lunedì 13 luglio 2020

Acciaio, sangue e ferite



 I capricci del cielo e delle nuvole ci spingono ancora una volta a cercare riparo in quel della Besana.
Atmosfera ovattata, poche persone ad aggirarsi sotto un cielo ora sereno, i cui precedenti rutti e gli scrosci d’acqua hanno tenuto lontano gli abituali frequentatori.

Praticare all’aperto ci impedisce di sfoderare l’acciaio. Allora sarà nostra premura identificarci, anima e pancia, con katana e kodachi d’allenamento.

Le lame sibilano sferzando l’aria, chiedo ed invito corpi a fluire, a trovare nel senso interiore delle cose il senso motorio che non si sforza, non sfrigola sugli accidenti ma fluisce e fluisce e fluisce ancora.

Entro dentro il dare la morte e non posso che incontrarne l’altra faccia: l’amore e le cose, le persone che l’hanno animato. Ogni cuore che incontro è un taglio che sanguina. Come provo quel che sto provando? Che fosse un dono casuale (ma il caso esiste?) o che io avessi bisogno d’amore è stato un tocco di mano… poi un graffio ed un altro, orrenda danza di menzogne e nascondimenti.

I fondamentali a vuoto, quando invero l’avversario c’è, lo sento, davanti e dentro i Kihon Enbu.
Percezione dell’insieme che è più naturale, più sincera, della percezione frammentaria dei singoli elementi.

Spezza il silenzio se ne hai paura. Urlagli contro quel che hai dentro. C'è un oceano di motivi per essere felici ma ci sono correnti nere e putride che lo attraversano sotto e sotto ti trascinano ad affogare.

L’allievo mi chiede di sensazioni che lo attanagliano, lo attaccano all’impugnatura del katana: com’è difficile separarsi restando insieme!! O forse come è tragicamente e grottescamente facile restare insieme stando di fatto separati.
Forse, dai, mi costa pena ammetterlo, avevo un disperato bisogno di sentire che a me ci tenevi davvero, davvero. E resto incredulo a chiedermi se davvero ti occupavi di me, di noi o se era un vuoto da riempire, se era od ora è un fardello che mi spacca dentro.
Perché i duelli prima a vuoto, poi in coppia, portano sempre domande che non vogliono risposte.

Haru no sora, “cielo di primavera”. Statici quanto basta per essere movimento allo stato puro.
Ci sono tutti? Non c’è alcuna necessità di avere paura, solo stiamo lasciando andare cascate di emozioni.
Squarcio il silenzio dell’animo a trovarci le voci del cuore. Cosa mi stanno dicendo?
Avanzo e qualcosa mi trattiene indietro. Finché non avrò udito il canto della verità non sarò mai sereno.

Così Natsu no sora, “cielo d’estate”, passi rapidi e felpati mente le lame sgusciano e poi cozzano l’una contro l’altra.
La strada maestra è qui, oppure un poco più in là. O nemmeno c’è, la “strada maestra” solo cocci di un vaso fragile che ogni giorno mi accingo a ricomporre, perché vivere è anche sentire le ferite addosso e dentro eppure sorridere.
Per quanto posso, per quanto sono capace.

I movimenti si fanno incerti, la presenza intuitiva vacilla inframezzata da parole che sono troppe.
Tre ore di Kenshindo, di “Via dello spirito della spada”, sono sempre tante.
Scegliamo di lasciar stare la scherma libera, il combattimento libero, Gekken.
Minuti dedicati a noi, al nostro io-corpo. Corpo attivo, perfetto tramite di segni e simboli diretti e spiazzanti.

Presto a casa, allievi che sono amici a sorriderci dentro, tra un aperitivo tipico di Bassano del Grappa e un formaggio di quelle parti, salame di campagna e birre che ti stonano la mente e pizza e cioccolato e rhum ad 80 gradi e chiacchiere che non sono tali ma dialoghi di esperienze ed intelligenze del vivere.
Grazie vita di farmi esistere.
Domani, torneranno Monica e Lupo. Io ci sarò ad amarli.










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