martedì 29 settembre 2020

Dalla parte del buio che contiene la luce

 F. (giovane paziente, (24 anni) – Lei sa dirmi che senso ha vivere in questo mondo?

M. (vecchio terapeuta- 64 anni) – No, ma se mi dice qualcosa in più forse possiamo scoprire che senso può avere per lei vivere in questo mondo

 F. – Ho ventiquattro anni, sono parcheggiato in un’università che parla di un mondo che non è quello che c’è là fuori e che alla fine mi darà una laurea con cui non troverò lavoro, almeno qui in Italia. Mi sento una merda perché, anche se qui non c’è lavoro, vivo comunque nella parte ricca del mondo che sfrutta l’Africa e poi vuole ributtare in mare quelli che da lì scappano perché non hanno neanche l’acqua da bere.  Mio padre è un libero professionista e lavora 12 ore al giorno e probabilmente dovrà farlo fino a quando crepa viste le prospettive di lavoro di noi figli poi avrà una pensione ridicola. Sono terrorizzato dal mettere incinta la mia ragazza e mettere al mondo un bambino in un mondo così. Che cazzo dovrei fare ?

 M – (dopo un sospiro) – Non lo so, ho 64 anni e lavoro 12 ore al giorno e probabilmente dovrò farlo finché crepo o un ictus mi renderà un vegetale, perché i miei figli faticano a trovare lavoro e io avrò una pensione ridicola. Sto male ogni volta che vedo qualcuno che chiede l’elemosina e ce ne sono ormai tanti, e mi sento uno schifo quando leggo cosa stiamo ancora facendo all’Africa e che qui a Torino una ragazza è stata aggredita per strada perché nera. Eppure continuo a sentire che la vita sia bella e che valga la pena di essere vissuta. Mi sa che uno di noi due è molto confuso e non è detto che sia lei.

(M. Pizzimenti psicologo-psicoterapeuta )

 

Nella mia pratica marziale e di counselor, incontro e conosco individui più o meno in questi termini colpiti o almeno sfiorati dal disorientamento di fronte al vivere e alle cose del vivere.

Credo che questo vacillare di fronte al senso della nostra vita trovi la sua radice nel constatare che nessuno di noi ha il totale controllo della propria vita medesima, proprio in anni in cui l’ansia di controllo e dominio la fanno da padroni ovunque.

Da un lato la pretesa di allungare indefinitamente gli anni di vita su questa terra; la pretesa di modificare la propria immagine estetica fino a giungere alla “Human Augmentation” (1); la pretesa di controllare il tempo atmosferico come quella di impostare preventivamente le caratteristiche fisiche e intellettive di un nascituro; la pretesa di controllare e dominare ogni tipo di relazione sentimentale / sessuale, pretesa che sfocia nelle perversioni vigliacche e bugiarde del sexting (il sesso virtuale, on line) o nella violenza fisica sul / sulla partner.

Questa somma di pretese si scontra con l’incertezza lavorativa tra professioni che nascono e muoiono nel volgere di un pugno di anni e pure professioni che non garantiscono più l’occupazione stabile (il vecchio “tempo indeterminato”); un sistema climatico in rapido sfaldamento di cui non si prevede la direzione; correnti migratorie incontrollate che già danno adito al concetto di “Eurabia” e ad un conflitto culturale, di usi e costumi, di cui  solo l’imbecillità della signora Boldrini poteva vedere i soli aspetti positivi e di cui i recenti fatti di cronaca, in Francia ed in Italia, di opposto segno, testimoniano invece la complessità e la violenza intrinseca; l’incertezza e la fragilità sanitaria messa sotto scacco da un virus, nemico invisibile, che proprio la modernità della globalizzazione diffonde così rapidamente; l’incertezza sul ruolo del maschio, del maschile, nella coppia sino all’incertezza stessa sul concetto di maschile e femminile e pure di coppia.

 

Ogni volta mi viene in aiuto la disamina del pensiero, della saggezza cinese.

In essa, si confrontano tre correnti di pensiero che si rifanno a Confucio, Buddha e Laotse. (2)

Una leggenda, ed un dipinto, vogliono che i tre si siano trovati ad assaggiare dell’aceto:

per il primo, Confucio, l’aceto è rancido, dunque occorre correggerne (aceto = vivere) il degradarsi dalla corretta Via del passato rivolgendosi a regole severe; per il secondo, Buddha, l’aceto è inevitabilmente aspro dunque occorre allontanarsi da esso (aceto = vivere), ovvero da ogni passione; per il terzo, Laotse, l’aceto sa di quel che deve sapere e dunque va preso per quel che è.

Ecco, come già scrissi, abbracciando dei tre assaggiatori di aceto la versione data da Laotse, ovvero il Taoismo, intrisa di quella causalità circolare (3) che è propria di una certa nostra cultura e in particolare della terapia gestaltica, (ovvero la consapevolezza che le azioni in un sistema si influenzano reciprocamente cosicché ogni azione è a sua volta causa ed effetto delle altre) comparire una possibile e praticabile via di intervento.




L’esigenza di affrontare ogni fenomeno come una gestalt di interdipendenze, porta, in una visione strategica, alla constatazione che la somma delle singole parti non è uguale all’insieme e che l’isolamento di una singola variabile conduce inevitabilmente a un “cul de sac”, ad un vicolo cieco e a distorsioni conoscitive, che non potendo portare alla ricostruzione dell’interazione tra i diversi elementi non giova a nessuno (4)

 

Tocca ad ognuno di noi, in particolare a chi si sia assunto il compito di facilitatore, di Sensei, la responsabilità di rendere accettabili (comprensibili?) le incertezze e le novità che ci vengono incontro e di amalgamarle in un equilibrio fatto di disequilibri e frizioni, di conflitti anche inevitabili.

Questo, abbandonando noi facilitatori, Sensei, per primi, ogni pretesa di “pensiero unico”, di certezza e verità assoluta perché il procedere aperto, di confronto, passi anche a chi ci sta davanti.

Passaggio tanto più praticabile quanto si appoggi alla espressione corporea, alle percezioni sensoriali, al corpo vissuto. A quel che noi tutti siamo qui ed ora:

Io incarnato,

corpo che tanto ci costituisce come individui quanto permette di relazionarci con gli altri, con l’ambiente.

 

Una pratica carnale, di contatto, continuamente sottoposta alla verifica reciproca che, di per sé, già rifiuta la pretesa che ci sia uno che sa ed insegna, spiega, ed uno che non sa e dunque che impara, si fa guidare. La relazione Sensei e praticanti, Counselor / analista e cliente, invece, vede uno che nella tempesta ci è già stato ed uno che ci sta entrando, ambedue consci che ognuno è diverso dall’altro e che ogni tempesta è diversa da un’altra.

 

F. (qualche mese dopo). Oggi mi è successo qualcosa... che mi ha sorpreso ... e toccato ... dentro.

 M. (colpito dalle sue spalle dritte e lo sguardo acceso) Beh, si vede che ti è successo qualcosa. Hai voglia di raccontarmelo?

 F. - Lungo la strada che faccio per venire qui, c'è sempre una signora anziana con un cagnetto, seduta ad un incrocio, che chiede l'elemosina. Ogni tanto le do una moneta, ma mi sento a disagio, lo faccio velocemente, senza dire niente, poi scappo. Oggi ... non so perché ... mi sono fermato ... l'ho salutata ... e ci siamo messi a parlare. Mi ha raccontato di come vive, che riesce a pagarsi un piccolo appartamento, che non ha famiglia ma tutti i commercianti intorno l'aiutano, le portano cose da mangiare ... a volte anche abiti e che qualche giorno fa i vigili volevano portarla via e la gente è uscita dai negozi ed è andata a protestare con i vigili e li hanno convinti a lasciarla la, che non era sola e faceva parte del quartiere. Mi sono venute le lacrime. Mi sono scusato che non avevo monete ... lei mi ha preso la mano e mi ha sorriso ... l'ho guardata negli occhi ...e io mi sento bene.

 M. - (con gli occhi lucidi) - E questo tuo benessere ha senso per te?

 


1. Human Augmentation è la possibilità di creare strumenti, anche impiantati dentro al corpo, per migliorare le prestazioni a livello fisico o cognitivo

 2. “Gli assaggiatori d’aceto” è un episodio leggendario recentemente ripreso, in un suo articolo, da Marco Invernizzi, medico, agopuntore ed esperto di pratiche corporee cinesi.

 3“Una volta adottata la prospettiva della causalità circolare, viene meno la concezione deterministica, cioè non vi è più “un inizio e una fine ma solo un sistema interdipendente di reciproca influenza tra i fattori in gioco” (Nardone, 1995). Da qui la necessità di tenere sempre presente che ogni variabile si esprime in funzione del suo rapporto con le altre variabili ed il contesto situazionale. (https://www.igorvitale.org/il-principio-di-causalita-circolare-di-watzlawick/)

 4Anche in questo caso, ci viene in aiuto la saggezza d’Oriente, ovvero La novella de “I sei ciechi e l’elefante” che lessi la prima volta trenta e più anni or sono grazie agli scritti del Maestro Pleé. In essa si narra di un villaggio in cui qualcuno portò un animale sconosciuto, un elefante, chiedendo ad alcuni saggi, privi della vista, di descriverlo. Di fronte a quest’essere così grande, i sei saggi cercarono di scoprire com’era fatto tastandolo, perché ciechi. Questi lo fecero palpeggiando ognuno una parte diversa. Ovviamente, le sei risposte differirono completamente le una dalle alte, nessuna descrivendo compiutamente l’animale. Una prima interpretazione ci dice che un sapere parziale non arriva mai alla comprensione; una interpretazione più approfondita ci dice che solo l’interazione, la collaborazione, che sia scambio di idee e non prevaricazione, può portare alla comprensione; infine, che solo applicando tutto di noi stessi, tutti i sensi a disposizione (i sei saggi non utilizzarono olfatto, udito, gusto), tutto il nostro essere “incarnati”, la comprensione sarà a portata di mano.








 

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