero vuoi andare, cosa davvero vuoi fare di te e del tuo vivere.

Ecco, in questo percorso condiviso, mi è sovente capitato di essere letto, vissuto, come un “papà”, o, almeno, un fratello maggiore.
Allievi rigorosamente uomini, anagraficamente già adulti, che scoprono in me quella figura maschile che, nella loro vita, è stata assente, latitante, o, se presente, autoritaria e squalificante.
Del tutto umana e logica questa loro interpretazione.

 Mentre gli animali (in libertà, che in cattività è tutt’altra cosa !!) seguono un’evoluzione naturale che va dallo stato di cucciolo a quello di adulto, a quello di genitore e compiuta l’evoluzione naturale, i comportamenti relativi a tali stati sono intercambiabili fra loro a seconda della situazione ambientale, negli essere umani il processo non è così spontaneo.
Nell’essere umano, a causa dell’evoluzione della neocorteccia celebrale che introduce nello psichismo umano la variabile dell’affettività, essi sono il risultato di un’evoluzione affettiva, di un intreccio di relazioni.

 Prima di giungere all’identificazione con la personalità adulta, il bambino ha da percorrere un lungo itinerario: deve strutturare quella personalità dentro di sé, deve cioè interiorizzarla e farla propria fino a identificarvisi e quindi fino a diventare effettivamente un adulto.
La crescita psico-affettiva che va dal bambino all’adulto al genitore, consiste nel passare da una condizione di dipendenza ad una condizione di autosufficienza, poi ad una condizione di dedizione.
Il processo naturale di strutturazione del modello comportamentale adulto è la conseguenza di cinque distinti processi, comunemente così identificati:
il reclutamento di un modello;
la memorizzazione di una sua immagine;
l’imitazione del modello;
la radicalizzazione del modello;
l’immedesimazione con il modello.

 Privi dello stato di adulto, non vi è identificazione stabile con la personalità adulta.
Inevitabile, in questo percorso in cui il confliggere in pedana, botte comprese, è metafora e metonimia dello scontrarsi quotidiano, con se stessi in primis, ma pure con l’ambiente familiare, lavorativo, affettivo, ecc. in cui l’allievo vive, incappare nel processo di transfert (e contro transfert). *

 
Nel mio modo di propormi come guida lungo il percorso di individuazione, forte della mia formazione marziale come di quella gestaltica, tendo a valorizzare la relazione allievo - Sensei, in un pastoso meticciato di vitalità e rallentamenti, neutralità e partecipazione, aspra profondità e leggera autoironia, sorriso e sofferenza, in un appassionante e insieme perturbante viaggio verso il cambiamento.
Un rapporto in cui l’inevitabile reciproco “attaccamento” sia un momento di confronto e crescita, anche intenso, anche doloroso, ma mai un “attaccamento” morboso da un lato e una prevaricazione dall’altro.

 
Questa … la teoria, l’area delle intenzioni.
by M. Sikorskaia
Perché, guardando alle spalle comportamenti, scritti, parole, gesti, in alcuni degli allievi suddetti, ho notato una serie di aspetti che tradiscono una relazione, un transfert, nient’affatto sano, ben poco … adulto.
Insanità che si manifesta con la richiesta, esplicita o mal celata, di essere aggrediti e squalificati per potersi sentire in diritto di andarsene; con una serie di parole e gesti imbevuti di rancorosa recriminazione verso un “papà” che li ha delusi. Nel migliore dei casi, con una pomposa prosopopea (costruita su qualche piccola bugia !) su come si sono affermati, hanno raggiunto i loro obiettivi, si sono realizzati anche senza il loro caro paparino o proprio perché si sono liberati del papà.

 
Lo so, in ogni relazione che diventi matura, aprire una crisi è necessario per permettere il distacco, anche doloroso, anche aspramente conflittuale, ma, appunto, il bambino che cresce DEVE prendere le distanze dal padre che lo ha cresciuto fin lì. Il padre DEVE saper accettare l’allontanarsi del figlio, anche quando la direzione presa lui non condivida.
Sarà il tempo, unito all’adultità conquistata dal figlio, a ricomporre una relazione ora tra due adulti, tra pari.
Invece, a qualcuno è capitato / capita, di non riuscire ad aprire il conflitto e nel conflitto sostare. Questi preferisce fughe vigliacche, pettegolezzi ed isterie, preferisce seminare malcontento. Rimane bambino, infelice e disadattato, che resti in famiglia ( lo Z.N.K.R.) che ne stia ai margini o che se ne allontani.

 
Lo stato di adulto consiste nella capacità di stare da soli e di lottare per autoaffermarsi.
Dunque il non avere alcun “attaccamento”, che si coniuga con l’autocentramento dell’adulto in se stesso, senza riferimenti esterni, senza più dipendenze ed illusorie sicurezze pretese da altri.
Solo così il bambino scopre che alla fine, il mondo sconosciuto ed ostile, non gli ha fatto niente.
Non che l’adulto debba essere necessariamente un antisociale, un solitario, anche se questa è la sua tendenza naturale. L’adulto può benissimo avere amici, stare in gruppo, condurre un’intensa attività sociale.
Ma non ne dipende. Per lui questo non è un bisogno, ma un piacere.
Per questo è importante la capacità di affrontare, di ingaggiare, di stare nel confliggere, come di separarsi e rincontrarsi.

 
Certo, non tutti i “bambini” passati dal Dojo si sono castrati interrompendo il loro processo di individuazione. Tra chi si è castrato, poi, alcuni sono “evaporati” senza lasciare traccia e solo alcuni, fuori o dentro la Scuola, si sono messi a tessere trame marce per difendere la loro castrazione accusando, esplicitamente o meno, il padre.
Ma quei pochi casi sono per me, comunque, motivo di riflessione sul mio operato.
Senza coltivare alcun delirio di onnipotenza, fatto salvo che probabilmente è fisiologico, in ogni organismo sano che produce energia, verificare una “perdita di calore”, ovvero una minoranza rattrappita su se stessa, mi chiedo se e come io possa aver errato nella conduzione del rapporto.

Beh, starà a Michela, amica carissima oltreché psicoterapeuta di valore, nelle cui mani mi metto quando ho da rimettermi io “in bolla” o quando mi occorre una supervisione sugli allievi verso cui coltivo delle incertezze, darmi una mano. Ed io, poi, se possibile, da un lato darla a quei bambini capricciosi e rancorosi che, stentando a divenire adulti, se la prendono con il loro papà; dall’altro non incappare negli stessi eventuali errori con gli “adulti bambini” che verranno.

 
“Noi proiettiamo sempre sul mondo la nostra visione interiore, noi abbiamo con gli altri esattamente lo stesso rapporto che abbiamo con noi stessi.
Perché gli altri, per ognuno di noi, sono sempre una proiezione di noi stessi”
(G.C. Giacobbe)

 
* Transfert è, mi si perdoni la banalizzazione, quel “carico” di sentimenti che il cliente / paziente /allievo riversa sulla figura autorevole che gli sta davanti. Contro transfert è quanto di sentimenti ed emozioni quella figura gli restituisce.
Spiegazione davvero semplicistica e dai tratti meccanicistici, scritta solo come indicazione di massima.

 


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