venerdì 24 gennaio 2020

Sorry we missed you




«Sorry we missed you» è quanto sta scritto sull'avviso che i corrieri che consegnano le merci a domicilio lasciano quando non trovano i clienti. Ma, in un’altra lettura, potrebbe essere anche il leitmotiv (“ci sei mancato”) che campeggia nella crisi familiare del protagonista di questa dura e spietata pellicola di Ken Loach.

Anni addietro, su questo blog, recensii un altro intenso film di Loach: “Dalla parte degli angeli”.

Ora tocca a
Sorry we missed you
Pellicola dedicata al nuovo sfruttamento, alle nuove disumane condizioni di lavoro, al mito di riuscire  a farcela da soli, allo sfaldamento della famiglia di fronte alle necessità economiche.

Questo è un film che non ha nulla di commovente, di sentimentale.
Questo è un film crudo, un autentico pugno nello stomaco davanti alla disperazione ed alla perdita di sé di “personaggi” che sono gli stessi  che incontriamo tutti i giorni della nostra vita. E che, poco o tanto, potrebbero essere noi.

Con un passato sessantottino, di impegno politico che poi, per altri anni, si fece sindacale; con un impegno, durato trenta anni, a costruire una “Scuola”, un collettivo in cui condividere crescita personale e progetti, vedere questo film è stato difficile. E’ stato riesumare molteplici fallimenti, di contro a qualche incerto successo; è stato ammettere che le cose attorno a me, nella società, hanno preso una direzione di prevaricazione e menefreghismo, di egoismo e malaffare diffuso.
Davvero oggi lo sforzo principale, anche in una società che si definisce opulenta come quella occidentale, è quello di sopravvivere economicamente per non finire ai margini, o peggio in mezzo ad una strada?
Davvero non esiste più alcun afflato, alcun momento di confronto e impegno collettivo per cambiare le storture di questo vivere capitalistico e consumistico?

Pare proprio di sì, se il padre di famiglia sceglie lo scontro con i figli, sceglie di mettere a serio repentaglio la propria salute, pur di lavorare e lavorare e lavorare.
Pare proprio di sì se mai, anche di sfuggita, anche solo sullo sfondo, compaiono, che so, un corteo sindacale, una manifestazione di piazza; se mai, in tutto lo snodarsi della trama, qualcuno si schiera a difesa di qualcun altro.

E queste tensioni Loach bene le mostra, aiutato dal modo tipicamente britannico di relegare in un angolo la musica: è solo la qualità, l’intensità delle immagini e dei dialoghi, a risaltare, a tenere lo spettatore incollato allo schermo.

A Loach non interessa né spiegare come funziona questo brutale sistema di sfruttamento: bastano poche frasi del “capo” del protagonista a spiegarcelo, né indicare una via d’uscita: quale, se si resta nell’alveo del capitalismo?
A Loach, in linea con i mutamenti sociali, non interessa parlare di classe operaia: e dove sta più?  Piuttosto ci mostra  quel nuovo proletariato e sotto-proletariato (1) fatto di precari che non hanno (e come potrebbero?) nemmeno “la coscienza di classe” perché non appartengono a nessuna categoria predefinita, che lottano gli uni contro gli altri in una gara per non affogare prima ancora che per emergere.

Loach è un vero “duro”, un regista che mostra e ci mette tutti davanti ad una realtà brutale a cui nessuno sfugge.
Nemmeno io che acquisto su Amazon, perché, come ci ricorda ancora una volta il “capo” del protagonista, al cliente interessa solo il prodotto, il costo e la consegna tempestiva.
Nemmeno io che faccio a volte la spesa di Domenica, sfruttando il “sempre aperto” dei supermercati.

A me resta il doloroso pensiero che solo cambiando gli uomini, il loro pensare ed agire, questa società potrà uscire dal mefitico pozzo in cui è precipitata.
Ma sarà mai possibile presi come siamo da un vortice di “consumo senza uso”, di prevaricazioni di ogni tipo che toccano i potenti come gli sconosciuti, di smania di apparire?

Film duro, schietto, assolutamente da vedere.
E chi, rimproverando a Laoch le sue simpatie per il leader politico antisemita Corbyn, sminuisce la qualità di questa sua ultima opera, non fa altro che confondere l’opera col suo autore e, forse, si dimostra tanto superficiale da vedere di Corbyn solo l’aspetto più eclatante e non il messaggio sociale che lo animava e che è stato sconfitto. Appunto.



1. Già Anton Pannekoek  (1873 – 1960) scriveva: “”Questi  sfruttati sono convinti di lavorare per se stessi; per questo si spremono fino allo stremo delle forze e si accontentano del modo di vita più miserabile. Vivono molto peggio degli operai dell’industria e la loro giornata lavorativa è molto più lunga” Un secolo dopo, non sono più piccoli borghesi in caduta libera o contadini, ma i nuovi schiavi delle consegne, dei contratti precari.





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