“Allo
stesso modo non basta migliorare le storie che ti racconti: devi vivere una
storia migliore”
(E. Greitens)![]() |
| by M. Sikorskaia |
Ecco,
in questo percorso condiviso, mi è sovente capitato di essere letto, vissuto, come un “papà”, o, almeno, un fratello
maggiore.
Allievi
rigorosamente uomini, anagraficamente già adulti, che scoprono in me quella
figura maschile che, nella loro vita, è stata assente, latitante, o, se
presente, autoritaria e squalificante.Del tutto umana e logica questa loro interpretazione.
Il processo naturale di strutturazione del modello comportamentale adulto è la conseguenza di cinque distinti processi, comunemente così identificati:
il reclutamento di un modello;
la memorizzazione di una sua immagine;
l’imitazione del modello;
la radicalizzazione del modello;
l’immedesimazione con il modello.
Un rapporto in cui l’inevitabile reciproco “attaccamento” sia un momento di confronto e crescita, anche intenso, anche doloroso, ma mai un “attaccamento” morboso da un lato e una prevaricazione dall’altro.
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| by M. Sikorskaia |
Insanità che si manifesta con la richiesta, esplicita o mal celata, di essere aggrediti e squalificati per potersi sentire in diritto di andarsene; con una serie di parole e gesti imbevuti di rancorosa recriminazione verso un “papà” che li ha delusi. Nel migliore dei casi, con una pomposa prosopopea (costruita su qualche piccola bugia !) su come si sono affermati, hanno raggiunto i loro obiettivi, si sono realizzati anche senza il loro caro paparino o proprio perché si sono liberati del papà.
Sarà il tempo, unito all’adultità conquistata dal figlio, a ricomporre una relazione ora tra due adulti, tra pari.
Invece, a qualcuno è capitato / capita, di non riuscire ad aprire il conflitto e nel conflitto sostare. Questi preferisce fughe vigliacche, pettegolezzi ed isterie, preferisce seminare malcontento. Rimane bambino, infelice e disadattato, che resti in famiglia ( lo Z.N.K.R.) che ne stia ai margini o che se ne allontani.
Dunque il non avere alcun “attaccamento”, che si coniuga con l’autocentramento dell’adulto in se stesso, senza riferimenti esterni, senza più dipendenze ed illusorie sicurezze pretese da altri.
Solo così il bambino scopre che alla fine, il mondo sconosciuto ed ostile, non gli ha fatto niente.
Non che l’adulto debba essere necessariamente un antisociale, un solitario, anche se questa è la sua tendenza naturale. L’adulto può benissimo avere amici, stare in gruppo, condurre un’intensa attività sociale.
Ma non ne dipende. Per lui questo non è un bisogno, ma un piacere.
Per questo è importante la capacità di affrontare, di ingaggiare, di stare nel confliggere, come di separarsi e rincontrarsi.
Certo,
non tutti i “bambini” passati dal Dojo si sono castrati interrompendo il loro
processo di individuazione. Tra chi si è castrato, poi, alcuni sono “evaporati”
senza lasciare traccia e solo alcuni, fuori o dentro la Scuola, si sono messi a
tessere trame marce per difendere la loro castrazione accusando, esplicitamente
o meno, il padre.Ma quei pochi casi sono per me, comunque, motivo di riflessione sul mio operato.
Senza coltivare alcun delirio di onnipotenza, fatto salvo che probabilmente è fisiologico, in ogni organismo sano che produce energia, verificare una “perdita di calore”, ovvero una minoranza rattrappita su se stessa, mi chiedo se e come io possa aver errato nella conduzione del rapporto.
Beh,
starà a Michela, amica carissima oltreché psicoterapeuta di valore, nelle cui
mani mi metto quando ho da rimettermi io “in bolla” o quando mi occorre una
supervisione sugli allievi verso cui coltivo delle incertezze, darmi una mano.
Ed io, poi, se possibile, da un lato darla a quei bambini capricciosi e
rancorosi che, stentando a divenire adulti, se la prendono con il loro papà;
dall’altro non incappare negli stessi eventuali errori con gli “adulti bambini”
che verranno.
Perché gli altri, per ognuno di noi, sono sempre una proiezione di noi stessi”
(G.C. Giacobbe)
Spiegazione davvero semplicistica e dai tratti meccanicistici, scritta solo come indicazione di massima.


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